Se moriamo con Cristo

Lectio Divina – 12

2 Tim. 2,11-13; Tito 3,4-7

Introductio: Preghiamo la Madonna, con l’Ave Maria, perché ci assista nell’accogliere lo Spirito Santo.

“Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In essi il fuoco del tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
e donaci per intercessione di Maria che ha saputo
Contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande, quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo”. Amen.

Lectio. Leggiamo i testi molto attentamente.

Di Timoteo abbiamo già riferito nella Lectio precedente. Aggiungiamo solo che Paolo lo esorta fedelmente al Vangelo, e per questo gli rammenta di ravvivare il dono di Dio che è in lui per l’imposizione delle mani. Aggiunge, inoltre, che lo Spirito Santo non gli ha donato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Quindi prosegue dicendogli di non vergognarsi della testimonianza da rendere al Signore, di soffrire con Paolo stesso (si trovava in carcere) per il Vangelo, aiutato dalla forza di Dio, perché il Padre lo ha sanato e lo ha chiamato con una vocazione santa, non in base alle opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia donata da Cristo Gesù fin dall’eternità, ma rivelata solo ora con l’apparizione del salvatore Cristo Gesù.

Poiché Gesù ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del Vangelo, del quale egli è stato costituito araldo, apostolo e maestro.

Tito fu discepolo e compagno di Paolo, prima di Timoteo. Sembra certo che fosse nativo di Antiochia, di discendenza pagana, e chiamato da Paolo “figlio”, il che ci fa supporre che fosse stato battezzato dall’Apostolo. Poiché Tito non era giudeo, a Gerusalemme esigevano che ricevesse il rito della circoncisione, attribuendo il valore di norma a quel caso particolare e mirando con ciò a respingere la dottrina di libertà predicata da Paolo; il quale però non cedette, e Tito rimase incirconciso. Durante il terzo viaggio missionario di Paolo, Tito gli fu a fianco nella sua permanenza ad Efeso e lo coadiuvò nel sedare i torbidi intrighi della comunità di Corinto, prodigandosi nei fatti rammentati nella seconda lettera ai Corinzi.

Per gli ultimi anni qualche isolata notizia si ricava dalle Pastorali. Verso il 65 Tito giunge a Creta con Paolo, e lì lasciato per ampliare l’evangelizzazione dell’isola e provvedere alla sua organizzazione.

Egli doveva nominare presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni di Paolo, il quale aveva specificato che il candidato deve essere irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti e che non possano essere accusati di dissolutezza o siano insubordinati. Aggiunge ancora che il vescovo, come amministratore di Dio, deve essere correttissimo: non arrogante, non iracondo, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagno disonesto, ma, al contrario, ospitale, amante del bene, assennato, giusto, pio, attaccato alla dottrina sicura, secondo l’insegnamento trasmessogli, perché sia in grado di esortare con la sana dottrina e di confutare coloro che contraddicono. Quindi spiega a Tito che vi sono, soprattutto fra quelli che provengono dalla circoncisione, molti spiriti insubordinati, chiacchieroni e ingannatori della gente. Afferma anche che a questi tali bisogna chiudere la bocca, perché mettono lo scompiglio in molte famiglie, insegnando per amore di un guadagno disonesto cose che non si devono insegnare.

Meditatio.

“Se moriamo con Cristo, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo. Se lo rinneghiamo, anch’egli rinnegherà noi; se noi manchiamo di fede, egli rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2 Tim. 2,11-13).

Paolo, avendo rammentato la “potenza” di Dio, comunicata a Timoteo nella sua ordinazione, sviluppa il tema dell’assoluta gratuità della “salvezza” mediante la fede in Cristo e nel suo “vangelo”, di cui egli è stato stabilito “araldo, apostolo e maestro”. Si tratta del motivo che ha Timoteo per essere forte e coraggioso; non si può respingere a cuor leggero la “vocazione” di Dio alla salvezza e alla “immortalità, sia nel corpo sia nell’anima, costi quel che costi”.

I versetti citati assomigliano ad un antico “inno” liturgico, usato forse durante il rito battesimale per esprimere il mistero di vita e di morte rappresentato dal battesimo stesso. Esso consta di quattro proposizioni, e tutte iniziano con “se” e rette dalla legge semitica del parallelismo.

L’idea del “morire” con Cristo e del “soffrire” con lui è tipicamente di Paolo. Il proposito del “morire insieme” ci ricorda l’uso in vigore presso qualche popolo antico, dove i soldati più fedeli e amici del re morivano insieme con lui: in tal caso Paolo, riprende l’immagine militare, per enunciare una verità di fede.

“Quando si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per la sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna” ( Tito 3, 4-7).

Questi versetti sono molto importanti, giacché costituiscono una forma breve di riassunto della dottrina della salvezza, di cui si descrivono gli elementi costitutivi e le condizioni.

Autore della salvezza è Dio Padre: è lui, infatti, il “Salvatore nostro Iddio” di cui, ad un certo punto della storia “apparve” la “benignità” e lo sviscerato “amore per gli uomini”. Questa “epifania” dell’amore del Padre si è avuta soprattutto nell’Incarnazione. E sono da escludere come causa della salvezza pretese opere di “giustizia”. Infatti, Paolo, afferma: “Noi riteniamo che l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della Legge”. La frase va interpretata nel senso che più che sulla fede, insiste sulla necessità del battesimo che ovviamente presuppone, almeno per gli adulti, la “fede”.

