Non abbandonarci

Lectio Divina – 33

GEREMIA

“Non abbandonarci”

14, 17-21

Introductio.

Lodiamo Dio Padre, nostro Signore, che ci ha chiamato ad ascoltare nuovamente la sua Parola di vita. Preghiamo Maria santissima che ci sostenga nel ricevere lo Spirito Santo.

Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In essi il fuoco del tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
e donaci per intercessione di Maria che ha saputo
contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande: quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo. Amen.

Lectio.

Geremia come profeta è un simbolo di fede e di coraggio. Nel bel mezzo di terribili difficoltà egli continuò a predicare con convinzione e forza. In effetti, era l’unico che si rendeva chiaramente conto di cosa stava accadendo. La sua dedizione alla chiamata di Dio era tale che egli non ebbe mai un momento d’esitazione, qualsiasi prezzo dovesse pagare. Per questo motivo Geremia è un richiamo per tutti i tempi al comportamento richiesto in periodo di crisi.

Il fondamento del messaggio di Geremia è il concetto di Dio come solo e unico creatore e gestore dell’universo. Dio opera secondo la sua volontà, conosce il cuore umano, aiuta coloro che hanno fiducia in Lui e ama il suo popolo. Egli esige che il popolo risponda con fede, speranza e amore, poiché Dio sa cosa sta facendo. Neppure la disperata situazione in cui Giuda era venuta a trovarsi sfuggiva alla sua conoscenza né esulava dai suoi piani. Se Giuda avesse accettato solo Dio come Signore, se avesse accettato il suo giudizio, Dio a tempo debito si sarebbe mostrato il salvatore.

Ma Geremia pone l’accento anche sulla responsabilità personale dell’uomo. Il popolo non poteva biasimare nessun altro, ma solo se stesso. Alcuni cercavano di addossare la colpa dei loro guai agli antenati, alle nazioni confinanti, ai profeti che stigmatizzavano le loro colpe, perfino a Dio; ma mai a se stessi.

Al contrario, Geremia voleva che il popolo si rendesse conto che la restaurazione poteva compiersi solo a patto di essere disposti ad accettare la responsabilità delle proprie azioni. Anche noi siamo certamente influenzati da molti fattori esterni, ma essi non possono essere addotti a giustificazione della nostra cattiva condotta.

Un altro punto rilevato da Geremia è la fiducia posta solo in Dio. Troppo a lungo il popolo ha posto la sua fiducia nella forza militare, nel denaro e perfino nella sua religiosità (come abbiamo visto nella lectio precedente).

Infine Geremia avversò la falsa religione e i falsi predicatori del suo tempo. La verità doveva essere insita nel cuore. Un giorno Dio avrebbe stretto una nuova alleanza con il suo popolo, un’alleanza che collocherà una legge nel loro animo e la scriverà sul loro cuore, non su tavole di pietra.

Leggiamo il cantico tutti insieme attentamente.

Meditatio.

Il cantico è una lamentazione fra le più accorate del libro di Geremia, e comprende i seguenti elementi: descrizione del flagello, supplica del popolo, risposta negativa di Dio. Il cantico rappresenta, in realtà, l’arringa del profeta. Nonostante le implorazioni di Geremia, il Signore rimane inesorabile. Alla siccità iniziale si aggiungono altre sventure: l’assedio e la caduta di Gerusalemme. Il cantico nel suo insieme si riferisce al momento più cupo della storia d’Israele. Non c’è più indulgenza possibile, la salvezza può ormai passare soltanto attraverso il crollo totale del paese e della nazione. Quanto più grande è il rinnovamento che la conversione implica, tanto maggiore è la distruzione che essa comporta.

Il dramma personale di Geremia consiste nell’amare senza riserva due avversari irriducibilmente insorti l’uno contro l’altro. Da una parte Dio, dall’altra Israele in rivolta. La sola via d’uscita è la più insistente preghiera d’intercessione. Mettersi dalla parte del peccatore per incitarlo al pentimento, mettersi dalla parte di Dio per muoverlo a pietà.

