Vangelo di Giovanni – Cap 2,1-12 a 2,13-22

Carl Wilhelm Friedrich Oesterley
A Cana di Galilea

Capitolo 2,1-12

*Tre giorni dopo si celebrarono nozze in Cana di Galilea, e la madre di Gesù vi partecipava. *Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. *Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: Non hanno più vino. *Le rispose Gesù: Che vuoi da me, donna? La mia ora non è ancora venuta. *La madre disse ai servi: Qualsiasi cosa vi dica , fatela. *C’erano sul posto sei giare di pietra per le abluzioni rituali dei giudei, ognuna aveva la capacità di molti litri. *Disse loro Gesù: Riempite le giare di acqua. Le riempirono fino all’orlo. *Ora – disse Gesù – attingete e portatene al direttore di mensa. *Gliene portarono. Quando il direttore di mensa ebbe assaggiata l’acqua cambiata in vino (egli non sapeva la provenienza, ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo *e gli disse: Tutti servono il vino migliore all’inizio, e quando gli invitati sono alticci il meno buono: tu invece hai conservato il migliore sino ad ora. *Questo fu il primo dei segni, compiuto da Gesù in Cana di Galilea. Egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. *Poi scese a Cafarnao con la madre, i parenti e i discepoli, ma non vi rimasero che pochi giorni.

Nel Vangelo la presenza di Maria è normalmente taciuta, ma compare da protagonista nei momenti salienti, anzi strategici della missione del Figlio Gesù. Del resto è compito della Madre esserci sempre, è suo dovere non mancare alle svolte decisive della vocazione dei figli. Uno di questi momenti fondamentali accade a Cana di Galilea, luogo in cui Gesù inizia la sua predicazione e compie il suo primo miracolo. Cana è situata sul percorso esistenziale di Maria e di Gesù dalla volontà di Dio, perché qui deve avvenire qualcosa di profetico. La borgata è investita dall’Alto, come ogni villaggio e città in cui Gesù passa seguendo il disegno di Dio Padre, che vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (1 Tm.2,4). Cana è il mondo, l’universo, il cosmo; essa è anche il luogo della nostra residenza, del nostro ambiente, paese, città, chiesa; ma essa è soprattutto il fonte battesimale, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo (Gal.3,27). La conversione dell’acqua in vino avvenuta poi a Cana è l’immagine della rigenerazione avvenuta nel battesimo con il dono della figliolanza divina dentro di noi. La volontà di Dio Padre ha messo sul nostro percorso la nostra Cana, il fonte battesimale.

Contempliamo la scena.
Maria, sollecita per i suoi ospiti come per tutte le persone bisognose, insiste dolcemente presso il suo figlio, guardandolo negli occhi. Chissà cosa avranno espresso quegli sguardi tra madre e figlio, quale supplica, quanto amore.Lo Spirito Santo la ispira e le suggerisce le parole più convenienti, dandole il coraggio di svelare chi egli sia in realtà. Essa chiede un favore per gli altri, e non per se stessa. Amo pensare che in quel momento è nata Maria SS. colei che intercede da sempre per tutti noi.

Si celebrava un matrimonio
E’ assai indicativo il ricorso al verbo celebrare, coniugato dall’evangelista Giovanni al tempo imperfetto con lo scopo di immettere il lettore direttamente nell’avvenimento in atto alla festa nuziale, come partecipante e cronista interessato ai fatti che accadano in quella circostanza, il cui peso profetico coinvolge il destino umano di tutti. A Cana, quel matrimonio rivela la presenza dell’amore di Dio accanto all’amore umano. L’amore diventa la via che conduce a Dio Amore. In questa composizione di luogo interiore, in cui l’amore tra due esseri umani diventa protagonista, si riscontra la visione giovannea sull’amore in quanto proveniente dal Dio-Amore, compiutamente descritta nella sua prima lettera: Amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio; chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore (1^ lett.Gv.7,8).

Il matrimonio è l’amore che produce quell’unità inscindibile tra due persone, simile all’unione che intercorre tra le divine persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Perciò l’uomo abbandonerà il padre e la madre e si unirà con la propria moglie, e i due saranno una sola carne. Pertanto, non sono più due, ma una carne sola. Non separi l’uomo ciò che Dio ha congiunto (Mt.19,5-6). Concludiamo la riflessione con San Giovanni: In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi; Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per mezzo di Lui (Gv.4,9).

Al quale partecipava la madre di Gesù.
Con la solita capacità di descrivere ciò che è, ciò che accade nella cattedrale dell’Incarnazione, ciò che diviene con la partecipazione di tutti, l’evangelista Giovanni annuncia che alla celebrazione partecipava la madre di Gesù. La notizia induce a cercarne il motivo. Biblisti ed esegeti danno vita alla teoria dei forse. Forse si tratta di parenti, forse d’amici, forse di conoscenti, forse si tratta di un’occasione fortuita.

