Vangelo di Marco – Cap 2

Terza controversia.
Marco 2,18-22: La questione del digiuno e la novità evangelica.

*I discepoli di Giovanni e i farisei stavano digiunando. E vengono a dirgli: Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano e invece i tuoi discepoli non digiunano? *E Gesù rispose loro: Forse gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro, possono digiunare? Finché hanno lo sposo con loro non possono digiunare. *Ma verranno giorni nei quali lo sposo sarà loro tolto, e allora in quel giorno digiuneranno. *Nessuno cuce su un vestito vecchio un panno nuovo, altrimenti il rattoppo strappa il buono del vecchio e la lacerazione diventa peggiora. *E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino fa scoppiare gli otri, e si perde il vino e anche gli otri; ma vino nuovo in otri nuovi.

Per calarsi nel senso profondo dei versetti in oggetto, dobbiamo compiere un passo indietro nell’A.T. Dio ha sempre rivelato il suo amore per le sue creature con espressioni più che mai tenere e umane. Così quando assicura che anche se una madre abbandona il figlio, egli non abbandonerà mai il suo popolo (Is.49,15); e quando, dopo il tradimento e il castigo, richiama a sé il suo popolo, rinnoverà il suo patto d’amore dichiarando: “Ti sposerò per l’eternità, ti sposerò nella giustizia e nel diritto, nella tenerezza e nell’amore, ti sposerò nella fedeltà” (Os.2,21-22). Da sempre Dio ha cercato tutti i modi per far comprendere il suo amore per l’umanità non disdegnando presentarlo nelle forme più accessibili all’uomo come quelle dell’amore materno e dell’amore sponsale. Gesù esce dagli schemi dell’uomo devoto e si è inserito in questa linea e quando i farisei gli hanno mosso critiche perché i suoi discepoli non digiunavano, ha risposto: “Forse che possono digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro?”

Il fatto è che Gesù, non solo sta alla buona tavola con compagnie poco raccomandabili, ma non pratica neppure quella forma di ascesi che, secondo la mentalità comune, caratterizza l’uomo religioso: il digiuno. Questo comportamento singolare emerge in modo appariscente dal confronto con l’atteggiamento di Giovanni Battista, l’asceta del deserto. I farisei digiunavano non solo nelle circostanze prescritte dalla legge, come nel giorno del gran perdono, ma due volte la settimana, il lunedì e il giovedì. Nella controversia del digiuno i due gruppi sono contrapposti: da una parte i discepoli del Battista e quelli dei farisei, dall’altra i discepoli di Gesù. Gesù in questa sorta di proverbio-parabola attribuisce a sé il titolo di sposo che Dio, per bocca dei profeti, si era riservato. Egli, infatti, è Dio sceso in mezzo al suo popolo, che incarnandosi nel seno di una Vergine ha sposato la natura umana con vincolo indissolubile: “Ti sposerò per l’eternità” . Vale a dire che la profezia di Osea si è compiuta in lui; la salvezza preannunciata sotto figura di sponsali tra Dio e l’umanità si realizza in Cristo Gesù. Perciò la sua permanenza tra gli uomini è il tempo delle nozze; tempo di festa a cui non si addice il digiuno.

Con la sua risposta Gesù non intende disapprovare il digiuno che ha già ratificato (Mt.6,16-18), ma vuol far comprendere che la sua presenza nel mondo è la presenza dello Sposo venuto a portare gioia e salvezza. Del resto questa presenza non durerà a lungo: “Verranno giorni quando sarà loro tolto lo sposo, e allora digiuneranno in quel giorno”. E’ un’allusione velata alla sua passione e morte, allorché egli sarà sottratto con violenza ai suoi amici. Sarà quello il tempo del digiuno e del pianto. Le parole di Gesù non propongono ai credenti un modello di comportamento religioso o sociale, organizzare festini nuziali o saltare i pasti quotidiani, ma definiscono il ruolo della sua persona, La sua presenza e la sua assenza sono la ragione del loro stare insieme e del comportamento che si esprime anche attraverso le forme esterne della gioia e della tristezza.

Questa interpretazione è confermata dalle due piccole parabole collocate a questo punto. Gesù non è venuto a mettere “una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio”, né del “vino nuovo in otri vecchi”, ma a rinnovare dalle radici l’umanità intera. Il suo inserimento nel tempo, nella vita e nella storia umana dà al mondo un volto e un senso nuovo; la vecchia mentalità dei farisei, fatta di prescrizioni, non è capace di accogliere questa “novità”, occorre pertanto una mentalità nuova edificata sulla parola di Gesù Cristo. Egli non è venuto a restaurare la sinagoga, ma a fondare la sua Chiesa “novità” nata dal suo sacrificio; e soltanto a lei consegnerà il “vino nuovo” del suo sangue e della sua dottrina perché ne alimenti la vita e nutra tutti i suoi figli in un banchetto nuziale che inizia quaggiù, ma che si compirà solo in cielo. Il rapporto con Gesù rende vecchie e inutili tutte quelle idee e quelle strutture che pretendono di programmare o manipolare la libertà dell’azione divina.