Sia benedetto Dio

Lectio Divina – 13

1^ Pietro 1,3-9

Introductio: Meditiamo un istante sulla presenza di Gesù presente tra noi riuniti nel suo nome, lodandolo e ringraziandolo.

Preghiamo la Madonna, con L’Ave Maria, perché ci assista nell’accogliere lo Spirito Santo.

“Vieni; Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In esso il fuoco del tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
E donaci per intercessione di Maria che ha saputo
Contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande: quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo”. Amen.

Lectio.

Le indicazioni che offrono la lettera per individuare con precisione i suoi destinatari sono scarse. Essa è destinata ai cristiani delle cinque province romane dell’Asia Minore, “gli eletti sparsi come stranieri nella diaspora”. Anche se originariamente il termine diaspora (dispersione) era stato usato per gli Ebrei che vivevano fuori della Palestina, e ciò farebbe supporre, a prima vista, che i destinatari fossero dei giudeo-cristiani. Di fatto, il termine è usato in senso simbolico, per designare i cristiani dispersi nel mondo, e di cui la maggioranza doveva essere pagana. Infatti, l’allusione al loro precedente modo di vivere fa pensare più a degli ex-pagani che agli Ebrei.

Questi convertiti, tuttavia, dovevano già essersi familiarizzati con la Sacra Scrittura, come dimostra l’uso frequente, nella lettera, di riferimenti all’A.T.

Dal contenuto della lettera è impossibile dare uno schema logico. Ciò è dovuto al carattere particolare di questo scritto nel quale le esortazioni s’intrecciano continuamente ad elementi dottrinali aventi lo scopo di giustificarle e rafforzarle. In senso generale, possiamo affermare che l’imperativo dell’esortazione precede l’indicativo dell’affermazione dottrinale su cui essa si fonda ( al contrario di quanto avviene nelle principali lettere di Paolo, dove una prima parte dottrinale – espressa all’indicativo per indicare ciò che i cristiani possiedono già in Cristo – è seguita da una seconda esortativa – espressa all’imperativo per invitare i cristiani a vivere in maniera degna di quello che hanno già ricevuto)

Noi fisseremo la nostra attenzione sul rendimento di grazie ( nello stile delle benedizioni ebraiche, Ef. 1,3-14), che si sviluppa in una meditazione sulla rivelazione del piano di salvezza operato da Dio Padre.

Lettura dei versetti.

Meditatio.

“Sia benedetto Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il quale, secondo la pienezza della sua misericordia, ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, a una speranza più viva…”

Notiamo subito che in primo luogo c’è un omaggio al Padre, un’esclamazione di gioia piena di riconoscenza: sia benedetto, lodato e glorificato! Il punto di vista particolare per cui Dio è benedetto come Padre del nostro Signore Gesù Cristo, è la sua paternità anche nei nostri confronti. Egli, infatti, ci è Padre non solo per la nostra concezione naturale nel seno materno, -sarebbe stata impossibile senza il suo volere – ma anche, e soprattutto, perché è il creatore della nostra nuova vita, la causa della rigenerazione. Dio, infatti, dalla “pienezza della sua misericordia” fu spinto fino al dono di questa nuova vita. Nella parola “misericordia” non dobbiamo tanto vedere la sua compassione per le sue creature schiave del peccato, quanto piuttosto la sua intima familiarità con l’umanità tutta, fin dal tempo del paradiso terrestre.

Il seme meraviglioso posto da Dio nei nostri cuori è la speranza cristiana. Tutta la lettera è pervasa da una vibrante nota di speranza. Ma la speranza di cui parliamo non è un pio desiderio; essa è bensì una viva e vivificante realtà, paragonabile all’attesa di una madre per il bimbo che già vive nel suo seno. La speranza cristiana tende lo sguardo rivolto al ritorno di Cristo e al dominio di Dio; ma è operante e rivolta all’oggi, e vuol contribuire, il più possibile, a far trionfare il bene e la verità già nella vita terrena. Similmente è come il “Regno dei cieli”, che inizia già su questa terra, anche se il suo termine ultimo sta nell’al di là.

“…a un’eredità incorruttibile, immacolata, inalterabile, riservata nei cieli per voi…”

La nuova vita di figli di Dio ci è stata donata da Cristo che col battesimo (sacramento della rinascita) assume espressione visibile, impegno ed efficacia in virtù della fede. La nuova vita ci è donata anche in vista di un’eredità che deve avere in sé qualcosa di meraviglioso, di stupefacente, se ci è stata descritta con aggettivi così speciali. Come nell’A.T. ogni tribù d’Israele ricevette la sua parte d’eredità nella terra promessa, anche a noi spetta, al termine del nostro viaggio, alla fine della vita terrena, una “terra” santa, appunto come ricompensa. Se per un istante pensiamo al corpo dei risorti, comprendiamo meglio come mai S.Pietro ci parla di qualcosa d’incorruttibile, d’immacolato, d’inalterabile, che ci attende e ci è conservato non in magazzini o forzieri, ma nel cuore amoroso di Dio Padre. Saremo più vicini a Dio, liberi dalle rovine del peccato e brilleremo immacolati, puri, liberi da ogni imperfezione terrena. E questo dono non appassirà mai, ma sarà raggiante di un’eterna giovanile bellezza.

