Vangelo di Marco – Cap 9

transfigurazione di Gesù

La trasfigurazione
Cap. 9, 2-13

*Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse soli sopra un alto monte, in un luogo appartato. E si trasfigurò davanti a loro: *le sue vesti divennero sfolgoranti, bianchissime, tali che nessun lavandaio sulla terra saprebbe farle così candide. *E apparve loro Elia con Mosè, e stavano conversando con Gesù. *Pietro allora prese a dire: Rabbi, si sta bene qui; facciamo dunque tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia. *Ma non sapeva che cosa dicesse, tanto erano presi dallo spavento. * E venne una nube che li avvolse, e dalla nube una voce: Questi è il Figlio mio, il diletto; ascoltatelo. *E subito, guardandosi attorno, non videro più nessuno, salvo Gesù solo con loro.

*Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro di non raccontare a nessuno quello che avevano veduto; se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. *Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi fra loro che mai significasse quel risorgere dai morti. *E gli chiesero: Perché dicono gli Scribi che prima deve venire Elia? *Egli rispose loro: Elia, certo, viene prima a ristabilire ogni cosa; ma come mai sta scritto del Figlio dell’uomo che deve soffrire molte cose ed essere disprezzato? *Ma io vi dico che Elia è già venuto e lo hanno trattato come hanno voluto, nel modo che è stato scritto di lui.

Marco racconta il capitolo rilevandone la portata apocalittica. Teniamo presente che il genere letterario apocalittico indica che il racconto mira ad evidenziare la rivelazione dell’essere misterioso di Gesù. E’ il Figlio dell’Uomo avvolto di gloria divina, il Signore a cui tutto è sottomesso, il nuovo Mosé che annuncia la parola definitiva e ultima di Dio all’umanità, il figlio amatissimo di Dio. L’originalità del brano, oltre alla scenografia tipicamente apocalittica, proviene dal contesto. Il tutto sta significando che al di là della passione esiste per Gesù un futuro di gloria divina, che il crocifisso è il Figlio dell’Uomo che verrà alla fine nello splendore della sua divinità. Il servo sofferente di Dio e il Figlio dell’Uomo glorioso sono uniti nella stessa persona.

Il capitolo 9, inizia così: “Sei giorni dopo…” costruisce all’istante un ponte tra quello che è accaduto precedentemente, vale a dire la confessione di Pietro a Cesarea di Filippo, il primo annuncio della passione del Figlio dell’Uomo e ciò che accade nella presente narrazione. Si è quasi costretti a rilevare con immediatezza che questi “Sei giorni dopo” non si possono intendere in senso letterale soltanto: sarebbe una frase troppo rimpicciolita rispetto a quanto sta per svelare il testo. Infatti, dopo una breve introduzione, si parla della Trasfigurazione di Gesù, delle Parole del Padre celeste dalla nube luminosa; è logico perciò chiedersi cosa richiama alla mente, a quale fatto biblico ci riporta la frase “sei giorni dopo” .

Probabilmente a quanto accadde sul monte Sinai (Es. 24,12-18), dove si narra che Mosé salì sul monte portando con sé Aronne e i suoi due figli, Nadab e Abiu: il monte rimase avvolto per sei giorni da una nube, vale a dire dalla gloria di Dio. “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni”. Come Mosé salì sul monte accompagnato da altri tre, così anche il nuovo Mosé, Gesù, sale il monte con tre dei suoi discepoli, i quali, peraltro, saranno gli stessi che accompagneranno Gesù nell’Orto degli Ulivi e saranno testimoni della sofferenza del Messia, come qui lo sono della Gloria. Gesù li porta “per pregare” e all’interno della preghiera egli è trasfigurato. La stessa cosa accade anche nella nostra preghiera: la fede ci fa vedere in una luce diversa Gesù di Nazareth, lo mostra come Figlio amato dal Padre. Gesù “fu trasfigurato davanti a loro” in altre parole davanti ai tre discepoli.

Egli subisce una trasformazione, una spiritualizzazione del suo corpo; spiritualizzazione che diventerà permanente in lui dopo la sua risurrezione. L’attuale Trasfigurazione, quindi, è solo un anticipo di quanto avverrà in maniera continua in futuro. Marco concentra tutta la sua attenzione su Gesù, vestiti compresi. Avendo davanti a noi il riferimento biblico di cui sopra, è logico immaginare che Marco voglia evidenziare la somiglianza tra Gesù e Mosé il quale scendendo dal monte Sinai “aveva la pelle del volto raggiante, per il fatto di aver conversato con Dio (Es. 34,29). Gesù in questo modo è rappresentato come il nuovo Mosé.

