Apocalisse – 3

Lectio Divina – 17

15,3-4; 19,1-7

Introductio: Preghiamo la Madonna, con l’Ave Maria, perché ci assista nell’accogliere lo Spirito Santo.

“Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In essi il fuoco del tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
E donaci per intercessione di Maria che ha saputo
Contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande, quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo”: Amen.

Lectio.

Siamo giunti al terzo e ultimo appuntamento relativo al Libro dell’Apocalisse. Diamo ora una sguardo generale ed essenziale al messaggio e all’attualità della visione Giovannea nel suo insieme.

Innanzi tutto diciamo che per alcuni esegeti la prospettiva dell’apocalisse sarebbe spirituale e teologica: cioè non intende parlarci degli eventi della storia, ma unicamente offrirci il senso profondo della storia. Per altri, al contrario, sarebbe una profezia della storia universale, in particolare della storia del popolo di Dio (=Chiesa): una profezia che descrive, sia pure a grandi linee, le diverse tappe della storia, fino al suo termine. L’apocalisse riferisce e descrive, rivestendoli di simboli, i fatti salienti del suo tempo, però dilatandoli e trasfigurandoli cos’ da farli assurgere a valori universali (=per ogni epoca). Inoltre ci parla degli avvenimenti degli ultimi tempi(=giudizio di Dio).

L’apocalisse inizia con un impegno: essere una rivelazione di Gesù Cristo. Non intende dunque profetizzare nulla di nuovo nei confronti del vangelo. Giovanni ci offre un messaggio evangelico e tradizionale: l’attualizzazione di quanto Gesù ha detto e fatto.

Di primo acchito, possiamo distinguere due grandi sezioni: la sezione profetica presentata sotto forma di “lettere alle chiese” (1,9-3,22) e la sezione più strettamente apocalittica (4,1-22,5). In quest’ultima, ritroviamo totalmente lo schema abituale per le evocazioni apocalittiche, cioè i preludi della fine dei tempi (6,1-11,9), le prove immediate e il grande confronto (12,1-20,15), il compimento e la manifestazione finale (21,1-22,5). Lo schema è arricchito a complicato dal puzzle dei “settenari” (sette sigilli, sette trombe, sette coppe) e dalle visioni intermedie (Leone, Drago, la Donna…ecc) che permettono al profeta di moltiplicare le allusioni, di riprendere, attualizzandoli, molti testi dell’A.T. e di svolgere la sua meditazione sul mistero della Chiesa e del tempo presente e futuro.

La difficoltà più grande risiede nell’interpretazione da dare alla successione delle visioni. In esse dobbiamo vedere una evocazione più o meno simbolica dell’itinerario della storia verso la “parusia” (=ritorno di Gesù Cristo) e i molteplici aspetti del trionfo di Gesù Cristo, della condizione della Chiesa e del giudizio del mondo.

L’opera di Dio è arrivata al suo termine, e noi non ne attendiamo che la manifestazione. Cristo già trionfa e il suo regno è inaugurato. Gesù è il solo Salvatore è, perciò, per investitura divina, l’unico Signore (5,5-14; 11,15-17; 12,10; 19,11-16). Noi siamo negli ultimi tempi e viviamo nell’anticipazione della salvezza e nei preludi del giudizio. Di fronte a questo evento, gli uomini si dividono già in due categorie inconciliabili:

-quelli che riconoscono Cristo sono associati al suo trionfo e costituiscono il popolo di Dio, realizzazione del popolo messianico;

-quelli che, non riconoscendolo, restano in stato di opposizione a Dio: sono gli “abitanti della terra”, i complici della usurpazione empia, che dimorano sotto il dominio di Satana e sono votati come lui alla condanna.

Nella sua realtà profonda, la Chiesa è intimamente associata alla persona di Cristo ed all’opera di Cristo:

-è la continuità eletta, l’oggetto del suo amore;

-è stata riscattata col suo sangue;

-è l’inaugurazione del suo regno, popolo regale e sacerdotale.

Da questa unione costitutiva, proviene una comunione “esistenziale“; il destino della Chiesa è visto nel suo essere associata al destino di Cristo:

-Cristo era profeta, “testimone fedele“. La Chiesa è una comunità santa che esercita la testimonianza; in questo mondo, essa è in missione profetica;

-Cristo ha spinto la sua testimonianza fino alla passione, perché ha incontrato l’opposizione d’un mondo nemico di Dio. La Chiesa compie ugualmente la sua missione nella prova; essa conosce il combattimento e il martirio;

-Cristo è vincitore e risuscitato. La Chiesa partecipa già a questa vittoria; essa non è soltanto in stato di elezione, ma è salvata e vive le primizie della risurrezione;

-Cristo è glorificato, stabilito nella condizione di Signore. La Chiesa è già Regno sacerdotale; da ora essa esercita nel culto la sua funzione celeste, e ben presto sarà manifestato il suo trionfo.

