Benedetto Dio…

Lectio Divina – 19

TOBIA

“Benedetto Dio…”

13,1 – 10

Introductio.

Lodiamo Dio nostro Padre che ci ha chiamato ad ascoltare la sua Parola. Preghiamo Maria Vergine Madre perché ci assista nel ricevere lo Spirito Santo.

Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In essi il fuoco del tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
e donaci per intercessione di Maria che ha saputo
contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande: quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo. Amen.

Lectio.

Il Libro narra una storia biografica familiare in cui s’intrecciano le vicende del vecchio e piissimo Tobi, del suo giovane figlio Tobia e della giovane Sara. Il testo tratta due grandi argomenti: il giusto sottoposto alla prova e la preghiera esaudita.

I personaggi del racconto vivono in esilio – padre e figlio in Assiria e Sara in Persia – e, grazie all’intervento dell’angelo Raffaele (=Dio guarisce), riescono a risolvere i loro gravi problemi. Tobi riacquista la vista e recupera una somma di denaro; Tobia sposa Sara, che aveva visto morire sette mariti uccisi dal demonio Asmodeo.

La narrazione si snoda con stile semplice e scorrevole, con una delicatezza accattivante. Il lettore s’immedesima facilmente nell’animo dei protagonisti, ne avverte la simpatia e ne desidera la liberazione ed il premio. Inoltre segue estasiato la mano operante di Dio e scopre da sé che Egli mira sempre al bene, anche quando prova, e impara a dare un senso ad ogni episodio dell’esistenza.

Ispirato ai modelli biblici patriarcali – Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe e Rachele – il libro, letterariamente assai pregevole, è una storia popolare con scopi d’edificazione spirituale. E’ ricco, in particolare, d’insegnameti religiosi inerenti alla divina provvidenza, gli angeli, i demoni, la preghiera e di norme morali, che costituiscono una specie di codice delle virtù familiari. Infatti, il libro pone in risalto la pratica delle virtù domestiche e dimostra come la pratica delle prescrizioni della legge, quali l’elemosina, la giusta mercede, l’onestà verso il prossimo, la pietà verso i defunti, la castigatezza dei costumi, siano tenuti in conto da Dio e alla fine premiate.

Il libro contiene pure uno splendido elogio del matrimonio: esso deve essere contratto secondo le leggi di Dio, poiché si tratta dell’incontro di due esseri preparati l’uno per l’altra. Deve essere fondato sull’amore vero e non sulla passione, e mirare al bene comune e a quello dei figli, se Dio lo concederà.

La vera chiave interpretativa del testo si trova nel libro stesso in 3,16; 12,12-15 e nel cantico “Benedetto Dio…”: Dio risponde alla preghiera dei giusti, non è mai assente né indifferente, è solo nascosto. Ha ragione, perciò, la tradizione cristiana che vi ha riconosciuto un messaggio per la sua fede, tanto che questo piccolo ma incantevole capolavoro potrebbe diventare anche oggi il libro dei fidanzati credenti.

Il capitolo 13 del libro è costituito di un solo cantico, che l’uso liturgico ha diviso fra due uffici differenti: da una parte le lodi del martedì della prima settimana, dall’altra le lodi del venerdì della quarta settimana. Oggi noi preghiamo il cantico nella sua totalità, senza tenere conto della divisione.

Leggiamo il cantico tutti insieme attentamente:

Allora Tobi scrisse questa preghiera di esultanza e disse:

Benedetto Dio che vive in eterno; il suo regno dura per tutti i secoli; egli castiga e usa misericordia, fa scendere negli abissi della terra, fa risalire dalla grande Perdizione e nulla sfugge alla sua mano.

Lodatelo, figli di Israele, davanti alle genti:

egli vi ha disperso in mezzo ad esse per proclamare la sua grandezza.

Esaltatelo davanti ad ogni vivente; è lui il Signore, il nostro Dio, lui il nostro Padre, il Dio per tutti i secoli.

Vi castiga per le vostre ingiustizie, ma userà misericordia a tutti voi.

Vi raduna da tutte le genti, in mezzo alle quali siete stati dispersi.

Convertitevi a lui con tutto il cuore e con tutta l’anima, per fare la giustizia davanti a lui; allora egli si convertirà a voi e non vi nasconderà il suo volto.

Ora contemplate ciò che ha operato con voi e ringraziatelo con tutta la voce: benedite il Signore della giustizia ed esaltate il re dei secoli.

Io gli do lode nel paese del mio esilio e manifesto la sua forza e grandezza a un popolo di peccatori.

Convertitevi, o peccatori, e operate la giustizia davanti a lui; chi sa che non torni ad amarvi e vi usi misericordia?

Io esalto il mio Dio e celebro il re del cielo ed esulto per la sua grandezza.

Tutti ne parlino e diano a lode a lui in Gerusalemme.

Gerusalemme, città santa, ti ha castigata per le opere dei tuoi figli, e avrà ancora pietà per i figli dei giusti.

Meditatio.