“Ed ecco apparvero loro Mosé ed Elia che conversavano con Gesù”. Marco introduce l’avvenimento con una sua tipica espressione: apparve loro. Non è solo lui ad usarla ma è presente nel linguaggio corrente della Bibbia ed ha l’intento di richiamare con forza l’attenzione del lettore, perché sta per accadere qualcosa di grandioso, di divino. Marco dice che il qualcosa d’importante è l’apparire di Mosé e d’Elia chinati verso Gesù nella Gloria e poi conversano. L’evangelista inserisce Mosé prima d’Elia, vale a dire la legge prima dei profeti.

Pietro afferma: “E bello per noi essere qui”. In altre parole è come se dicesse che in quel luogo è bello essere, vivere, esistere. La vita, in genere, è vissuta con intensità là dove essa appare nella sua bellezza originaria, come Dio l’ha pensata e voluta. Cosa significhi l’espressione di Pietro che segue subito dopo: “Farò qui tre tende”, non è facile spiegarlo. Ci può aiutare il greco con la parola “skené”, vocabolo che contiene tre consonanti s k n che si trovano pure nella parola ebraica shekinà, che significa presenza di Dio, gloria di Dio tra gli uomini. Con ogni probabilità Pietro con le sue parole, desidera che questa shekinà diventi duratura; resti stabile tra gli uomini di cui ora i discepoli sono spettatori.

Il centro del racconto è dove si dice che “una nube luminosa li avvolse”. I richiami all’A.T. sono diversi. Sempre in Es. 40,34-35, si parla della nube luminosa che avvolgeva la tenda di Mosé, e sempre una nube misteriosa riempiva il tempio costruito da Salomone a Gerusalemme è narrata in 1 Re 8,10-11. La nube nasconde il volto di Dio; ma essa non oscura la sua voce che si sente nitidamente: “Questi è il Figlio mio, il diletto; ascoltatelo!” Frase che è un concentrato d’alta teologia, già presente nell’A.T., poiché in Gesù si concentrano tutte le attese e le speranze del popolo ebraico. “Questi è il mio Figlio”, rimanda al Salmo 2,7; l’aggettivo “diletto” ci porta al racconto d’Isacco figlio prediletto di Abramo (Gn.22,2); ed infine, “Ascoltatelo!” ci fa riudire la voce di Mosé che in Det. 18,15 profetizza che un nuovo profeta occuperà il suo posto dopo la sua morte. In sostanza l’A.T. trova il suo culmine nella persona di Gesù.

I discepoli sollevando gli occhi “E subito, guardandosi attorno, non videro più nessuno, salvo Gesù solo con loro”. Gesù è il nuovo Mosé, il nuovo Elia: Ascoltatelo! Tuttavia il versetto fa emergere la solitudine di Gesù nell’andare a Gerusalemme. Sa che dovrà affrontare la passione, la morte e la resurrezione, di cui la Trasfigurazione è stata solo un anticipo. Come un’eco dell’esperienza della trasfigurazione, Marco fa seguire l’interessante colloquio di Gesù con i tre discepoli, nel quale sono ripresi e commentati i temi che dominano tutta questa sezione: la morte e la glorificazione di Gesù. Il materiale della sezione è così distribuito:

  1. Ordine di tacere e commento dell’evangelista;
  2. Domanda circa la venuta d’Elia;
  3. Annuncio isolato della passione.

“Gesù ordinò loro di non raccontare a nessuno quello che avevano veduto…” L’ordine di tacere risente dello stile e delle preoccupazioni di Marco. Ma questa volta il segreto non riguarda l’identità di Gesù o ciò che egli ha compiuto, ma quello che hanno veduto; inoltre all’ordine di tacere è fissato un limite: se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti.