E’ certo che Maria doveva essere presente secondo la volontà e i disegni di Dio. Partendo dalla visione di fede nell’opera di Dio provvidente ed amoroso e non dalla visione od ottica semplicemente umana, è logico pensare al compito che Maria, piena di grazia e speranza nostra, doveva svolgere, poiché Dio non spreca mai l’essere presente nel tempo, né lo fa sprecare agli altri, ai suoi figli o alle sue creature. L’amore è la misura del tempo. Chi ama in modo perfetto, come ama Colui che è Amore per essenza (cfr.Gv.4,8), è oltre il tempo, perché partecipa all’eternità del è già e non ancora.

Maria Vergine reca alla celebrazione del matrimonio certamente una dimensione soprannaturale di piena di grazia, speranza nostra, di sposa dello Spirito Santo, di Madre di Cristo, di termine fisso d’eterno consiglio, di madre del genere umano, di madre e regina dell’Amore. A quel matrimonio nessuno dei partecipanti poteva offrire doni superiori a quelli portati da Maria Vergine con la sua presenza.

Anche Gesù con i suoi discepoli fu invitato alle nozze.
Dopo avere descritto, in breve, la dimensione mariana alla celebrazione delle nozze, ora dobbiamo descrivere la dimensione cristologia. Due dimensioni trascendenti, incorporate nella cronaca della cattedrale dell’Incarnazione. La presenza di Gesù a Cana in quest’occasione diventa un segno, poiché ciò che accade qui va visto nella linea dell’epifania di Dio nell’epifania dell’uomo fatto Dio per cambiare le sorti dell’umanità, rivolgendole verso la salvezza mediante la sua passione, morte di croce e resurrezione.

Ciò che Gesù in questa circostanza compie va oltre la risposta al fabbisogno della festa di nozze. Gesù, non scordiamolo mai, è il Dio che viene. Di fronte a Lui, il Dio-con-noi, ciascuno è richiamato a ridefinire la propria identità, a valutare il modo in cui viene annunciata e vissuta la fede nel tempo presente, ad interrogarsi sulla capacità d’essere segno di salvezza e di rispondere al bisogno di senso di questa società. Di fronte a Gesù occorre ridefinire anche l’essenza dell’amore umano. Che cos’è? Donde viene? L’Amore è da Dio. Oggi è necessario riordinare il senso cristiano del matrimonio per non confonderlo col senso pagano o liberale, predicato dalla cultura laicista moderna. A Cana di Galilea avviene qualcosa di rivoluzionario perché decade qualcosa di vecchio e compare nel Cristo Gesù qualcosa di nuovo, capace di trasformare i cuori e le strade dell’autenticità dell’amore oblativo.

Ad un certo punto non ci fu più vino.
L’evangelista non si limita ad annotare i particolari ma, al contrario, dimostra di saper distinguere tra particolare e particolare. Infatti nel dichiarare quasi all’improvviso non hanno più vino, il cronista dà un peso particolare, fattuale e decisionale all’esaurimento della loro disponibilità di vino per mantenere il tenore della festa entro i confini della gioia, della trasformazione, del cambiamento e dell’azione successiva. Si tratta di uno shock generale. Ora ritornano a primeggiare la dimensione mariana e cristologica della situazione. Poiché, nessuno lo può negare, si evidenziano la povertà, la limitatezza, la finitudine delle prestazioni o interventi umani. L’uomo non ha più vino, più verità, più luce, più energia, più fede, più profezia, più speranza, più futuro, più compimento, se non interviene qualcuno a rimediare o a guarire il male che ci impedisce di essere uomini.

La cultura delle risorse e delle tradizioni umane non può confrontarsi con la cultura dell’essere amore donato, offerto, gratuitamente immolato a beneficio di tutti. Tutti in quel momento sono poveri di amore di Dio. Ecco, a Cana Gesù fa capire all’uomo e all’umanità che nell’esperienza dell’amore Egli è necessario. Senza di Lui l’amore umano non ha futuro. Si esaurisce. Gli uomini non hanno più amore, quindi non sanno più amare.

Allora la Madre di Gesù gli disse: Non hanno più vino.
I responsabili diretti della festa nuziale non sanno cosa fare. Come ovviare al disagio incombente? Il banchetto nuziale è sull’orlo del collasso e della vergogna. La mancanza del vino è la rovina della festa. A questo punto della narrazione l’evangelista Giovanni introduce i nuovi protagonisti: Maria e Gesù. Essi sostituiscono gli sposi e gli organizzatori, affinché la gioia degli sposi e dei commensali sia completa secondo lo spirito della tradizione.