L’autore di Tobia, cap. 13,1-10, benedice Dio per le pene subite dal suo popolo. A tocchi successivi, penetra nel cuore del mistero e si rende conto che esiste un insegnamento della sofferenza redentrice. L’autore comunica la sua riflessione al popolo e gli fa comprendere la condotta di Dio nei suoi confronti. Il Signore, a volta a volta, castiga e perdona, fa scendere nell’abisso e fa risalire dalla perdizione ( v.2). L’esilio in mezzo alle genti è potuto sembrare un disastro, ma, in effetti, rispondeva ad intenzioni che dovevano farlo volgere a gloria di Dio e a favore dei deportati stessi. Senza parlare del valore educativo della pena, la dispersione fra le nazioni è servita a diffondere la fede nel vero Dio (vv.4.11). Una volta ristabilito nella sua terra, il popolo ebreo riceverà la visita e l’omaggio di numerosi popoli che , dagli estremi dell’universo (v.11), verranno a Gerusalemme.

A queste vedute teologiche risponde la struttura del poema. La prima parte (vv.1-10) ha per oggetto la dispersione di Israele, la seconda (vv.11-17), Gerusalemme ricostruita e centro di attrazione per le nazioni.

Tuttavia, condizione perché alla dispersione succeda la riunione è la conversione al Dio della giustizia (v.6). La conversione inizia sempre con l’essere un atto di sottomissione alla giustizia di Dio: “Al Signore nostro Dio la giustizia; a noi il disonore sul volto…perché abbiamo offeso il Signore” (Baruc 1,15 e Daniele 9,7s). Il castigo è stato meritato, sanziona colpe evidenti.

Nel Cantico, gli appellativi di Dio sono: Signore – Padre – re dei secoli – re del cielo. I primi due titoli situano Dio in rapporto a coloro che lo pregano. Gli latri due titoli ricordano opportunamente che ciascuno di noi è soltanto una delle innumerevoli relazioni che Dio intrattiene con tutti gli esseri disseminati nel tempo e nello spazio. Il fatto che Dio sia nostro Signore e nostro Padre ce lo rende vicino. Il fatto che sia re dei secoli e re del cielo ci relativizza fino all’infinitesimale.

Rileggiamo il cantico in silenzio attenti ai suggerimenti dello Spirito Santo.

Contemplatio.

O mio Dio, se sguardo scorrere la mia vita, numerosi sono i momenti di tristezza, di sofferenza, di prova. Quante volte ho chiesto perché sono triste, perché soffro, perché devo affrontare tanti ostacoli! Nel momento del buio la mia preghiera sale a te, Padre, perché Tu “mi liberi””, ma quanto mi è difficile accettare la sofferenza e fissare i miei occhi sul volto di Gesù, tuo Figlio unigenito, crocefisso per noi, per i nostri peccati. Se guardo gli uomini, il popolo di Israele, il popolo che Tu hai prescelto, i popoli tutti, anche in loro vedo la mia stessa condizione. Ma ecco che, dopo il buio, viene la luce: una parola, un incontro, un paesaggio, il suono di una campana, una preghiera, una pagina della Tua Parola riporta la speranza ed il cuore rilegge gli avvenimenti “contemplando ciò che tu hai operato in noi”. Allora ci accorgiamo che in tutte le vicende dell’esistenza, anche le più oscure ed incomprensibili, è presente la Tua guida segreta, che conduce alla salvezza. Grazie, mio Dio, per la tua presenza costante nella nostra vita, per l’Amore che sentiamo vicino a noi, per il tuo Figlio Gesù che è venuto a salvarci attraverso le più atroci sofferenze, per la presenza di Maria, che intercede sempre per noi e che ci invita a lodarti sempre e comunque.

Conclusio.

La verità è che noi non siamo salvati perché ci convertiamo, ma ci convertiamo perché siamo salvati. Nessuna opera può precedere la fede che Dio stesso mette nei nostri cuori. Infatti, il primo passo per essere salvati è l’atto di accogliere. Senza dubbio è in gioco la libertà, ma soltanto sotto forma di disponibilità.

La sofferenza non è una punizione, ma è occasione di salvezza e di testimonianza. Per il popolo di Israele il tempio di Gerusalemme è meta di pellegrinaggio; per l’umanità la vita è pellegrinaggio alla Gerusalemme Celeste; “maledetti” coloro che rifiuteranno questo appello di salvezza e lo osteggeranno; felici, invece, coloro che lo accoglieranno, per loro si aprirà un futuro di gioia. Il tempio di Gerusalemme è descritto in tutto il suo splendore (pietre e metalli preziosi, cedri del Libano ecc). Così Giovanni descriverà la Gerusalemme Celeste (ap.21): zaffiro, smeraldo, pietre preziose, oro, turchese, pietre di Ofir. La città santa di Israele è solo un pallido simulacro della città Eterna del nostro Creatore, dove rifulgerà la gloria suprema, la pienezza di luce e di ricchezza, di gioia e di vita. Dio guida, protegge, sana, libera, ma l’intervento del Padre non è istantaneamente manifesto. Dio è giusto e libero nel suo agire. La sofferenza o l’insuccesso non è un castigo di Dio, ma una prova che , alla fine sfocia nella gioia e nell’esultanza.

Tobia scopre nella lode che Dio è giusto, leale, misericordioso e invita tutti a lodarlo, perché Dio si rivela veramente quello che è soltanto quando si vede nella prospettiva della lode. Tobia ci invita a credere con entusiasmo nella bontà di Dio e rallegrarci delle gioie della chiesa: ecco a che cosa dovrebbe portarci la lettura cristiana di Tobia 13,1-10.

Grazie Divinità Santissima per questa ora di preghiera.

Sia lodato in Tuo nome in eterno.

Amen.