Come possiamo valutare ora il racconto a proposito dell’esperienza che i discepoli hanno avuto del maestro? Sembra di dover escludere prima di pasqua una rivelazione del suo essere trascendente e divino. Soltanto alla luce della risurrezione essi comprenderanno a fondo, per la prima volta, chi era Gesù e il senso della sua morte tragica. Svelato l’enigma della sua persona nelle apparizioni del Risorto, nasce la professione di fede che egli è il Figlio di Dio e il Figlio dell’Uomo trascendente. La crocifissione non appare più un fallimento ma una tappa necessaria verso la gloria e soprattutto l’espressione della sua obbedienza di servo sofferente glorificato da Dio. Lo scandalo della morte tragica è superato. Essa ha significato l’abbassamento del Figlio dell’Uomo, che verrà alla fine nella pienezza della sua gloria e come Signore del mondo. Ne è garanzia la risurrezione. Il racconto della trasfigurazione, originato da questa fede pasquale, intende anticipare nella trama del vangelo il significato dell’evento di pasqua. Perciò la trasfigurazione è l’apparizione pasquale anticipata.

La trasfigurazione (compresi gli interrogativi dei discepoli) è la seconda delle tre grandi rivelazioni che scandiscono la lotta sofferta ma vittoriosa del regno di Dio nella persona di Gesù. Il battesimo ne era stato il preannuncio divino. La passione e la risurrezione saranno il compimento. Ora avviene la rivelazione ai discepoli: in Gesù, Messia sofferente e vittorioso, Dio manifesta la sua gloria e la sua potenza di salvezza. La trasfigurazione è una viva esortazione ad ascoltare Gesù quando parla delle sue sofferenze e della sua morte, senza cessare di riconoscerlo come Messia definitivo, come il Servo fedele di Dio. L’incomprensione dei discepoli prima della risurrezione resta profonda. La Chiesa e i discepoli tutti sono chiamati a “incarnarsi” nel mondo, ad essere presenti nelle sue strutture, ma solo per trasformarle, accettando di morire ad ogni successo terreno, a ogni auto-sicurezza. La loro vittoria apparirà solo quando, spezzati dalla morte, risorgeranno in un mondo che essi avranno aiutato a trasfigurare.

Guarigione di un ragazzo epilettico
Cap. 9,14-29

*Ritornati dai discepoli, videro una grande folla intorno ad essi e alcuni scribi che discutevano con loro. *E subito la folla, appena vide Gesù, ne fu sorpresa e corse a salutarlo. *Egli li interrogò: Di che discutete con loro? *Uno della folla gli rispose: Maestro, io ti ho portato mio figlio, che ha uno spirito muto, *il quale, dovunque si impadronisce di lui, lo butta a terra, ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho chiesto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non hanno potuto. *Rispose loro: O generazione incredula, fino a quando dovrò stare con voi? Fino a quando vi sopporterò? Portatelo da me. *E lo condussero da lui. Appena ebbe visto Gesù, lo spirito scosse violentemente il ragazzo che, caduto in terra, si rotolava schiumando.

*Gesù domandò al padre: da quanto tempo gli succede questo? Rispose: Dall’infanzia, *e spesse volte l’ha gettato anche nel fuoco e nell’acqua per farlo morire. Ma tu, se puoi farci qualcosa, abbi pietà di noi e soccorrici. *Riprese allora Gesù: Se puoi! Ogni cosa è possibile a chi crede. *Il padre del fanciullo subito gli gridò: Io credo, soccorri la mia poca fede! *Gesù, vedendo che si riuniva gente, comandò allo spirito impuro: Spirito muto e sordo, io te lo comando, esci da costui e non entrarvi mai più. *Lo spirito, dopo aver gridato e averlo molto straziato, uscì, e il fanciullo rimase tramortito, tanto che molti dicevano: E’ morto. *Ma Gesù, prendendogli la mano, lo rialzò; e quello si mise in piedi. * Entrato Gesù in casa, i suoi discepoli gli chiesero in privato: Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo? *Rispose loro: Questa specie di demoni non si può scacciare se non con la preghiera.

In questi versetti continua la rivelazione di Gesù ai discepoli. L’episodio del ragazzo epilettico ne è la causa. Infatti, i suoi discepoli non sono riusciti a guarire quel ragazzo. Gesù si lamenta con la folla, e anche con i suoi discepoli, della poca fiducia dimostrata nell’onnipotenza di Dio che agiva in lui, espressa anche dalla mancanza di preghiera. Di fronte al popolo ammalato d’incredulità Gesù esalta con forza l’onnipotenza risanatrice della fede e della preghiera. Con un rituale d’esorcismo molto vicino a quello di un rito battesimale, Gesù guarisce il ragazzo, facendolo quasi passare attraverso una morte e una risurrezione. Nel modo di narrare di Marco c’è un accenno implicito alla liturgia catecumenale. Il ragazzo viene “portato” ai discepoli e a Gesù, ed è restituito sano da lui attraverso la preghiera e la fede, fortemente sollecitate dal Maestro. La potenza trasfiguratrice di Cristo passa a noi attraverso la fede e i sacramenti che ha istituito, che sono la continuazione dell’opera di Gesù, vero Messia e Salvatore, e primo sacramento di salvezza.