“…che per virtù di Dio siete custoditi, mediante la fede, per la salvezza, pronta ormai a esser manifestata nell’ultimo tempo”.

Il pericolo per la vita cristiana sta nella possibilità di deviare dalla strada intrapresa e, per conseguenza, di non raggiungere più il fine ultimo. S.Pietro conosce questo rischio preoccupante, quindi, alla considerazione della meta stupenda che ci attende, aggiunge subito la consolante certezza dell’aiuto di Dio lungo il nostro itinerario terreno. Non scordiamo mai che siamo assistiti, custoditi, dalla e nella potenza divina. Non solo ogni singola creatura, ma l’intera Chiesa di Cristo, ogni comunità, ogni famiglia.

S.Pietro non si ferma col pensiero ai pericoli del viaggio. Il suo sguardo si rivolge sempre alla meta, alla salvezza che Dio ci prepara. La quale non è mai soltanto un affare privato del singolo: la salvezza cristiana si realizza sempre attraverso la perfezione della comunità nella quale il cristiano vive, anzi attraverso la perfezione dell’intera Chiesa di Cristo. L’aurora della salvezza (che possediamo dal giorno del battesimo) è già spuntata, al futuro è riservato solo il suo compimento e la sua lieta manifestazione.

“Perciò, esultate, anche se adesso dovete essere molestati ancora un poco da prove di vario genere affinché il buon saggio della vostra fede, ben più preziosa dell’oro che perisce, ma che pure viene provato col fuoco, riesca a lode e gloria e onore per il tempo della manifestazione di Gesù Cristo…”

Per la salvezza donataci da Dio in Cristo Gesù, i cristiani devono e possono rallegrarsi; e tuttavia, nella vita terrena, la gioia è turbata da prove di vario genere. S.Pietro vuole dire alle giovani comunità cristiane, che esse, in avvenire, avranno probabilmente molto da soffrire; ma così profonda è la gioia per la salvezza, che l’angoscia le affligge appena un poco. Non si tratta ancora delle persecuzioni e di martiri gloriosi, ma delle difficoltà quotidiane che s’incontrano nell’ambiente della società, nel posto di lavoro, e anche nelle famiglie. E’ irritante e addirittura uno scandalo, lo spettacolo di persone convertite che prendono sul serio l’umile obbedienza, il pentimento dei peccati, il perdono delle offese, la pratica della castità e la libera rinuncia…e allora ecco i motti pungenti, le calunnie, il disprezzo: sono queste le diverse prove che spesso ci feriscono profondamente. Tuttavia il dolore che colpisce il cristiano serve in realtà a purificare la sua fede vera e genuina. Pietro parla poi della manifestazione di Gesù Cristo stessa. I cristiani, spesso così dolorosamente purificati, sono l’ornamento di Cristo quando egli, al giudizio finale, si manifesterà glorioso a tutto il mondo. Questo versetto della lettera dimostra quanto Pietro sia penetrato dalla verità dell’intima unione dei cristiani con Cristo: essi sono purificati, coltivati dal Padre celeste, in vista della gloria del Figlio suo unigenito.

“…che voi amate senza averlo mai visto, nel quale anche ora credete senza vederlo, e credendo esultate di una gioia ineffabile e beata, conseguendo il premio della vostra fede, la salvezza delle anime”.

