Sergio e Elena

Sergio e Elena

Perché avvengono le conversioni? Non è possibile rispondere in modo razionale ad una domanda imperniata sulla fede nel Cristianesimo, che non contempla i “perché”, ma l’esclusivo ed incondizionato “credo”. Quello che è certo è che in un mondo in cui i valori cristiani sono spesso sopraffatti, messi in disparte, sostituiti con falsi valori materiali, chiunque, non solo l’ultimo degli sbandati, ma anche colui che ha sempre vissuto in modo virtuoso, può improvvisamente sentirsi perso, sprecato e desiderare quel cambiamento di rotta che gli permetta di vivere la differente pienezza della fede in Cristo. Questi sono alcuni ricordi di un incontro e di una duplice conversione. Si tratta di una narrazione intrisa di un misticismo che eleva l’autore e coinvolge spiritualmente il lettore, nella quale sovrasta su tutti e tutto la figura di un “uomo” davvero speciale di cui il tempo non conosce l’esistenza, che combatte le forze del male ed è capace di ridare i sogni perduti ed il sorriso smarrito.

Questa è la storia di Elena e di Sergio nel momento in cui narrano la loro esperienza di conversione avvenuta grazie ad una serie di circostanze, ad una forza misteriosa e sovrannaturale e con l’aiuto di una persona determinante alla quale l’Onnipotente ha fatto la grazia di alcuni doni. Un “uomo” che potrebbe essere esistito per la veridicità dei fatti e che da militante della sinistra extraparlamentare “combatte una buona battaglia” e diventa cristiano con l’aiuto del Signore.. Cristo nel suo grande progetto di salvezza dell’intera umanità, gli ha donato dei carismi particolari facendolo incontrare un giorno “sulla strada della vita”, con Sergio e con Elena, anch’ essi combattuti nel medesimo modo. Dall’incontro Sergio ed Elena comprendono che le loro certezze, il loro credo, non sono rivolti ad ideali terreni, ma ad una ricerca interiore di Dio, in atto da anni, che una volta giunta miracolosamente a compimento permette loro di scoprire la grazia della Fede.

Perte prima

L’incontro

Siamo nell’anno 1961, il giovedì prima di Natale. Rammento che mi recai a trovare una mia cugina per farle gli auguri. Lei era solita esercitarsi come parrucchiera in casa. Entrai nella camera salone e la trovai al lavoro sulla testa di una giovinetta. Si chiamava Elena e aveva sedici anni. Qualcosa che non conoscevo mi trapassò l’anima, provocandomi un fremito. Avevo, allora non lo sapevo, incontrato l’altra metà dell’anima. Anche lei poco più tardi mi confessò che aveva avvertito interiormente un qualcosa di indefinibile confessandomi che mi amava. Da allora non ci siamo più lasciati. Insieme abbiamo scoperto la vita, insieme abbiamo scoperto la fisicità gioiosa dei nostri corpi, ci sembrava di naufragare, un dolce naufragare nell’abisso della felicità. Quanto ridere facevamo quel tempo.

In quel periodo lavoravo come disegnatore progettista in una ditta locale della mia città natale. Intanto il tempo trascorreva, venne il servizio militare. Mia mamma e mia nonna la adoravano. Era come una loro figlia. Era bella, intelligente, giovane, piena di vita, e, soprattutto sincera e riservata. Concluso il servizio militare, un ingegnere mi offrì un lavoro in Sardegna, come assistente di cantiere nella costruzione di un grande impianto chimico. Oramai, anche fuori le mura della mia città natale, conoscevano le mie doti di disegnatore.

Rientrato dopo due anni e mezzo circa, venni chiamato dal preside dell’ITIS della città, il quale mi offrì il lavoro nel locale ufficio tecnico (a quel tempo si stava edificando il nuovo istituto).

Così dopo sette anni di fidanzamento, decidemmo di unirci in matrimonio, che avvenne il 15 aprile dell’anno 1968. Nel 1969, a maggio, nacque nostro figlio Michele, e nel 1989 entrò all’accademia militare.

A quel tempo eravamo lontani dalla Chiesa, nel senso che eravamo indifferenti. A parte il fatto che all’età di diciotto anni, dopo che avevo convinto alcuni amici ad andare a ballare, più che altro per la curiosità, il lunedì successivo presi una sberla dal prete che al solo pensiero mi fa male ancora la guancia. Mi apostrofò dicendomi che il Signore mi aveva dato un dono, e che non lo dovevo sciupare inutilmente. Sta di fatto che me andai, sentendomi libero. Questo aveva originato l’indifferenza.