E’ difficile dare un titolo a questo lungo e vivace racconto. Se siamo stati attenti alla lettura del brano, dobbiamo porci la domanda: si tratta della guarigione di un epilettico o della liberazione di un indemoniato? I sintomi descritti con dovizia di particolari ci portano a credere che il ragazzo sia afflitto da epilessia, tuttavia questi vengono però attribuiti ad uno spirito muto; in seguito lo spirito impuro viene apostrofato da Gesù come spirito muto e sordo. E la reazione dello spirito, all’intimazione di Gesù di uscire dal ragazzo malato, è simile a quella che Marco ha descritto nel primo caso d’esorcismo nella sinagoga di Cafarnao.

I discepoli e gli esorcismi. I discepoli appaiono all’inizio e alla fine della narrazione. All’inizio essi stanno discutendo con gli Scribi. Possiamo indovinare il tema della discussione da quanto afferma il padre del ragazzo: Ho chiesto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non hanno potuto. Alla fine viene ripreso il tema nel colloquio o istruzione privata: Entrato Gesù in casa (espressione prediletta di Marco). La risposta di Gesù alla domanda dei discepoli si richiama al senso di tutto il racconto: la fede. La vittoria sull’avversario che tiene in schiavitù l’uomo non è frutto di una tecnica speciale, dipende unicamente dall’azione potente di Dio, alla quale l’uomo si apre con la preghiera fiduciosa.

La fede. E’ il tema dominante nell’incontro di Gesù con il padre del ragazzo, riassunto nella sentenza solenne: Ogni cosa è possibile a chi crede. L’esclamazione di Gesù: O generazione incredula… fino a quando vi sopporterò, non è semplicemente uno sfogo emotivo, anche se comprensibile e perfettamente in armonia con le altre reazioni di Gesù registrate da Marco, ma è un’affermazione di più vasta risonanza. Tutta l’espressione generazione incredula, fino a quando.., richiama il lamento che la Bibbia pone sulle labbra del Signore nei confronti del popolo del deserto; è quel popolo che dimentica o non sa cogliere il significato dei gesti salvifici. In altre parole si tratta anche ora, di fronte ai gesti di Gesù e alla sua rivelazione, dell’antico peccato del popolo di Dio: la mancanza di fede. Come sempre l’unica condizione richiesta per l’intervento salvifico di Dio è la fede, vale a dire la totale apertura dell’uomo alla sua azione. Nel caso presente questo atteggiamento viene egregiamente espresso dall’implorante esclamazione del padre: Io credo, soccorri la mia poca fede (incredulità).

La guarigione e la risurrezione. Il confronto drammatico di Gesù col povero ragazzo tormentato raggiunge il suo apice nella scena finale. Mentre la folla, di fronte al malato, vittima di un estremo attacco, esclama: E’ morto, Gesù lo prende per mano, lo rialza e quello si mette in piedi. Per fissare quest’ultima scena Marco ricorre al modello letterario che gli è servito per raccontare la guarigione della suocera di Pietro, e la risurrezione della figlia di Giairo.

Tenendo conto di queste allusioni alla risurrezione, l’episodio del ragazzo guarito o liberato da Gesù lega molto bene con la scena precedente della trasfigurazione, nella quale è stata annunciata la risurrezione di Gesù. Per i credenti, i segni che annunciano la piena vittoria sulla morte, possono essere i gesti di liberazione da ogni genere di male che opprime l’uomo.