Una madre intuisce le paure nascoste, i problemi e le preoccupazioni dei figli. In lei esiste un sesto senso, quello della intuizione. Maria, Madre di Gesù, percepisce col cuore di mamma lo scoramento e forse anche l’inquietudine degli sposi. Si alza e va da Gesù. Ella sa che Gesù è la risposta vivente del padre a servizio dell’uomo e dell’umanità. Dio è fedele (1^ Cor.10,13). Non abbandona l’uomo ma si prende cura di lui mediante l’incarnazione del Figlio. Tutto ciò, pertanto, che in qualche modo o in qualche misura colpisce il cuore dell’uomo o la sua esistenza terrena, colpisce Dio stesso. Egli, infatti, ci fa sapere, per mezzo di Gesù, di essere il Dio-con-noi. Io sono con voi fino alla fine dei tempi(Mt.28,20) e che in Lui siamo, esistiamo, ci muoviamo (At.17,28). La storia dell’Amore di Dio si mescola con la storia umana trasformandola in storia della salvezza in Cristo Gesù, Dio e uomo, morto e risorto. E’ al Figlio di Dio fatto uomo, al Figlio della Potenza dell’Altissimo, soprattutto al figlio della cultura e della tradizione del popolo ebraico, che Maria Vergine si rivolge dicendo: Non hanno più vino per investirlo del bisogno che c’è di Lui e della sensibilità del suo amore per chi soffre, chi attende un intervento dall’alto, chi spera di essere visto e guarito da Gesù Salvatore.

Gesù le rispose: Che importa a te o a me, o donna?
Maria Vergine sa come rivolgersi al Figlio di Dio, perché Madre e perché anche conosce la sua missione: come mai ottiene una risposta francamente inspiegabile e deludente? Così appare alla nostra sensibilità umana.

La risposta di Gesù esprime una chiara reticenza pur acconsentendo poi a fare il miracolo. Certo, la comunicazione di Maria Vergine non hanno più vino, suona alle orecchie di Gesù come una sollecitazione a prendere a cuore la situazione, ad intervenire con la carità del suo cuore. L’intesa interiore tra la Madre e il Figlio è comunque fuori dubbio. Tra i due non esiste neppure l’ombra di un possibile screzio o dissenso, perché in Lui agisce la pienezza della Grazia e la fedeltà alla volontà del Padre. La ruvidità del linguaggio si spiega partendo dall’impostazione della fede e dell’autentica ed autonoma comunità dei discepoli, in realtà ancora molto precaria e bisognosa di trasformare la fede iniziale in fede radicale nel loro maestro mediante quelle opere straordinarie che avrebbero dimostrato che Gesù non è solo un uomo, il figlio di Maria, ma il Figlio di Dio, il Dio fatto uomo. Nessun uomo può compiere le opere da Lui compiute. Cana di Galilea o il nostro paese, o città, o metropoli, è soltanto un’occasione che acconsente ancora oggi a Cristo, morto e risorto, di compiere attraverso la Chiesa ciò che è necessario per convertire i nostri cuori alla potenza divina del suo amore oblativo: Senza di me non potete far nulla (Gv.15,5). Gesù si presenta agli uomini come un unico progetto di salvezza eterna. Ogni pagina della storia deve confrontarsi con Lui, centro del cosmo e della storia. Con la risposta sorprendente Donna, Gesù indica la separazione del Figlio dalla Madre durante il ministero messianico. Gesù e solo Lui è l’iniziativa di Dio.

L’ora mia non è ancora venuta.
La precisazione di Gesù l’ora mia non è ancora venuta, rappresenta una difficoltà interpretativa più per noi che per Maria. La risposta è evidentemente profetica, proprio nel momento in cui Gesù inizia la sua missione, il suo pensiero già guarda al momento finale, cioè all’esaltazione sulla croce. Fino da Cana di Galilea, Gesù si rivela teso verso la sua ora, ossia il momento della croce-resurrezione. In Giovanni è proprio questa la caratteristica fondamentale del concetto di gloria. Potrebbe sembrare strano e scandaloso affermare che la gloria si riveli sulla croce, luogo dell’umiliazione e della sconfitta, ma Giovanni insiste sulla sua formulazione: sulla croce si rivela la gloria. Quindi Gesù, a Cana, rivela il primo segno riguardante la sua vicenda, quella cioè di essere incamminato verso la croce, in cui si nasconde la vera vittoria di Dio.

Il secondo segno che si manifesta a Cana, ci porta più al cuore della manifestazione di Gesù: la gloria di Dio è l’amore. Maria Vergine legge nella profondità del cuore di Gesù e sa comprendere la sua Parola. Sa anche che Gesù deve sfatare l’idea di un Messia politico, trionfatore sugli altri popoli, guida alla restaurazione dei fasti d’Israele; Ella sa anche che la volontà di Dio cammina per altra strada, quella dell’Amore oblativo di Gesù crocifisso, morto e risorto, che non trova posto nella mentalità dei contemporanei di Gesù. Gesù è venuto a portare il regno di Dio tra gli uomini.

La Madre disse ai servi: Fate tutto quello che vi dirà.
Gli occhi di Maria si riempiono di luce e di timore nell’ascoltare la risposta di Gesù di portata profetica, come si è già detto. Di luce, perché Gesù è amore donato, offerto gratuitamente a tutti, immolato dal momento della Incarnazione fino alla resurrezione. In Gesù batte il cuore di Dio. Di timore, perché il riferimento di Gesù alla sua ora ridesta nel suo animo le parole profetiche del vecchio Simeone: A te stessa una spada trapasserà l’anima (Lc.2,15).

