Un bambino è nato per noi

Lectio Divina – 31

ISAIA

“Un bambino è nato per noi”

9,1-6

Introductio.

Lodiamo Dio nostro Padre che ci ha chiamato ad ascoltare la sua Parola. Preghiamo Maria Vergine Madre perché ci assista nel ricevere lo Spirito Santo.

Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In essi il fuoco del tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
e donaci per intercessione di Maria che ha saputo
contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande: quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo. Amen.

Lectio.

L’A.T. è posto in mezzo al cammino tra le promesse di Dio realizzate e da realizzare per il popolo ebraico lungo certe tappe della sua storia, poi in Gesù e poi alla fine dei tempi. Compito suo è ricordare le promesse e la loro graduale realizzazione, tenendo desta l’attesa del compimento ultimo. In questo quadro si collocano i singoli Profeti, ciascuno col proprio messaggio, tutti però con un unico scopo, che è di dialogare con qualcuno (Israele, Giuda, i sacerdoti, i re, ecc…) per fargli scoprire la sua particolare situazione di quel momento davanti a Dio.

Nell’anno 970 a.C. (circa) era morto David cui era succeduto il figlio Salomone che muore a sua volta nel 931 circa, dopo un regno veramente prospero e pacifico. Anche a lui succede il figlio Roboamo; ma sotto di lui le tribù del popolo che risiedono nel Nord (Samaria) si separano da quelle del Sud (Giudea e dintorni di Gerusalemme), fanno uno Stato proprio sotto l’impulso di Geroboamo che si fa ungere loro re (la vicenda è narrata in 1 Re 12). Da questo momento gli Ebrei sono divisi in due stati sovrani, ciascuno con una vita propria, e partecipano alla vita politica delle nazioni intorno a sé, finché nel 721 il regno del Nord cade in mano agli Assiri e la popolazione è deportata. Qualche decennio più tardi, nel 701 durante il regno di Ezechia, anche il Sud sarà invaso, pur continuando ad esistere con alterne vicende fino al 598 quando Gerusalemme è presa e la popolazione deportata a babilonia.

Isaia visse a Gerusalemme nell’VIII secolo a.C. (sullo sfondo storico della minaccia dell’Assiria). La sua chiamata da parte di Dio, è avvenuta nell’anno della morte del re Ozia (740 circa). Profetizzò per oltre 40 anni sotto i regni di Iotam (uomo pio come suo padre), Acaz (uno dei peggiori re di Giuda) ed Ezechia. Forse ebbe anche a che fare con i giorni più oscuri del cattivo re Manasse.

Con Isaia siamo di fronte ad uno dei libri più ricchi e complessi dell’A.T. I 66 capitoli che la Tradizione Scritturistica ci ha tramandato come “Libro del profeta Isaia” raccolgono in realtà, com’è ormai noto, l’insegnamento di almeno tre diversi maestri:

a) Protoisaia cui si ascrivono i capp. 1-39, dove troviamo il nostro Cantico;

b) Deuteroisaia per i capp. 40-55;

c) Tritoisaia per i capp. 56-66.

Isaia annunzia che Dio è l’unico alleato affidabile per il popolo. Strano alleato, forse, vista la dolorosa strategia che ha in animo di attuare, ma è proprio qui che dobbiamo vedere in azione il carisma profetico d’Isaia. Dal punto di vista strettamente politico-militare, infatti, è probabile che non vi fossero alleanze efficaci contro gli Assiri e che la cosa migliore, politicamente, fosse proprio quella di accettarne l’invasione, senza aggravare le cose stringendo accordi incongrui. Ciò che pare semplice opportunismo politico è però rimandato dal profeta ad un più altro livello di lettura. Suo compito, infatti, è annunziare la necessaria correzione del popolo, il giudizio su di esso e il permanere di un resto, ed è quello che egli fa entro e al di là dei semplici accadimenti

Leggiamo il cantico tutti assieme attentamente.

Meditatio.

Isaia, nel travagliato periodo tra il 734-732 a.C., chiamerà i suoi figli con nomi simbolici ma chiarificatori di ciò che accadrà: “Pronto saccheggio Rapido bottino” il primo; “Un Resto tornerà”, il secondo. Nei nomi dei due figli ritroviamo i cardini della sua parola profetica. Vale a dire che l’invasione avverrà (siamo attorno al 701 a.C.), ma sarà quello il momento decisivo per la salvezza di Gerusalemme e della monarchia. E’ in questo difficile e tormentato contesto che dobbiamo meditare il canto oggetto della preghiera odierna.