Così, nel tempo presente la Chiesa, vive i diversi aspetti del mistero di Cristo: essa segue l’Agnello dovunque egli Va. Questa conformità implica atteggiamenti morali e spirituali:

-poiché essa deve testimoniare in un mondo che non conosce Dio, le è chiesto di vivere nella fedeltà;

-su questa terra, ove è in esilio, essa soffre la persecuzione, ma è anche preservata da Dio e nutrita delle primizie della risurrezione. L’atteggiamento che corrisponde a questo stato di prova e di sicurezza della gloria futura, è la perseveranza, forma particolare di fedeltà, come il martirio è una forma particolare di testimonianza;

-la Chiesa è anche in esodo, in marcia verso la rivelazione della Gerusalemme celeste, sua vera patria, e si prepara a vivere della piena manifestazione del suo Signore. Questa prospettiva della gloria futura, in seno alla prova presente, mantiene nella Chiesa una tensione piena di speranza: “Vieni, Signore Gesù!”

Questo messaggio riguarda noi.

Meditatio.

Ap.15,3-4

La scena dei vittoriosi che cantano l’inno della salvezza è un’anticipazione. Infatti, questi vittoriosi non sono soltanto coloro che nel frattempo hanno già conseguito la loro vittoria, ma rappresentano tutti i vittoriosi, compresi coloro che supereranno le prove, le ultime della fine dei tempi.

Il movimento del pensiero è di una estrema chiarezza:

-dalle opere al loro autore, il Dio Santo (v.3);

-dal Dio Santo alla sua manifestazione gloriosa, nei suoi giudizi (v.49.

Opere, vie, nome, Tu solo il Santo: i diversi termini acquistano senso gli uni in rapporto con gli altri. Le “opere” sono gli atti di Dio visibile allo sguardo della fede nel loro significato di salvezza. Queste opere sono disposte secondo un tracciato di un progetto coerente, rivelando un’intenzione. Da ciò l’immagine delle “vie” di Dio, giuste e vere. Dio si rivela attraverso la convergenza delle sue opere e ha un nome: “Jahvé”, il Dio di Mosè, poi “Padre di nostro Signore Gesù Cristo”; sempre lo stesso, “Dio che è, che era e che sarà”. Infine, la gloria resa al nome raggiunge Dio stesso nella sua “santità”, nel suo mistero inaccessibile.

Il mistero di Dio resterà per noi sempre più nascosto che conosciuto. La nostra fede tuttavia si perde nell’inconoscibile e nell’indicibile di Dio, alla vista delle opere gloriose che ci hanno spinto a credere. Effettivamente, quando l’inno giunge alle soglie della santità di Dio, ritorna su se stesso e ritorna ai popoli e alle nazioni, in adorazione davanti al Signore manifestato nei suoi giudizi. Le vie del Signore sono state dichiarate giuste (v.3), come pure giusti sono i suoi giudizi (v.4). Il tutto dimostra tre verità: che Dio esiste, che la ragione è dalla parte di quelli che credono, che nessun peccato rimane impunito.

Ap. 19,1-7

Si tratta di un inno di fede e di gioia. Ma con una precisazione: i credenti che prima, al momento della prova, hanno imparato faticosamente a fidarsi di Dio, ora constatano con letizia di non essersi sbagliati.

L’inno esprime la gioia della verifica, la felicità del momento finalmente arrivato.

I versetti si susseguono in maniera da far alternare l’evocazione delle opere di Dio e l’invito alla lode:

-Veri e giusti sono i suoi giudizi;

-Lodate…!;

-Ha preso possesso del suo regno…;

-Rallegriamoci…!;

-Sono giunte le nozze…

Le nozze, Dio e il suo popolo sono diventati una cosa sola. L’acclamazione si spegne e cede il posto al colloquio intimo e segreto. Giudizio, regno, nozze dell’agnello, queste tre realtà si concatenano con un legame logico. Dio prende le parti dell’oppresso e abbassa l’orgoglio del malvagio, questi sono i suoi giudizi, veri e giusti (Dt.10,18; 1 Re 8,46; Ger. 5,28). Necessita che Dio eserciti il suo potere su tutte le cose, ed è questo il suo “regno”. La maestà di Dio vuole essere accolta nella libertà dell’amore: ecco cosa esprime il simbolo delle “nozze” dell’Agnello. Salvezza, gloria, potenza. Le qualificazioni si susseguono simili alle onde di un fiume che scorre in senso inverso, dal mare alla sorgente. La salvezza è l’opera di Dio nel suo impatto sull’uomo. La gloria ne è il segno divino visibile. Nella gloria si rivela la potenza, il principio nascosto in Dio delle sue opere. “Una generazione narra all’altra le tue opere…Proclamiamo lo splendore della tua gloria…Dicono la stupenda tua potenza”. la fede non è cieca. Da ciò che vede, s’innalza all’invisibile in cui crede. Il vangelo afferma del discepolo che corse al sepolcro vuoto di Gesù: “…vide e credette” (Gv.20,8).