E’ da rilevare il ruolo della fede della Madre di Gesù, la donna modello di fede. Così pure va sottolineato la raccomandazione di Maria ai servi: Qualsiasi cosa vi dice, fatela!. Non vi è altro compito e significato per Marita, per la Chiesa, per ciascun credente autentico: essere un invito in direzione di Gesù Cristo. La scena muta ancora alle nozze. Unico protagonista di tutto ciò che può accadere in senso positivo -il miracolo- o in senso negativo -il non miracolo-, è nelle mani di Gesù di Nazareth. Egli assume il ruolo di Figlio di Dio, dopo che Marita Vergine gli ha richiamato l’investitura del Padre: Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato. Una lezione di vita per tutti i credenti, per la Chiesa è la nuova rievangelizzazione: ripartire da Dio, da Gesù, Figlio di Dio, dall’ascolto della sua Parola e dal suo esempio in risposta alla filosofia del superuomo, potenziato dalla struttura del regno del peccato, proposto come paradiso terrestre, infestato d’idoli, di magie e d’illusioni. Ripartiamo da Gesù per ritrovare il senso ultimo di noi stessi.

Vi erano là sei giare di pietra destinate alle abluzioni.
Il Maestro non si muove. I servi aspettano gli ordini. La festa continua. I commensali sono allegri. Qualcuno pensa al peggio, altri dicono: stiamo a vedere. La musica nasconde le incertezze che s’infiltrano anche nella gioia della vita. In alcuni cuori c’è l’attesa, in altri il silenzio della fede e la certezza che Gesù sa come fare, sa come dimostrare il suo amore per l’uomo e la sua gloria, la sua provenienza divina, soprattutto ai discepoli presenti. Il momento è veramente importante perché deve proporsi come luogo della creazione, luogo della conversione, luogo del miracolo. Gli strumenti presentati da Giovanni in modo descrittivo: V’erano sei giare di pietra destinate alle abluzioni, passano sotto l’azione della potenza divina di Gesù. Esse sono di pietra, ossia esprimono la durezza della materia nei confronti dell’azione dello spirito. I cuori di pietra sanno resistere alle sollecitazioni della grazia, come si legge nell’Apocalisse: Sto alla porta e busso (Ap.3,20).

E Gesù, richiamando Isaia, dirà: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me, vuol fare conoscere non solo gli ostacoli da rimuovere per l’incontro con Lui, ma intende fare capire che, nonostante tutto, compirà ugualmente il miracolo di Dio in mezzo a noi, alla Chiesa, alle famiglie, alle coscienze, ai popoli, qualunque sia la loro condizione sociale e morale, perché Dio ama l’uomo e si cura di lui. La motivazione d’ogni intervento di Dio è il suo amore per noi. Gli attimi di pausa prima dell’azione bruciano, consumano, se vogliamo, i nostri egoismi, per restituirci all’amore per la vita.

Gesù ordinò ai servitori: Riempite le giare di acqua.
E’ da approfondire, oltre le apparenze, il comportamento di Gesù. In Lui, dopo le parole di Maria che ormai ha predisposto le cose e gli animi all’accoglienza dell’opera divina del Figlio di Dio, sembra in atto un raccoglimento interiore che richiama alla mente i grandi silenzi biblici, quando Dio si consulta prima di intervenire nella guida del suo popolo. Gesù sa di porsi oltre il possibile umano, mettendo nel ritmo del quotidiano il ritmo del tutto è possibile a Dio (Mc.10,27).

La sua Incarnazione passa ora dall’epifania di Dio nell’epifania dell’uomo: un volto nuovo ed un potere d’amore onnipotente scendono a proporre alla mente, al cuore, alla volontà degli uomini, quelle aperture profonde dell’essere umano, creato ad immagine e somiglianza di Dio, per mezzo delle quali la persona umana diventa capace d’infinito, di dialogo e d’esperienza di Dio, essendo chiamata a partecipare alla natura di Dio con la figliolanza adottiva e col progetto di salvezza universale, il vero sogno dell’Amore di Dio.

Il punto di partenza esistenziale è quello richiesto da Gesù ai servitori: riempite le giare d’acqua, ossia salvare se stessi da se stessi e lasciarsi riempire da Dio, accettare l’azione di Dio in noi, lasciare fare a Gesù Figlio di Dio fatto uomo e partecipe di questa nostra umanità, perché egli trasforma in noi la sua Incarnazione e la sua dimensione di uomo-Dio, morto e risorto. La fede conduce a riempirsi della Parola di Dio; essa è Dio, il Verbo fatto uomo.

Essi le riempirono fino all’orlo.
Non è detto che cosa hanno pensato i servitori che già sapevano dell’esaurimento delle scorte di vino. Mentre Giovanni dà spazio all’obbedienza dei servitori precisando che riempirono le giare fino all’orlo. Non si poteva aggiungere altra acqua. E’ importante questa sottolineatura poiché dà risalto alla realtà dei limiti umani nei confronti di Dio. Essere pieni fino all’orlo, per le giare e per la dimensione umana, è ammettere implicitamente la propria creaturalità, la propria dipendenza da Dio, ma significa anche riconoscere la tensione metafisica del proprio essere che ha indotto Maria Vergine nell’istante dell’annuncio ad affermare: Avvenga di me secondo la tua Parola (Lc.1,38).