Isaia con questo oracolo annuncia l’avvento di un bambino. Questa nascita è legata alla salvezza del popolo, ma in chiave positiva, rispetto a quello dei figli di Isaia, e, potremmo dire, in una chiave positiva svrabbondante che investe l’ambiente (con il passaggio dalle tenebre alla luce nel corso di un pellegrinaggio, v.1), le persone (con il passaggio dal cordoglio alla gioia straripante, v.2), la storia (dalla guerra alla pace, v. 3-4).

Chi è colui che è annunciato? Quali caratteristiche e compiti ha?

Di lui si parla come di un “bambino” e di un “figlio” ( v.5), senza che si faccia alcun accenno alla madre. Anzi “è nato” ed “è dato”: questa forma verbale al passivo indica come questa nascita sia opera di Dio. Infatti, l’oracolo annuncia l’avvento di un principe che è oggetto dell’elezione divina, v.6. A seguire c’è la descrizione intronizzata: egli riceve il segno del principato e i nomi di regno, che manifestano il suo programma politico, ma che sono, di fatto, attributi divini. I nomi di regno sono quattro a garanzia dell’universalità del suo potere: “Consigliere prodigioso”; “Dio potente”; “Padre per sempre”; “Principe di pace”.

Dunque un principe pacifico, non guerriero; un principe disarmato, visto che tutti i ricordi della guerra sono stati bruciati (v.4).

L’attesa di tale Messia disarmato, confermata anche dagli altri profeti, non è dunque retaggio solo del N.T., come talora si può pensare, ma ha antecedenti biblici e giudaici di grande importanza.

I figli di Isaia ci mostrano, coi loro nomi, il versante umano, storico e i tempi prossimi della salvezza, in altre parole come l’uomo abbia bisogno di correzione e richiami, anche estremi, per tornare e convertirsi al suo Signore e come tutto ciò avvenga a breve e lungo termine.

Il Principe-Messia ci fa intravedere invece il versante divino dal quale la nostra storia, spesso dolorosa, ma che, tuttavia, c’è in essa un disegno e un potere che mette in opera la volontà di pace e di paternità, che Dio persegue nei nostri confronti, quale che sia la nostra risposta.

Tale disegno però non è sempre palese ai nostri occhi: o per miopia nostra, che non scorgiamo i segni dell’azione divina; o perché a volte esso si attua in tempi lunghi o addirittura lunghissimi, forse troppo lunghi per noi, che confondiamo la fecondità delle promesse divine con l’efficienza. Ecco perché siamo invitati alla pazienza, alla fede e alla speranza.

Rileggiamo il cantico in silenzio, attenti ai suggerimenti dello Spirito.

Contemplatio.

Padre, nonostante i tuoi richiami ed ispirazioni, perseveriamo nel non aprire la nostra intimità alla comprensione della fede, alla esperienza della salvezza, all’attuazione della Parola.

Cadiamo nei soliti errori: ci riteniamo autosufficienti, operiamo in vista del nostro benessere materiale, proviamo compiacimento nell’essere lodati, proviamo rancore per chi non collabora od ostacola i nostri progetti di vita.

Ma quale è il frutto di tutto ciò? Un mondo di prepotenze, di minacce, di solitudine, di paure, d’angosce. Ma ecco che tu, Padre Onnipotente, ci liberi da un’esistenza schiacciata dalle tenebre. Il profeta Isaia annuncia che una luce spezzerà le tenebre del peccato, della schiavitù, dell’oppressione. Noi, oggi, sappiamo, grazie alla fede, donataci da Te, che la speranza antica è diventata realtà, che il virgulto di Iesse non è solo un bambino, ma il “Figlio del Dio potente”, fatto uomo, a cui nulla è impossibile.

Conclusio.

Dopo il tempo delle tenebre, nel cuore del credente si riaccende la speranza: “Il Signore libererà gli oppressi, stabilirà il suo popolo nella pace. Ciò avverrà attraverso questo bambino di stirpe regale”. Il credente sa che la profezia è divenuta storia e che l’annuncio gli è stato dato non da un messaggero terreno, ma celeste. Preghiamo allora con Giovanni XXXIII° (Breviario pag.384): “O dolce Fanciullo di Betlemme fa che possa accostarmi con tutta l’anima a questo profondo mistero di fede del Natale. Metti nel cuore degli uomini quella pace che essi cercano talvolta così aspramente e che tu solo puoi dare. Aiutaci a conoscerci meglio e a vivere come fratelli dello stesso Padre. Scopri la tua bellezza, la tua santità, la tua purezza. Sveglia nel nostro cuore l’amore e la riconoscenza per la tua infinita bontà. Unisci tutti nella carità. E dacci la tua celeste pace”.

Grazie Santissima Trinità per questa ora di preghiera.

Sia lodato in eterno il Tuo Santo Nome.