Ascoltate o Cieli

Lectio Divina – 26

Deuteronomio 32,1-12

Introductio:

Lodiamo Dio nostro Padre che ci ha chiamato ad ascoltare la sua Parola. Preghiamo Maria vergine Madre perché ci assista nel ricevere lo Spirito santo.

Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In essi il fuoco del Tuo amore. Vieni, Spirito Santo,ù
E donaci per intercessione di Maria che ha saputo
Contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande: quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo. Amen.

Lectio.

Dobbiamo necessariamente chiederci come e perché ci mettiamo di fronte a questo Libro. Basta una prima lettura per renderci conto che non siamo di fronte ad un semplice libro di storia, anche se vi sono narrate le vicende d’Israele. Diciamo piuttosto che si tratta di un approfondimento della conoscenza della Sapienza.

La Sapienza, allorché Israele fu costituito popolo di Dio, apparve sulla terra sotto le vesti della Legge (Torah), segno e ratifica del Patto (Berit) che il Signore stipulò per guidare gli uomini alla comunione.

Il Deuteronomio, infatti, presenta se stesso come Torah, in altre parole come “insegnamento” che è rivelatore di Dio e norma per l’agire dell’uomo; un insegnamento che non è disincarnato, ma che parte dalla contemplazione e dal ricordo delle opere di Dio e si lascia riconoscere come manifestazione della volontà salvifica di Dio.

Sono, in pratica, rievocate le vicende d’Israele per comunicare il volere di Dio e sono promulgate leggi perché l’uomo possa vivere la fedeltà al Signore e in questo senso continuare il suo volere ed essere segno della sua Sapienza.

Gli studiosi hanno accertato che, benché sia quasi impossibile stabilire una data, il patriarca Giuseppe (Gen.37-50) è veramente esistito e, com’è storica la sua persona, sono storici allo stesso modo i membri della sua famiglia e le loro vicende, compresa la discesa in Egitto di Giacobbe con i suoi figli. L’uscita degli Ebrei dall’Egitto sotto la guida di Mosè è datata attorno agli anni 1250 prima di Cristo.

Il Deuteronomio raccoglie la Legge che regolava la vita del popolo di Dio secondo una prospettiva e una mentalità molto evoluta. Gli studiosi hanno accertato che molte leggi sono più antiche del popolo stesso e hanno dei corrispondenti nei codici legislativi dei popoli vicini, come il codice del popolo Hittita e il codice di Ammurapi, un re Babilonese vissuto verso il 1800 a.C. Altre invece sono più recenti e testimoniano l’esistenza di una civiltà più “cittadina”.

Ora, come il Deuteronomio raccoglie le tradizioni storiche del popolo, così organizza il sistema delle leggi inserendole all’interno delle vicende del popolo stesso.

Meditatio.

Il cantico, secondo le indicazioni della Bibbia, risuona allorché Mosè si trova alle porte di Canaan, in terra Moab. Mosè ha portato a termine la sua opera: ha fatto conoscere YHWH il liberatore, è stato al Sinai il mediatore dell’alleanza, ha guidato il popolo nelle sue peregrinazioni. Ora ha dato le sue ultime istruzioni che hanno tutte per oggetto l’osservanza scrupolosa e zelante della legge.

Il Cantico inizia con una lunga introduzione di tono sapienziale (vv.1-3). Il poeta invoca cieli e terra per citarli come testimoni nel processo che sta per iniziare. Essi rappresentano l’ordine delle cose violato e sovvertito dal peccato. Quattro paragoni meteorologici servono poi a dare l’importanza che merita al discorso di accusa che il profeta si accinge a pronunciare. Questo discorso stillerà come pioggia, scenderà come rugiada, come scroscio sull’erba, come spruzzo sugli steli di grano. Le parole del profeta vengono dal cielo, hanno la stessa azione emolliente della pioggia sottile. Questo ci vuole per convincere degli animi induriti: occorre ammorbidire i cuori prima di gettarvi il seme della parola.

Fra i molteplici nomi di YHWH, il poeta sceglie quello di Roccia (v.4). Incorruttibile, la pietra è immagine di giustizia e di rettitudine. I figli di Israele, invece, si sono mostrati tortuosi e perversi (v.5), figli degeneri e corrotti. Stabilità di Dio e incostanza dell’uomo! Il rimedio? Ritrovare costanza e coerenza attraverso la meditazione: rammenta – medita – interroga tuo padre e i tuoi vecchi – ai ricordi personali aggiungere le lezioni della tradizione (v.7). I motivi per farlo non mancano. Anzitutto quello della gratitudine.

Essere stato preferito a tutti i popoli della terra per essere la parte di eredità del Signore obbliga alla riconoscenza. Israele è un trovatello che Dio ha adottato, custodito e allevato con la gelosia dell’aquila per la sua nidiata (v.11). Buon senso e gratitudine dovrebbero unirsi per ricondurre Israele al signore.

Contemplatio.

Mosè proclama che il nostro Dio è “la rocca” e lo dice con parole irruenti come la pioggia, che cade scrosciante, dolce come la rugiada, che si spossa sugli steli di grano. Dio è fedele, retto, giusto; mantiene le sue promesse: ieri, oggi, domani; il popolo d’Israele è infedele ed ingrato, non ricorda i benefici del suo Dio: lo liberò dalla schiavitù, lo dissetò, lo nutrì nel corpo e nello spirito, gli diede le leggi per vivere in pace, “lo custodì come pupilla del suo occhio”.

O Dio, Tu sei un Padre amoroso, non un sovrano impalcabile, ma noi, come la stirpe d’Israele, siamo “smemorati”. Tu hai addirittura, mandato sulla Terra il tuo Figlio Unigenito e sul Giordano ci hai detto “Ascoltatelo”, perché attraverso di Lui avessimo la vita eterna.

Attraverso di Lui ci hai ancora rivelato, o Padre, il tuo Volto ed il tuo amore. Perdonaci per la nostra fragilità, per il nostro attaccamento ai beni terreni, per il nostro orgoglio che ci porta a pensarci autosufficienti.

O Signore, fa che comprendiamo quale gran pace e sicurezza hanno i cuori che si affidano completamente a Te.

Conclusio.

Da sempre il rapporto degli uomini con te, o Dio, alterna momenti di fedeltà, di gratitudine, di slancio appassionato a periodi di dubbio, indifferenza, ostilità. Proprio quando ci sentiamo così lontani dal Te che sei il nostro creatore, preghiamo con fervore, rammentiamo che tu, o Dio, sei sempre fedele, che ci sei Padre e Madre, che come un’aquila vegli la tua nidiata, che voli sopra i tuoi nati, spieghi le ali e ci prendi e ci sollevi sulle tue ali e, come dice Giovanni Paolo II°, allora il cammino nella steppa desertica si trasforma in un percorso quieto e sereno, perché c’è il manto protettivo dell’Amore Divino.

Grazie, Signore, della preghiera odierna. Benedetto il Tuo nome in eterno. Amen.

Amen.