La disposizione morale che emerge dal comportamento dei servitori è senza dubbio l’obbedienza radicale fortificata dall’umiltà manifestata nell’eseguire materialmente gli ordini ricevuti, disponendo se stessi ad accogliere l’intervento misterioso di Gesù. E’ evidente il passaggio dalla logica umana alla logica di Dio nel gesto di riconoscere la propria impossibilità di fronte a Gesù: Io sono la Via, la Verità e la Vita (Gv.14,6). Un riconoscere inconsciamente la Parola: senza di Te non possiamo fare nulla. Noi ti doniamo la nostra mente, Tu la trasformi in novità di condivisione. Tu non accetti d’essere superiore, ma servitore, fratello, vittima per gli uomini. Liberare poi la grandezza dell’uomo, Figlio di Dio, dal peccato e dal potere di Satana è per Te, o Signore, un dovere d’amore e di fratellanza divina. Ti doniamo il nostro nulla perché solo Tu puoi trasformarlo in dimora di Dio.

Poi aggiunse: Attingete e portatene al direttore della mensa.
L’acqua si converte in vino dentro le giare e sotto gli occhi meravigliati dei servitori chiamati ad attingere del vino dalle giare dopo averle riempite d’acqua. Non ci sono parole di fronte al miracolo della vita di Dio con noi. Al posto delle parole subentra la fede nella presenza d’amore di Dio venuto ad incontrare l’uomo per fargli conoscere il suo destino, la cura con cui il suo divino amore sceglie di agire a dismisura nella misura umana. Egli è Dio e uomo e non sconfessa né l’uno né l’altro perché egli vuole che l’uomo sia unito a Dio, come la natura umana e la natura divina sono unite nella Persona divina di Gesù senza separazione e senza confusione.

La conversione dell’acqua in vino, compiuta da Gesù a Cana, intende fare capire ai discepoli, attraverso i segni, il mistero della sua Persona, la sua origine dal Padre, il suo totale abbandono a Lui, il suo cammino verso l’ora.

Non si crede ad una cosa o ad una dottrina, ma in una Persona. Come la Vergine Maria, esempio di abbandono alla volontà di Dio, pone la sua fiducia nella Persona del Padre, la virtù dell’Altissimo ti adombrerà, così il discepolo, come il cristiano oggi, si fida di Gesù, si abbandona a Lui e si lascia condurre. Perciò, la fede è conversione, apertura al nuovo, è disponibilità a compiere l’esperienza di Dio alla maniera di Cristo. La fede è attingere da Cristo la vita nuova per comunicarla agli altri, affinché il banchetto della vita riprenda il cammino sulla strada dell’Incarnazione.

Il quale assaggiò l’acqua cambiata in vino.
Il direttore di mensa è coinvolto come responsabile. Non c’è nulla di mutato. Il miracolo non fa strepito poiché ogni intervento di Dio è per noi e per l’uomo di tutti i tempi un miracolo. Il modo di agire di Dio si differenzia sostanzialmente dall’agire umano, spesso chiassoso e tanto comune. Inoltre l’inserimento di Dio nella vicenda umana si cala perfettamente nel rispetto delle regole che presiedono lo svolgersi del banchetto, sicché a nessuno dei commensali è richiesto di sapere, di ringraziare, di riconoscere, di onorare, di adorare il Dio presente che converte l’acqua in vino anche per la gioia del loro spirito.

Maria, dopo essere intervenuta presso Gesù, tace e si comporta in quella situazione, come qualsiasi altra invitata. Gesù lascia il luogo del servizio e ritorna con i servi tra i commensali; la festa dopo qualche comprensibile disappunto, angoscia, perplessità, può riprendere con l’arrivo in tavola del vino del miracolo. Ed è esattamente ciò che accade dopo l’assaggio in pubblico del direttore della mensa. Il passaggio dal vino vecchio al vino nuovo è segno del passaggio avvenuto tra il vecchio uomo e l’uomo nuovo, tra l’Antico e il Nuovo Testamento, dall’epoca precristiana all’epoca cristiana: ma tutto ciò avviene nel mistero dell’agire di Dio fatto uomo tra gli uomini, che continua ancora oggi nella cattedrale del quotidiano, mediante la Chiesa, sacramento di salvezza e d’amore, che vive i drammi dell’uomo moderno nella Cana secolarizzata, dove si celebra la festa della vita come se Dio non ci fosse.

