L’aborto

La testimonianza

Ero disteso sul letto della cameretta dell’ospedale, quando la donna si avvicinò. Era entrata, con gli amici del figlio, ricoverato lui stesso, lasciandola presto sola. Mi disse, piuttosto esitante, che aveva bisogno di parlarmi. Mi rialzai sul letto, deposi il Vangelo sul comodino, e le strinsi la mano. In lei c’era qualcosa d’antico che la tormentava. L’invitai a confidarsi e così, tutto d’un fiato, confessò di avere abortito per ben due volte. Percepii, dalla tensione che vibrava ogni suo muscolo, la sofferenza di quel corpo, la lacerazione di quell’anima, il dolore del suo spirito lontano da Dio ormai da qualche tempo. Soffriva di sensi di colpa, di paure immotivate, di depressione e d’una situazione psicologica in frantumi.

Era convinta, da quando aveva commesso i due crimini, che il Signore non l’amasse e l’avesse abbandonata, che il peccato commesso l’aveva perduta per sempre. Cercai di alleviare lo stato d’ansia rassicurandola, dicendole che il Signore, proprio in quella situazione drammatica le era accanto, che la sua misericordia e il suo amore sono talmente grandi da perdonare tutto, e che la parola fine nei suoi confronti non era stata pronunciata. Ma compresi anche che aveva una visione distorta di Dio. Che ciò che le stavo dicendo rappresentava un inizio a conoscere davvero il Signore, e che se lo desiderava poteva avere un incontro con Lui, una relazione personale completamente nuova. Che Gesù era venuto sulla terra in forma umana proprio per aiutare gli ammalati, i peccatori, i senza speranza, liberandoci tutti dalla schiavitù del peccato. Le dissi che Dio la amava e il suo più grande desiderio era che lei conoscesse il suo amore, che doveva aprirgli la porta del cuore, accoglierlo, e lasciarsi amare da Lui, ricambiandolo con tutto il cuore. Aggiunsi inoltre che doveva scacciare l’idea del pensare comune che fa dire alla gente: “Non posso crederci. Io sono piena di difetti, di peccati, d’egoismo, non sono certa una santa, ho commesso due crimini atroci. Dio non può amarmi!”.

Al contrario riaffermai invece che Dio voleva che sapesse che l’amava, proprio in quel momento, così com’era, e che anzi l’aveva sempre amata. Continuai a parlarle del Signore dicendole che Lui l’aveva voluta e desiderata; Lui aveva progettato la sua nascita, Lui l’aveva attesa immaginando e formando il suo volto, il suo corpo, il suo carattere. Le dissi che Dio le era Padre e che l’aveva accolta tra le sue braccia al momento della nascita, che Lui la seguiva ogni giorno della sua vita, sempre presente, anche nell’ora dei peccati, soffrendo con lei. Che il Signore le era sempre stato vicino, anche quando commetteva cose contrarie alla sua volontà.
Così le consigliai di recarsi da un penitenziere in Duomo, implorare e abbracciare la Croce di Cristo Gesù chiedendogli, con umiltà, di perdonarla. Oggi ripenso a quelle lacrime che le rigavano il volto chiedendomi fino a che punto giunge la stupidità dell’uomo quando si allontana da Dio.

L’indomani ritornò a trovare il figlio. Sul suo volto di donna era scomparsa la vergogna e il dolore morale e spirituale della sua colpa e del suo misfatto. Fino al giorno prima stava morendo nel silenzio di una condanna, non trovando comprensione. Nel suo intimo, desiderava non avesse fatto quella scelta, non voleva ammetterlo perché sentiva che la sua colpa non trovava perdono, via d’uscita, riabilitazione, speranza.

La strada intrapresa, il riscoprire l’amore di Dio, le aveva fatto rinascere la gioia della distensione e la pace interiore che le invadeva l’anima, lo spirito e il corpo dopo il perdono. La pace del cuore, le dissi, che è frutto del perdono misericordioso di Dio in Cristo Gesù, e aggiunsi, che si trattava di una grazia che ha il potere di mutare i cardini dell’esistenza. Lei stava male perché avvertiva il bisogno del perdono di Dio poiché la sua coscienza era esplosa diventando simile ad una polveriera a causa dei suoi disordini morali. Le spiegai che nel momento in cui il rimorso interiore sfugge ad ogni possibile controllo della coscienza, lo star male dell’anima pretende una risposta di verità o di condanna. Infatti, il disordine morale e il peccato non stanno mai da soli, ma si moltiplicano fino a divenire un modo o una maniera di vivere, quindi una condizione esistenziale tanto più suadente e persuasiva quanto più sa aggregarsi alla situazione di coloro che condividono la stessa sorte.

Per concludere affermai che il male sa farsi pubblicità da solo. Infatti, la coscienza, accecata dalle passioni considera “progresso” ciò che è contro natura e contro la legge morale naturale, per il solo fatto che un numero crescente di persone, o la cultura vigente lo testimonia e lo rendono una moda, un costume.