Secondo annuncio della morte e risurrezione
Cap. 9, 30-37

*Quindi, partiti di là, s’aggiravano per la Galilea, ma Gesù non voleva che alcuno lo sapesse. *Infatti egli ammaestrava i suoi discepoli dicendo: Il Figlio dell’uomo sarà consegnato nelle mani degli uomini, e lo uccideranno; e, ucciso, dopo tre giorni risorgerà. *Ma essi non compresero quella parola e temevano di interrogarlo. *Giunsero a Cafarnao, ed entrati in casa, chiese loro: Di che discorrevate per via? *Ma essi tacevano, perché per via avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. *Allora egli, messosi a sedere, chiamò i dodici e disse loro: Se uno vuol essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti. *E preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse: *Chi riceve un bambino come questo nel mio nome, riceve me; e chi riceve me, non riceve me, ma colui che mi ha mandato.

Col secondo annuncio di passione Gesù presenta un’altra volta ai suoi discepoli il suo modello messianico di dedizione e servizio fino alla morte; i Dodici invece lasciano cadere tale discorso per loro incomprensibile e al contrario discutono animatamente fra loro chi sia il più grande! Gesù allora si siede (a modo di maestro) per inculcare una verità nuova: il più grande deve essere l’ultimo, e cioè il servo di tutti, e deve accogliere con amore e abbracciare il bambino, in altre parole il povero, l’impotente e il disgraziato, come se fosse lui e il Padre. Al secondo annuncio della morte-risurrezione, come già dopo il primo, segue una nuova istruzione ai discepoli. Inizia quindi un’ampia raccolta di sentenze che si protraggono fino al termine del capitolo 9.

La prima serie di sentenze riguarda la precedenza o il rango, un tema oggetto di vivaci discussioni e minute prescrizioni in ogni comunità religiosa, in particolar modo nell’ambiente giudaico. L’intervento di Gesù è occasionato dalla discussione dei discepoli, che si disputano, come abbiamo letto, i posti e litigano per la precedenza. La parola di Gesù applica alla comunità la logica della croce; essa opera un capovolgimento dei valori e acquista tutta la sua serietà dell’avvenimento storico della morte di croce, dove il primo Gesù, diventa l’ultimo di tutti e il servo di tutti.

L’azione simbolica del bambino, posto in mezzo ai dodici e accolto con amore e venerazione, è la drammatizzazione della sentenza. Nella società antica il bambino non aveva posizioni o diritti legali, perciò Gesù identificandosi con il bambino diventa servo e ultimo con chi è privo di diritti e di prestigio. Da questa nuova prospettiva anche le precedenze e le attenzioni ai ranghi o ruoli sociali e religiosi sono rovesciate. Soltanto coloro che riconoscono questo fatto e ricevono il regno come un dono ci entreranno.

La prossimità con Dio non si misura con il metro del prestigio o del ruolo, ma con quello dell’accoglienza, della solidarietà e dell’amore per gli ultimi. Finalmente anche l’uomo ritrova il suo valore non per quello e quanto sa, produce o fa, ma in forza della nuova catena di solidarietà che, mediante Gesù, risale fino al Padre, a colui che lo ha mandato.

Nel nome di Gesù
Cap. 9,38-42

Gli disse Giovanni: Maestro, abbiamo veduto uno scacciare i demoni nel tuo nome; e poiché non era dei nostri, abbiamo cercato di impedirglielo. *Ma Gesù rispose: Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che operi prodigi nel mio nome e possa subito dopo parlare male di me. *Chi infatti non è contro di noi è per noi. *E chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua perché siete di Cristo, io vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. * Ma chiunque sarà occasione di scandalo a uno di questi piccoli che credono, meglio sarebbe per lui che gli appendessero al collo una macina da mulino e lo gettassero in mare.

In questi versetti sono raccolte sentenze sul tema nel nome di Gesù, e viene introdotto per contrasto il tema della sezione successiva mediante il termine-chiave scandalo, un problema già vivo al tempo di Gesù, ma ancora di più nella comunità primitiva che era quello di valutare i fenomeni straordinari, come appunto gli esorcismi.

L’impetuoso Giovanni riferisce a Gesù, in nome degli altri discepoli, come loro hanno impedito ad uno di scacciare i demoni pronunciando il nome di Gesù, perché non era discepolo come loro. Gesù risponde con un proverbio che diventerà espressione della tolleranza cristiana: “Chi non è contro di noi, è per noi”: chi fa del bene invocando il nome di Gesù, non può che parlar bene di lui. Anche se ufficialmente non è suo discepolo, lo è di fatto.