Il direttore della mensa chiamò lo sposo.
La ripresa, però, registra qualcosa di nuovo. Il buon vino rivela al direttore di mensa un comportamento insolito da parte degli sposi, in quanto è consuetudine servire vino scadente verso la fine del banchetto quando tutti sono brilli. A Cana, dunque, accade che la festa nuziale mantiene dall’inizio alla fine uno stile mai praticato. Il miracolo si consuma, ma nei commensali si distribuisce l’amore divino che non osa imporsi, secondo le leggi degli uomini, ma secondo le vie misteriose della grazia di Dio. A Cana la cosa più importante è che Gesù sia entrato con questo miracolo nella vita degli uomini ed abbia iniziato il cammino del Messia tra le genti. Nel gesto del direttore della mensa si cela il desiderio di volere riconoscere che tutta la festa ora è passata in un altro contesto, dove non tutto dipende dagli uomini, ma da un protagonista amico degli uomini che sa intervenire al momento giusto Affinché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (cfr,Gv.10,10). S’impone la presenza di qualcuno che spiega l’uomo all’uomo, invitandolo a conoscere il male che gli impedisce di essere uomo, ossia la comunione filiale con Dio, in Gesù uomo e Dio. Questo anelito del cuore alla condivisione col mistero dell’Essere si fa ogni giorno più imponente a causa della perdita della ragione, dell’avversione al dolore, alla sofferenza, al rifiuto del peccato e alla conversione. Eppure ciò che è accaduto a Cana avviene in ogni momento della vicenda umana dei singoli, delle società e dei popoli.

Tutti servono da principio vino buono e quando tutti sono brilli il meno buono.
Per noi, che conosciamo come si sono svolti i fatti a Cana di Galilea, è facile capire l’errore che compie il direttore della mensa quando rivolge allo sposo quell’apprezzamento indebito e quella immeritata lode. Egli non sa nulla, né ha chiesto nulla ad alcuno; forse avendo saputo che non c’era più vino, avrebbe potuto dichiarare finita la festa. Sembra, però, che Maria Vergine abbia provveduto, prima ancora che lo sposo potesse escogitare una possibile soluzione. La tempestività dell’amore di Maria per l’uomo è grande. Lo sposo è stato soltanto sfiorato da un’angoscia avvolgente da cui non sarebbe potuto uscire da solo, almeno per quanto riguarda il tempo. La dimensione soprannaturale di Maria rivela in questa circostanza l’amore proveniente dalla grande Madre di Dio. Perciò nell’Incarnazione Gesù, restando quello che era, ed assumendo quello che non era, unì la vera natura di servo a quella che lo fa uguale al Padre. Congiunse le due nature con un vincolo così meraviglioso che né la gloria a cui era chiamato assorbì la natura inferiore, né l’assunzione di questa natura diminuì la natura superiore. Convergendo le due nature in una sola Persona, ecco che l’umiltà è assunta dalla maestà, la debolezza dalla potenza e la mortalità dall’eternità.

A Cana, Gesù, per intervento di Maria, manifesta chi è per l’uomo concreto e a quale esperienza il credente è chiamato: all’esperienza del Dio fatto uomo, per cui San Paolo afferma: Tutto posso in Colui che mi conforta (Fil.4,13).

Tu, invece, hai serbato vino buono fino a questo momento.
L’arte di Gesù è l’amore oblativo, ossia essere tutto per l’uomo, affinché l’uomo sia tutto per Dio secondo la volontà del Padre. L’arte dell’amore umano, quando si dimentica che l’amore è da Dio (cfr.Gv.4,8-9), ricorre alle alchimie del sembrare e del non essere. Tra gli uomini dalla vista corta, ma dalla mente astuta, sembra un dovere creare illusioni o parvenze invece di dichiarare più onestamente si, se sì; no, se no (Mt.5,37).

Lo stupore del direttore della mensa è proprio dovuto al fatto di trovarsi di fronte ad uno sposo che manifesta una mentalità vera, autentica nel trattare i commensali con vino buono dal principio alla fine. Ma egli sa che alla festa vi è presente uno che dona all’uomo una collaborazione ed una cultura divina, che nasce dall’alto e completa, arricchisce il cuore di chi crede in Lui e in Lui si abbandona totalmente.

Lo sposo sa o non sa chi è Gesù? La risposta non è richiesta; ciò, invece, che è richiesto a noi è di sapere cogliere la dimensione dell’intervento di Maria Vergine. Maria si sostituisce allo sposo quando chiede a Gesù ciò che lo sposo gli avrebbe chiesto se avesse avuto la conoscenza di fede di Maria, la Madre di Gesù. Il compito di Maria è sostitutivo quando la debolezza o la povertà umana o l’esperienza di peccatori induriti nella mente, nel cuore e nella volontà, allontana l’incontro diretto con Cristo per una conversione totale al suo progetto di vita. Allora Maria, la Madre di Gesù, sostiene la nostra preghiera, ottenendo ciò che noi da soli non siamo in grado di ottenere, ossia la gioia di compiere sempre la volontà di Dio, il quale, in Gesù, ci ha elevati alla dignità di figli e ci tratta con amore di padre. L’esperienza di fede diventa Incarnazione.