Contemplatio.

In una espressione di ammirazione riconoscente, noi eleviamo un inno di lode a te o Signore, per celebrare la tua regalità, la grandezza, le meraviglie, i prodigi, la potenza, la giustizia, la bontà, l’universalità dell’amore tuo: “paziente e misericordioso…lento all’ira e ricco di grazia…buono verso tutti…la sua tenerezza si espande su tutte le creature”.

Signore, abbiamo la sensazione che, nella piena dei sentimenti, le nostre parole non siano sufficienti a enumerare e ordinare i pensieri che fanno ressa nei nostri cuori infiammati, in una fioritura inconsueta di attributi e di superlativi: “lo splendore della tua gloria…la stupenda tua potenza…la tua bontà immensa”. “Tutte le tue opere”, unite al coro benedicente dei “tuoi fedeli”, parlano “per manifestare agli uomini la splendida gloria del tuo regno…regno di tutti i secoli”.

Inoltre, Signore, con uno stile quasi sapienziale più pacatamente elenchiamo, tra le tue opere, quella più vicina alla nostra fragilità, che ha ispirato lo slancio iniziale per l’opera tua nei nostri confronti. In tutto ciò che ci hai trasmesso nell’Apocalisse, ritroviamo la nostra storia di redenzione e di salvezza, e ci sentiamo nuovamente pervasi, da una spinta incoercibile di gratitudine e di lode, che si espande in una dimensione ecclesiale: “Canti la mia bocca la lode del Signore, e ogni vivente benedica il suo nome santo, in eterno e per sempre”.

Signore, la nostra professione di fede e di lode si risponde a vicenda. Esaltiamo le virtù che fanno la tua grandezza e bontà, tu che ti sei chinato verso di noi raggiungendoci nei nostri bisogni, nelle nostre lotte quotidiane e nei nostri tormenti interiori. Tu, Signore, dei fedele, giusto, santo, vicino a tutti noi che t’invochiamo, e appaghi il desiderio, ascolti, proteggi, apri la tua mano e sazi la nostra fame. Tutta l’opera tua è così sin dall’inizio dei tempi. Il tuo amore e la tua umanità ha raggiunto il suo apice nell’Incarnazione di tuo Figlio, il quale ha patito, è morto, è risorto come tu hai stabilito, per la nostra redenzione e immetterci nel tuo regno.

Conclusio.

Ap.15,3-4.

Io vorrei essere giudicato a quattr’occhi. Il cantico dell’Apocalisse, invece, sostiene esattamente l’universalità e la pubblicità del giudizio. Dio-giudice è il re delle genti, i suoi giudizi sono atti storici stabiliti davanti alle genti. Il punto finale della storia sarà un atto cosmico. Ciò non ha conseguenza soltanto per i popoli e le nazioni. Se sono chiamato a essere giudicato di fronte al mondo è perché i miei peccati, anche quelli più nascosti, non sono mai una faccenda privata, ma si riflette sul mondo intero: Ho peccato contro Dio, ho fatto torto alla chiesa e alla società. Nutrire, ospitare, vestire (Mt.25), non ha forse a che vedere anche con la politica e non implica un impegno civico proporzionato alle mie capacità)

Ap. 19,1-7.

Se la gloria di Dio, nella Sacra Scrittura, è lo splendore della sua potenza, necessita che anche il culto sia più che un semplice tributo d’onore. Rendere gloria significa riconoscere la potenza salvifica di Dio e trarne le conseguenze.

Se Dio solo è salvatore, conta veramente solo la gloria (=forza) che proviene da Lui. Tutto il resto è fragile, provvisorio, caduco.

A tutte le potenze succedutesi nell’arco della storia umana, Giovanni , nelle sue visioni, contrappone la Chiesa ideale, in quanto sposa amorevole e rigorosa nella sua fedeltà. Questa, poi, rifiuta tutte le promesse che l’arricchirebbero, sia materialmente che socialmente, perché la distruggerebbero moralmente. Nella descrizione della sposa che si è fatta bella per le sue nozze con l’Agnello, il lino non è più l’ornamento dell’orgoglio, ma la veste nuziale immacolata, tessuta con le opere giuste dei credenti.

Sia lodato Gesù Cristo. Amen.