La sentenza concernente il tema dell’accoglienza vuole rilevare la dignità del discepolo di Cristo in un tempo di persecuzione e di dispersione. Anche nella parabola del giudizio finale, secondo Mt. 25,34-36, i gesti d’accoglienza e di soccorso ai “più piccoli di questi miei fratelli”, sono la condizione per ricevere l’eredità del regno. Gesù s’identifica con i discepoli. Su questo sfondo si comprende allora il tono e la serietà della parola sullo scandalo dato ai discepoli, a questi “piccoli che credono”. Si tratta dell’inciampo messo alla fede e alla comunione dei fratelli più deboli e fragili nella comunità cristiana. Mettere in crisi di fede questi piccoli discepoli è più grave dell’uccisione o del suicidio per annegamento. L’immagine della grossa e pesante macina da mulino, legata al collo dell’annegato non solo fa un certo effetto, ma nell’ambiente di Gesù richiama la somma sventura di un disgraziato che rimaneva insepolto.

Quanti cristiani anonimi ci sono nel mondo che non ostacolano Cristo, anzi agiscono nel suo nome seguendo la voce della coscienza e usufruendo del clima cristiano, anche se non hanno la tessera del cristiano o di una nostra associazione, o della nostra teologia! Non ostacoliamoli con lo spirito gretto di Giovanni, ma rendiamoli nostri amici e collaboratori.

Avvertimenti contro lo scandalo e circa la pace nella comunità
Cap. 9,43-50

*Se la tua mano ti è occasione di peccato tagliala: meglio è per te entrare nella vita monco, che avere due mani e andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. *E se il tuo piede ti è occasione di peccato, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che essere gettato con due piedi nella Geenna. E se il tuo occhio ti è occasione di peccato, cavalo: è meglio per te con un occhio solo entrare nel regno di Dio, che essere gettato con due occhi nella Geenna, *dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. *Perché ognuno sarà salato col fuoco. *Buono è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che gli darete sapore? Abbiate del sale in voi stessi e state in pace gli uni con gli altri.

Il brano riunisce quattro “detti” autonomi di Gesù.In loro s’invita a soddisfare le esigenze più modeste del prossimo, a non spingere i deboli al male, a stare in guardia contro le tentazioni e l’inganno di se stessi. Infine nel quarto Gesù afferma che ogni discepolo dovrà essere salvato dal fuoco purificatore del dolore e della prova, che non dovrà perdere il sale dell’entusiasmo apostolico e che vivrà in pace solo se possederà il sale della sua dottrina.

Le sentenze proseguono con il tema dello scandalo, già annunciato nei versetti precedenti. Tuttavia qui non si tratta più di essere d’inciampo o d’ostacolo alla fede dei discepoli, ma dell’occasione di caduta o peccato riguardo a se stessi. Il rifiuto netto e radicale d’ogni connivenza con il male viene espresso plasticamente dai tre detti sulla mutilazione della mano, del piede e dell’occhio. E’ evidente che l’intenzione delle tre sentenze non è quella di raccomandare un’inutile mutilazione per evitare il male. Tutta la forza delle tre immagini sta nell’efficacia del contrasto e del paradosso. Anche la perdita di ciò che è più prezioso per una persona, come la mano, il piede e l’occhio, non è paragonabile al danno che deriva ad essa dall’adesione al peccato. In gioco, infatti, c’è il destino definitivo dell’uomo, vale a dire la scelta della vita piena nel regno escatologico di Dio o la rovina totale.

La rovina è suggerita dalle immagini della Geenna e dal fuoco inestinguibile. Il quadro della punizione viene completato con il richiamo biblico (Is.66,24), dove la rovina obbrobriosa dei nemici consiste nel disfacimento dei cadaveri insepolti. La novità del vangelo non consiste nel proporre una nuova concezione dell’aldilà, ma nel dare, per mezzo della parola e della vicenda di Gesù, un nuovo fondamento all’impegno di vivere seriamente nell’al di qua, dove viene deciso il destino ultimo o definitivo dell’uomo davanti a Dio.

Le sentenze in Marco si avviano alla conclusione riprendendo il tema iniziale: i rapporti sani all’interno della comunità dei discepoli. Lo spunto di questo sviluppo è ancora offerto da una parola-aggancio: il fuoco. Il termine richiama un’altra sentenza, che parla di sale, e quest’ultimo, per associazione d’idee, ricorda l’assennatezza o sapienza, che sta alla base dei buoni rapporti in una comunità cristiana.

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