E’ in questo quadro che Geremia enuncia il cantico, che si svolge secondo tre linee direttrici:

Dall’osservazione esterna alla partecipazione. Il profeta piange dapprima come un testimone sensibile, ma senza confondersi con le masse colpite (vv.17-19). Con il v.19, lo stile autobiografico passa dal singolare al plurale. L’ io dell’orante si è immerso nel noi della comunità. Al v.20, la solidarietà si esprime in maniera ancora più profonda. Il profeta non esita a addossarsi la responsabilità dei peccati del popolo, quelli della sua generazione come quelli delle generazioni passate. Egli pensa “in funzione d’Israele”, si considera in tutto e per tutto uno del popolo. Atteggiamento che fa di Geremia una prefigurazione di Gesù Cristo, “agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Gv.1,29).
Dalla città organizzata allo sfacelo. Nella rovina della guerra e della carestia, la struttura sociale si disgrega. Non c’è più uno Stato, ci sono soltanto individui sbandati che tentano di sopravvivere in un fuggi fuggi generale. Si può valutare la gravità della disgregazione dal fatto che anche i profeti e i sacerdoti, capi naturali del popolo, non dirigono più niente. Essi stessi non sanno più cosa fare (v.18). Il male è più forte delle persone prese ad una ad una. Pare che Dio abbia rigettato Giuda e Sion come tali. L’alleanza esiste ancora? (v.21).
Dal pentimento dell’uomo alla gloria di Dio. L’uomo è impotente a ricostruire ciò che distrugge peccando. Anche il pentimento non basta. Resta dunque soltanto l’arma della preghiera. In mancanza di meriti nostri, ci salvino l’onore e la gloria di Dio. La reputazione di Dio è legata alla sopravvivenza del suo popolo (v.21)

Rileggiamo il cantico in silenzio attenti ai suggerimenti dello Spirito Santo.

Contemplatio.

O mio Dio, anche noi, nei tempi attuali, vediamo, sbigottiti ed attoniti, terre, popolazioni flagellate dalla siccità, da cataclismi, da fame e sete, da malattie, da guerre; queste situazioni tragiche, a volte, sono dovute a fenomeni naturali, ma altre sono imputabili agli uomini stessi. Siamo disorientati perché non riusciamo ad intravederne le soluzioni, seguiamo or questo or quell’altro “profeta”; anche alcuni sacerdoti mostrano sconcerto, perché non sanno trovare le parole per confortare, per indicarci la via da seguire. Sembra, o Dio, che Tu ci voglia abbandonare, che Tu non voglia farci sentire la tua presenza amorevole. Ma Tu, o Dio, vuoi che riconosciamo i nostri errori, dobbiamo essere consapevoli che l’infedeltà di ciascuno di noi all’Alleanza con Te non pregiudica solo la nostra vita e quella di chi ci circonda, ma si estende a tutta l’umanità e alla creazione intera. Dobbiamo pentirci e supplicare la tua misericordia. Come nei tempi antichi Mosè, Samuele, lo stesso Geremia intercedevano presso di Te e Tu accoglievi le loro preghiere e perdonavi il popolo d’Israele dalla “dura cervice”, così ora ascolta la supplica che ti rivolge la Chiesa, sposa e Corpo mistico del Tuo Figlio Unigenito, madre dei credenti; fa che, dopo ogni prova purificatrice, come gli Israeliti, anche noi possiamo esser certi che Tu ritornerai a far “brillare il tuo volto su di noi, ad esserci propizio…e a concederci la pace.

Conclusio.

“Ecco io creo cieli nuovi e una nuova terra…; si godrà e si gioirà per sempre…Non si udranno più voci di pianto, né grida d’angoscia” (Is.65,17-19).

La profezia presenta la felicità dei tempi messianici, quando verranno ristabiliti i rapporti d’amicizia tra Dio e il suo popolo. Il Vangelo annuncia la venuta del Salvatore come “una gran gioia che sarà di tutto il popolo” (Lc.2,10), gioia spirituale, ma che ha riflessi anche nel sollievo e nel conforto di tante sofferenze umane. Tuttavia Gesù non è venuto a portare un messaggio di felicità terrena, Né ad instaurare in questo mondo un’era dalla quale sia escluso ogni pianto ed ogni dolore. E’ venuto a prendere su di sé il peso della sofferenza umana per trasformarla in mezzo di salvezza e quindi di felicità eterna nella patria beata, l’unica in cui non “vi sarà più lutto, né lamento, né dolore” (Ap.21,4).

Anzi Gesù ha indicato proprio nelle tribolazioni abbracciate per amore di Dio, la via che conduce alla beatitudine: “Beati i poveri, gli afflitti, gli affamati, i perseguitati…” (Mt.5,3-10).

Il cristiano non ha una visione pessimistica della vita, perché sa che qualsiasi sofferenza è mezzo prezioso per associarsi alla passione di Cristo e quindi anche alla sua resurrezione.

Grazie Santissima trinità per questa ora di preghiera.

Sia glorificato ora e sempre il Tuo Nome.