S.Pietro delinea, in pochi tratti, l’immagine magnifica e splendida del Signore che ritornerà nella gloria. Il suo amore intimo e tutto personale si rivolge però innanzitutto all’uomo di Nazareth, a Gesù, nostro modello, che ha trascinato sul Golgota il carico dei nostri peccati, e dalle cui sanguinose piaghe siamo stati risanati. In rilievo si accenna alla gioia, all’esultanza dei cristiani, nonostante le prove in cui essi devono ancora “un poco” perseverare. Qui non si allude, come potrebbe sembrare, alla gioia futura nella gloria eterna, ma ad una gioia e ad una felicità che ha luogo già sulla terra. Questa felicità festosa è dovuta, in primo luogo, alla certezza della salvezza, che, sarebbe ancora nascosta, velata, è già in atto; ma è anche un’anticipazione della gioia che nasce dall’incontro con Cristo, che, in qualche modo, vediamo già adesso, anche se solo con gli occhi della fede. Tale gioia che ci è anticipata sulla terra, sta in rapporto con la felicità eterna pressappoco come l’attesa dei bambini alla vigilia di Natale con il giubilo della notte santa. Come l’attesa gioiosa è già reale, così si dà anche per noi una vera, autentica gioia già su questa terra. Si tratta di una letizia indescrivibile, misteriosa, che si legge negli occhi raggianti di chi la possiede. Sembra strano, ma la gioia sembra brillare più pura proprio quando viene purificata da prove e difficoltà. E la ritroviamo sempre, questa raggiante gioia cristiana, dai primi secoli in poi, sul volto dei santi. Questo è un punto centrale del cristianesimo che Pietro tocca con questo passo: la gioia cristiana, pur nel dolore. Il quadro che qui si traccia è già la realizzazione delle beatitudini proclamate da Gesù (Mt.5,3-12).

Può sembrare, a prima vista, che il precedente annuncio di una “eredità incorruttibile” venga qui attenuato, poiché ora si parla soltanto di una “salvezza delle anime”. Ma la Sacra Scrittura non intende per anima qualcosa di puramente spirituale, di incorporeo, come intendiamo noi. Per essa l’anima è “l’io”, l’intera persona.

Quando Pietro afferma di voler “porre la sua anima” per Gesù (Gv.13,37), si riferisce alla “salvezza” dell’intera persona, del suo pieno sviluppo, dell’azione di Dio che la vivifica, la salva e la conserva per l’eternità.

Contemplatio.

*Rileggiamo i versetti della lettera di san Pietro.

Per noi non si tratta solo di ripetere queste meravigliose parole, o di recitarle come un canto, o di gorgogliare l’alleluia che nasce dall’intimo del cuore grati a Dio, ma di celebrarlo come atteggiamento profondo dell’animo, di esprimerlo nel canto come vibrazione interiore di vita, di gioia e d’esultanza. Perché oggetto del nostro “canto nuovo” non è un qualsiasi insigne benefattore, ma il nostro Creatore, che “ci ama”, “che incorona gli umili di vittoria”.

Gioia, esultanza, letizia non sono atteggiamenti da regia cinematografica, sono autentici stati d’animo autenticamente vissuti. Il tutto nella grande visione escatologica (cioè il fine ultimo dell’uomo) dell’incontro finale con Dio.

Che la nostra vita cristiana sia un combattimento e la salvezza una vittoria, lo ha già rammentato S.Paolo nelle precedenti lettere ai Corinzi e a Timoteo. Bisogna lottare anzitutto con noi stessi, poi contro gli altri (afflizione delle prove). Il giusto non è forse spesso perseguitato perché la sua rettitudine è un rimprovero insopportabile alla cattiva condotta: “Tendiamo insidie al giusto, perché ci è d’imbarazzo…ci è insopportabile solo al vederlo?” (Sap.2,12 ss).

Un passo di s.Paolo ci è d’aiuto per capire meglio ciò che ha espresso s.Pietro: “…come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno al Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza…E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti” (1 Cor. 15,21-28).

La novità delle parole spirituali di s.Pietro non è legata al testo, ma a noi che le leggiamo: è quell’emanazione provata nella meditazione che spinge a ripetere a se stessi ciò che l’intelligenza ha già afferrato, ma che il cuore non si stanca di riascoltare. Sempre nuove non sono le parole, ma il bisogno di leggerle senza stancarsi mai.

Conclusio.

Padre Santo, con un sospiro di sollievo e un’espressione di riconoscenza quanto più grave era stato il pericolo mortale, io povero del Signore mi sento spinto insieme alla lode e alla meditazione: la tua collera dura un istante, mentre la tua bontà dura per tutta la vita.

Gesù Cristo ha preso sopra di sé la vita umana nelle sue forme più estreme: gioia esaltante e tristezza fino alla morte secondo la tua volontà Padre, per donarmi la salvezza. Gesù, Padre santo, ha riconciliato morte e vita nell’unico mistero della risurrezione. Non c’è nessuno stato della coscienza o del corpo che non può essere vissuto in Gesù Cristo. Infatti, come afferma s.Pietro, il momentaneo, leggero peso della mia tribolazione quotidiana, mi procura una quantità smisurata d’eterna gloria, perché io non fisso lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le vicissitudini dell’esistenza sono destinate a cedere il posto al riposo senza fine dell’eternità. L’eternità riscatta il tempo in tutti i suoi momenti, felici e infelici.

Grazie, Signore Gesù, benedetto sia il tuo nome sempre. Amen.