Questo è il primo miracolo che Gesù fece.
Sarebbe meglio dire che a Cana di Galilea è nata ed iniziata l’opera attiva, diretta, totale di Gesù insieme a Maria Vergine. Qui c’è la Betlemme della missione. Maria e Madre feconda per opera dello Spirito santo. Lo è dall’eternità. Lo sarà fino alla fine dei tempi, perché, nel piano della redenzione tutto accade nel nome di Maria e nel nome di Gesù per opera dello Spirito Santo.

Gesù e Maria sono il binomio dell’amore di Dio per l’uomo offerto come modello di vita e ideale cui aspirare la propria conversione interiore e quella di tutti i credenti che accolgono Gesù come proposta d’esperienza di vita con Dio, di contemplazione, come Persona divina venuta tra noi per insegnarci come mettere Dio al primo posto, come vivere in tutto la sua volontà, come rispondere alla sofferenza, alle contrarietà, alle contraddizioni del nostro io, alle passioni della carne, della superbia, della concupiscenza, alla cupidigia, all’invidia, al desiderio di felicità inquietante e travolgente che agita in ogni istante la tensione profonda dell’essere intelligente e libero: soprattutto quella forza trascendente dello Spirito che non si sazia con il possesso delle cose o con il potere del denaro e della libertà per la libertà a 360 gradi.

A Cana inizia la scuola di Gesù e Maria per la nascita degli uomini figli di Dio. Qui si impone la scoperta della contemplazione come vocazione del credente, della Chiesa e del regno di Dio con noi. Il contemplativo è testimone dell’essenziale in mezzo a noi. A Cana, Maria, la contemplativa per eccellenza, trascurando il fragore della festa, coglie ciò che è essenziale per il proseguimento delle nozze. E l’essenziale è Dio in Gesù, fatto uomo, che deve essere collocato al centro della nostra persona come il sole in cielo. IO sono la luce del mondo (Gv.9,5). Camminate finché la luce è ancora tra voi (Gv.12,35-36).

Così manifestò la sua gloria.
La gloria di Gesù, nel contesto del Vangelo di Giovanni, è inseparabile dalla croce e dalla resurrezione. I segni, di cui quello di Cana è il primo, hanno funzione di svelare che la vicenda di Gesù di Nazareth, incamminato verso la croce, nasconde nel suo profondo la vittoria di Dio. Alla base di tutto ciò c’è l’amore di Dio per l’uomo: un amore che non annulla la natura umana per piegarla alla natura divina nel Verbo fatto carne, ma un amore che redime l’uomo dalla colpa e dai peccati, offrendogli in Cristo, il modello d’umanità possibile, anzi è un invito a lasciarsi conquistare da Cristo.

Il dialogo con Dio in Gesù, uomo e Dio, morto e risorto, è più di un dialogo. Lo abbiamo già dimostrato: è, innanzitutto, una maniera di porsi alla conquista di quell’identità per cui Dio è possibile, è praticabile, è nella dimensione umana senza smarrire nulla della dimensione della Persona divina. A Cana Gesù, per intervento di Maria, annuncia con le parole di Paolo di Tarso: Ti basta la mia grazia (2^Cor.12,9). Gesù è ciò che manca ad ogni uomo perché possa essere se stesso. L’uomo laico deve scoprire che senza Gesù, Dio fatto uomo, non potrà mai essere se stesso, perché egli cerca il Dio fatto uomo in ogni suo desiderio di felicità e di benessere. Infine Gesù insegna che la sua gloria dipende dalla conformità e dalla dipendenza al volere del Padre.

A Cana Gesù diventa Maestro ed esempio dell’uomo nuovo creato da Dio nella verità, nella giustizia, nella figliolanza divina. A quanti l’accolsero diede il potere di diventare figli di Dio (Gv.1,12). Poiché dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia (Gv.1,16).

E i suoi discepoli credettero in Lui.
I discepoli giungono con Gesù a Cana di Galilea. Essi finiscono per essere ospiti sia degli sposi sia di Gesù. La prima ospitalità è l’occasione per giungere alla conoscenza del loro Maestro; la seconda, invece, li trasforma in credenti in Gesù figlio di Maria e figlio di Dio. Essi, in vista della grazia che compie il miracolo, sanno scorgere nell’uomo Gesù di Nazareth, la Persona divina, il Figlio di Dio che si cela nella dimensione umana: E il Verbo si è fatto carne (Gv.1,14), è una sola Persona che vive nella natura umana e nella natura divina in modo mirabile, restando vero uomo e vero Dio, nascosto nella realtà umana. I discepoli, a questo punto, si fidano di Gesù, allo stesso modo con cui Maria Vergine si fida del figlio: Fate tutto quello che vi dirà. Gesù è una scuola, una dimora vivente dello Spirito divino, è il Messia, è il Salvatore, è il nuovo Adamo, è il restauratore del regno di Dio in terra: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo (Mc.1,15). La fede, perciò, è conversione, apertura al nuovo, disponibilità, sensibilità all’ascolto della voce di Dio che parla attraverso il Figlio suo, il verbo fatto carne. Noi ora chiudiamo la riflessione.