Il battesimo è presentato come causa strumentale (“mediante…”) della salvezza: è descritto come “lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo”. Tale purificazione pertanto non è solo esterna, ma attinge le radici stesse dell’essere che è intrinsecamente trasformato e rinnovato: il battesimo opera perciò una vera interiore “rigenerazione”, con conseguente “rinnovamento” di tutta la struttura dell’essere. In quest’intima trasformazione consiste la “giustificazione”, la quale perciò non può essere una mera dichiarazione “forense” d’opere di giustizia.

In possesso di tale giustizia, che, di fatto, ci costituisce “figli di Dio”, è chiaro che abbiamo diritto alla “eredità” della “vita eterna”, la quale non sarà altro che l’efflorescenza della presente vita di grazia. Tale diritto però non è ancora un’effettiva immissione in possesso; infatti, è solo nella “speranza” che siamo già cittadini del cielo. E’ certo però che tale speranza “non delude”, perché abbiamo già la “caparra” della “vita eterna” nella presenza dello Spirito Santo in noi. Infatti, tutte queste meraviglie di “rinnovazione” le opera lo Spirito Santo, “effuso in abbondanza sopra di noi” dal Padre, in virtù dei meriti di Gesù Cristo Salvatore nostro”, nel giorno del nostro battesimo.

Come possiamo notare tutta la S.S. Trinità è all’opera nella realizzazione della salvezza: il Padre, poiché ideatore di questo stupefacente disegno d’amore; il Figlio, in quanto esecutore di tale progetto mediante l’incarnazione e in quanto causa meritoria dell’effusione dello Spirito sopra i redenti mediante la sua morte di croce; lo Spirito Santo , in quanto diretto autore dell’opera di “rigenerazione e di rinnovamento” delle anime.

Paolo, a più riprese, presenta la vita cristiana come una nuova “creazione”, una “vita nuova” in Cristo, una “rinnovazione” della mente; il cristiano ha rinnegato “l’uomo vecchio” ed è diventato “uomo nuovo”.

Contemplatio.

Gesù, Signore nostro, le tue parole, le tue promesse ci sono venute incontro e noi, commossi ed esultanti, le abbiamo interiorizzate nel cuore e nella mente. Per questo ti lodiamo, ti adoriamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo, ti contempliamo ed eleviamo a te canti e preghiere di ringraziamento, per il tuo amore che riversi su ognuno di noi. Le nostre vicende di cristiani, membri della nuova umanità, devono ricalcare quella tua Gesù. Se come te e insieme con te noi affrontiamo e sopportiamo la morte, avremo come te e con te la vita e il regno. Al contrario, se non resteremo fedeli, saremo da te giustamente rinnegati; tu invece rimani sempre fedele alle tue promesse. Questa è una realtà che noi non scorderemo, infatti, con la tua resurrezione, la parola più nuova, la forza più rinnovatrice è entrata nel mondo. Tutto ciò ci riguarda personalmente: Gesù, tu sei risuscitato per salvarci. Le nostre immancabili sofferenze, debolezze, prove e peccati sono stati innestati nella tua morte per esserlo nella tua risurrezione; perdendo la loro amarezza. Il nostro essere cristiano è teso fra tre tempi: la morte già realizzata nel battesimo, le sofferenze dell’esistenza, il regno futuro. Gesù, ciò che ci lega è la “speranza”, che è certezza d’attesa operosa. Vivere alla tua sequela è rivivere la tua esistenza pasquale: il presente raccorda e domina il passato e il futuro ne trae energie per il compimento pieno. Perciò mettiamo al bando paure e varie questioni che smorzano la fede e la speranza.

Oggi noi abbiamo rievocato il tempo primo della conversione con le colpe che ci caratterizzavano. Tuttavia, per la misericordia di Dio Salvatore si è verificata mediante il battesimo, la decisiva trasformazione. Il tuo dono gratuito nel battesimo, lo Spirito Santo, con i suoi effetti ci ha rinati e rinnovati. Mansuetudine e dolcezza verso tutti sono due vite squisitamente e appartenenti a noi cristiani. Noi, in genere, non siamo portati alla mitezza: infatti, essa esige continua lotta contro di noi stessi, dominio di sé, rinnegamento del nostro egoismo; comporta pazienza, costanza e coraggio, rinuncia e sacrificio. Più noi cristiani sviluppiamo la bontà nella nostra vita, più essa diventa contagiosa fino a sommergere l’ambiente che ci circonda. La dolcezza educa alla comprensione, alla clemenza, all’umiltà, alla piena e continua comunanza con Dio, sorgente d’ogni bontà. La mansuetudine ne è l’espressione più alta e delicata, perché dimenticando noi stessi si vive e si spera per gli altri. Di questo noi ti siamo grati, perché tutto proviene da te nel dono effuso con lo Spirito Santo.

Conclusio.

Se Dio non mi avesse fermato, se mi avesse abbandonato ai miei soli pensieri e alle mie sole forze, senza dubbio avrei preso la strada che porta alla morte e alla perdizione. Nel numero dei ribelli, sono vissuto anch’io, un tempo, con i desideri della mia carne, seguendo le voglie della carne e i desideri cattivi; ed ero per natura meritevole d’ira, come gli altri. Ma tu Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale mi hai amato, da morto che ero per i peccati, mi hai fatto rivivere con Cristo a nuova vita: per grazia, infatti, sono stato salvato. Mi hai anche risuscitato nel battesimo e mi hai fatto sedere nei cieli in Cristo Gesù Redentore. Il mio sguardo di fede non si svolge soltanto verso l’avvenire di gioia, ma si sofferma anche a considerare la disgrazia e la sventura che mi sono state risparmiate dal salvatore Gesù, tuo Figlio Diletto.

Grazie, Gesù Signore! Benedetto sia il tuo nome, sempre!

Amen.