Sergio e Elena

Un bimbo e il Natale

Rammento che un giorno, seduto su una panchina dei giardini della città, udii una donna che diceva ad un bambino (era zia e nipote) che eravamo ancora in autunno, ma che presto sarebbe giunto l’inverno, la temperatura sarebbe scesa, quindi la festa di S.Lucia e Babbo Natale. Il bambino chiese di Gesù bambino. Prontamente la zia gli disse che sarebbe arrivato anche lui, aggiungendo che lo ponevano sempre nel presepe. Ma i doni li portava Babbo Natale.

Me ne andai, aggirandomi per le vie del centro e ripensai alle parole di quel bambino dallo sguardo vivace ed esclamai:” E’ proprio una questione di soldi, di quattrini!”.

Ovunque i commercianti avevano già allestito addobbi natalizi, montate le luminarie ed esposte strenne varie. La città era rapidamente trasformata. Gli alberi stessi dei giardini pubblici, dove avevo sostato, erano illuminati a giorno da una serie di lampadine bianche. Le principali vie erano ovunque illuminate da luminarie e alberelli in vasi sovraccarichi di sfere colorate e fiocchi. Le piazze attigue al centro erano invase da bancarelle su cui stavano ammonticchiati scarpe, maglioni, giocattoli, dolci, luminarie , statuine e quant’altro.

I negozi avevano assunto un aspetto fuori dall’ordinario. Il via vai di gente, verso sera, era impressionante: tutti si spostavano velocemente, disordinatamente, nervosamente senza preoccuparsi di fare economie, ma di acquistare e rendere le abitazioni più accoglienti e le tavole più ricche. Giorno dopo giorno, con l’avvicinarsi del Natale, la numerosa folla sarebbe stata preda di una agitazione interiore incontrollabile. Ammisi a me stesso che anche io ed Elena ci eravamo comportati allo stesso modo, con la tipica frenesia gli anni precedenti. Considerai la futilità di quel comportamento conseguenza diretta della vanità, dell’egoismo e dell’individualismo.

Dov’era finita la dolce e allegra atmosfera dell’attesa della nascita del Redentore? Dov’erano finiti il mistero, la sacralità, i sogni di quell’atmosfera irreale e immobile che circondavano la festività nel suo vero significato? Meditando sugli effetti della trasformazione che avveniva in me e in Elena, cercai rifugio in piazza del Duomo e la trovai invasa da un’incomprensibile, cimiteriale sfilata di cipressini accostati con un ordine per me indecifrabile, con una disposizione che impediva di percorrere la piazza liberamente. Probabilmente spinta dalla mia espressione perplessa e corrucciata, una passante si sentì in dovere di spiegarmi che si trattava di un albero di Natale disegnato per terra. Non riuscii neanche a replicare, la signora si era già allontanata.

Lasciai la piazza tristemente. Nei pressi di casa, anche gli ippocastani erano illuminati. Lo sconforto ben presto si dissolse e io mi sentii libero dall’oppressione consumistica. Quante volte in passato avevo pronunciato quella parola, però solo in questa nuova circostanza compresi che la libertà si determina sempre in rapporto alla verità a cui si apre. Con Gesù e il suo insegnamento la nostra libertà venne rienvagelizzata poiché stavamo scoprendo, io ed Elena insieme, la verità definitiva.

Questo mio elucubrare mi indusse a distinguere radicalmente la libertà intesa come esaltazione degli istinti o dell’arbitrio: libero, così pensai, è colui che di volta in volta può scegliere ciò che più aggrada o più utile. Al contrario, la libertà evangelica esige la fedeltà, che a volte pare erroneamente, il contrario della libertà, ma che invece è pienamente umanizzante perché illuminata e sostenuta dallo Spirito di Cristo.

La dimensione della libertà evangelica si distingue anche dalla nobile libertà dell’uomo saggio o del filosofo, che pensa la libertà come un prendere in mano la propria esistenza, padroneggiandola. Per il Vangelo, di cui stavo diventando interprete, la libertà non si realizza rientrando nel proprio intimo e dominando se stessi. Sforzo senz’altro nobile, forse anche necessario, ma insufficiente perché quando si acquisisce la verità come un dono di Dio anche la libertà deve adeguarsi. Accogliendo il Vangelo trovammo la libertà e accogliemmo l’Amore crocifisso, conformandoci all’amato, consegnandoci e donandoci, non possedendoci. La libertà evangelica trova il suo spazio nell’obbedienza al Padre e nel dono di sé, due cose che a molti, nel comune pensare pagano, potrebbero sembrare il contrario della libertà, rifiutando l’idea che la libertà è amore. Non l’uomo che vive conservandosi è libero, ma l’uomo che vive donandosi come Gesù sulla Croce. Infatti, la schiavitù è l’idolatrica appartenenza a se stessi e al peccato, idolatria che, ponendo il proprio io al centro dell’esistenza materiale, ripiega l’individuo su se stesso, precludendogli ogni altro orizzonte, sia verso Dio, sia verso gli esseri umani e il mondo.

E’ così che vedendo quel che accadeva, iniziammo ad avvertire questa nuova condizione che ci permetteva realmente di sentirci liberi della schiavitù del peccato e ci lasciammo condurre dallo Spirito Santo (a quel tempo avevamo già ricevuto l’effusione dello Spirito Santo). E il non rincorrere i beni terreni, accontentandoci di ciò che avevamo, non ci costò fatica, anzi questa consapevolezza ci rese felici.