Un grazie, fratelli e sorelle, allo Spirito Santo, alla Vergine Maria, a Gesù Maestro, Salvatore ed esempio d’umanità, anzi complemento d’umanità, per averci concesso di visitare il cuore dei commensali più straordinari presenti a Cana e nella nostra vita quotidiana. Per ripartire da Dio ogni giorno, in quell’unione d’amore che lega Maria a Gesù, è necessario scoprire che senza Dio non abbiamo senso e speranza, perché senza futuro.

Con la riflessione siamo testimoni del miracolo. Gesù dimostra di essere il Signore e nel miracolo ci lascia intravedere il senso sacramentale della sua azione:
il battesimo: Gesù ordina ai servi di riempire d’acqua le giare messe lì perché gli invitati si purificassero; e cambia quell’acqua in vino per far vedere che l’antico rito è inferiore al nuovo, come l’acqua è inferiore al vino;
la santa Eucaristia: il vino (che è del colore del sangue) prefigura il vino che Gesù trasformerà nel suo sangue durante un altro pasto festivo;
il matrimonio: approvato e santificato dalla presenza di Cristo al banchetto nuziale.

Accostiamoci con i discepoli e gli altri invitati per gustare il vino del Signore, assaporarlo e deliziarcene. E’ davvero il calice del Signore che colma di gioia il cuore degli uomini. Signore, noi crediamo a te, confidiamo in te, desideriamo amarti con tutto il nostro essere. A Cana tu compisti il tuo primo segno e manifestasti la tua gloria. Ti adoriamo, Signore del creato. Ti lodiamo, ti rendiamo grazie per le meraviglie che hai operato e attraverso le quali ci ammaestri. Tu solo sei il Signore, tu solo l’Onnipotente, Gesù Cristo, con Dio Padre e la Vergine Maria. A te la lode e la gloria per l’eternità.

Gesù e il tempio

Capitolo 2,13-22

*Era vicina la Pasqua dei giudei, e Gesù salì a Gerusalemme. *Trovò nel tempio venditori di buoi, di pecore e di colombe, e cambiavalute seduti al loro banco. *Fece una frusta di corde e li cacciò tutti dal tempio, con pecore e buoi, sparpagliò a terra le monete del©cambiavalute e rovesciò le loro tavole. *E disse ai venditori di colombe: Portate via tutto questo e non fate della casa del Padre mio una casa di mercato. *Allora i suoi discepoli ricordarono che sta scritto: la passione per la tua casa mi consuma. *Intervennero i giudei e gli dissero: Che segno ci mostri per fare queste cose? *Rispose Gesù: Demolite questo tempio e io in tre giorni lo farò risorgere. *Replicarono i giudei: Questo tempio fu costruito in quarantasei anni e tu lo farai risorgere in tre giorni? *Egli parlava del tempio del suo corpo. *Quando risorse dai morti, i suoi discepoli ricordarono quanto Aveva detto e credettero alle Scritture e alle parole di Gesù.

Il primo atto di Gesù nella città santa riguarda il tempio di Gerusalemme. Il suo gesto sconvolge gli affari commerciali nel cortile del tempio presentato da Giovanni come l’adempimento delle profezie dell’A.T. Infatti, secondo Isaia 56,7, il tempio avrebbe dovuto essere una casa di preghiera; secondo Geremia 7,11 tali commercianti l’avevano trasformata in un covo di ladri. Per comprendere questo gesto di Gesù, che possiamo chiamare segno anche se il termine non ricorre, è utile ricostruirne lo sfondo. In primo luogo, quale sfondo remoto, la polemica dei profeti contro il tempio e l’attesa di una sua purificazione per il tempo messianico. Ecco che il gesto di Gesù va letto alla luce di Malachia 3,1-4: Ecco, io mando il mio messaggero a preparare la via innanzi a me e presto verrà nel suo tempio il Signore che voi ricercate. L’espressione casa di mercato evoca a sua volta Zaccaria 14,21: in quel giorno non vi sarà più nessun mercante nel tempio del Signore degli eserciti. Questo è dunque un primo significato: il gesto di Gesù si colloca nel contesto della tradizione biblica e ha un chiaro senso messianico (ma già l’espressione casa del padre mio lascia sospettare un senso più profondo), senso che i giudei erano in grado di intendere. Infatti, è in questa luce che va intesa la loro domanda: Che segno ci mostri per fare queste cose?. Gesù non soddisfa la loro domanda, come non la soddisfò in Marco 8,11, perché l’uomo deve saper leggere i segni che Dio offre, non pretenderne altri. E poi, se approfondiamo con attenzione la richiesta, ci accorgiamo che non c’è sincerità sulle loro bocche. Difatti rifiuteranno Gesù proprio perché ha compiuto segni e lo crocifiggeranno. La risposta di Gesù è molto chiara: Demolite questo tempio e io in tre giorni lo farò risorgere, disse riferendosi a se stesso. Giovanni con più decisione d’ogni altro autore neotestamentario, afferma che non solo il tempio è decaduto perché è arrivato Gesù, ma perché egli, il Cristo, è il vero tempio, il luogo unico della presenza salvifica di Dio fra noi.

Indice Vangelo di Giovanni