Uno solo è Dio

Lectio Divina – 11

1 Timoteo 2,5-6; 3,16; 6,15-16

Introductio: Preghiamo la Madonna, con l’Ave Maria, perché ci assista nell’accogliere lo Spirito Santo.

“Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In essi il fuoco del tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
E donaci per intercessione di Maria che ha saputo
Contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande, quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo”. Amen.

Lectio: Leggiamo il testo con attenzione.

Timoteo abitava a Listra insieme alla nonna Loide e la madre Eunice. Suo padre, che all’epoca era già morto, era stato pagano; invece le due donne, che curarono l’educazione del fanciullo, erano ferventi giudee e si convertirono al cristianesimo insieme con Timoteo durante il primo viaggio missionario di Paolo. Quando Paolo partì da Listra durante il suo secondo viaggio missionario, condusse con sé Timoteo, suo discepolo e fedele compagno che era entrato alla sua sequela, e come suo cooperatore, benché fosse di carattere timido e di salute malferma. In tale occasione Paolo lo circoncise, per evitare ostacoli da parte dei Giudei a cui i due missionari dovevano presentarsi. Da quel tempo Timoteo rimase a fianco di Paolo fino alla morte dell’Apostolo, ma con alcuni intervalli; in ben sette lettere (oltre alle pastorali) Paolo inviando i propri saluti vi unisce anche quelli di Timoteo, e in un’altra lettera (1 Corinti) lo nomina nel corpo dello scritto. Per gli anni successivi alla liberazione di Paolo dalla prima prigionia romana abbiamo scarse notizie dalle Pastorali; in primo luogo apprendiamo che Paolo era ritornato ad Efeso.

La lettera costituisce un gruppo a parte nell’epistolario paolino. Essa, infatti, fu scritta da Paolo nel breve periodo che intercorse fra la liberazione dalla prima prigionia romana e il suo secondo arresto, che terminò col martirio dell’Apostolo (64-67 circa d.C. alle Acque Salvie, dove oggi sorge l‘Abbazia delle Tre Fontane). Il destinatario è Timoteo, come abbiamo specificato, suo collaboratore nell’opera di evangelizzazione e fu da lui prescelto come responsabile della comunità di Efeso. Ed è proprio in questa veste di responsabile ecclesiastico che egli si rivolge al discepolo e dà saggi consigli e avvertimenti sul modo di organizzare e guidare spiritualmente la comunità a lui affidata.

Appunto per questo suo specifico carattere di “direttorio pastorale”, a incominciare dalla seconda metà del sec. XVIII, si prese a chiamarle “lettere pastorali”. Questo non significa che fossero lettere “private”: anche se indirizzate a privati, avevano sempre di mira la intera “comunità”, la quale in esse vedeva come l’autenticazione della missione del discepolo e vi leggeva anche la somma dei propri doveri verso di loro e anche verso gli altri fratelli. Infatti, dato il carattere eminentemente “pratico” di queste lettere, non ci deve sorprendere che la tematica teologica, più che illustrata, sia solo presupposta: e difatti vi ritroviamo accennati un po’ tutti i più tipici temi paolini. Quello invece che viene ampiamente illustrato è la dottrina relativa alla costituzione e alla organizzazione gerarchica della Chiesa: questo è l’apporto dottrinale più ricco delle lettere pastorali. La Chiesa non è solo una realtà trascendente e interiore, ma è anche una realtà “sociale” che prende gli uomini così come sono: in quanto tale, essa ha bisogno anche di una solida organizzazione e di una intelaiatura gerarchica. Ecco perché le principali preoccupazioni dell’Apostolo in queste sue ultime lettere sono orientate nella scelta dei “capi” delle varie Chiese: episcopi, presbiteri, diaconi, di cui si descrivono insistentemente le qualità spirituali richieste per un decoroso esercizio della loro missione. Essi avranno il compito di guidare e di comandare, ma soprattutto di “insegnare” la “sana dottrina”, difendendola dalle sofisticazioni dei falsi maestri. Alle loro mani è affidato il “deposito” della verità rivelata. Essi però avranno cura di trasmetterlo a “uomini sicuri, i quali siano capaci di ammaestrarne altri”. In questo modo è così stabilita la catena della “successione” apostolica, sia per quanto riguarda il governo delle varie comunità, sia per quanto riguarda il potere di magistero. E’ nella saldezza di questa catena che la Chiesa di tutti i tempi può avere la certezza di essere “la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità”. Questo è il grande insegnamento di Paolo, valido soprattutto oggi che tante Chiese sono alla ricerca dei motivi critici e teologici che le legittimino come genuine Chiese di Cristo.

Meditatio: “Uno solo è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti”.

I versetti 5-6 del capitolo 2 contengono un passo di primaria importanza. Anche Mosé è stato mediatore, ma un mediatore imperfetto perché rappresentava e impersonava il solo Israele. Cristo invece è il “mediatore” unico e perfetto di salvezza, perché Dio e uomo nello stesso tempo; perciò egli rappresenta il punto di incontro dell’umanità intera. Nell’unica persona del Verbo, sussistente nelle due nature unite ma non confuse, si realizza dunque una fondamentale mediazione: quale nuovo Adamo, Cristo assume in sé l’umanità decaduta, “giustificandola” e “vivificandola” nella grazia.

Però più che questa radicale mediazione, Paolo desidera mettere in evidenza la mediazione di “redenzione” attuata nella morte di Cristo: ecco perché, pur affermandone la divinità, Paolo pone l’accento sulla umanità di Cristo: “l’uomo Cristo Gesù”.

Questo, forse, anche allo scopo di reprimere le incipienti manifestazioni eretiche (alcuni pensavano che Gesù avesse preso apparentemente un corpo), condannate apertamente in seguito da S.Ignazio di Antiochia.

Di estremo interesse è l’espressione: “In riscatto per tutti”. In altre parole, il significato è di redenzione sostitutiva, cioè Cristo si è sostituito agli uomini per dare seguito alla volontà del Padre e al suo piano di salvezza, e sottolinea la redenzione come sublime opera di amore. Quindi la redenzione è la liberazione degli uomini dalla schiavitù del peccato e la loro assunzione nell’intimità della vita stessa di Dio, in modo da diventare il nuovo “popolo peculiare” dell’Altissimo.

Come ben sappiamo, l’autore di questa sublime “liberazione” spirituale è Cristo Gesù, “il quale ha dato se stesso per noi allo scopo di riscattarci da ogni iniquità e purificare per sé un popolo di suo pieno possesso, zelante nel compiere opere buone”.

Notiamo, poi, come Paolo, più del testo evangelico, metta in evidenza la universalità della redenzione; “In riscatto per tutti”: alla volontà salvifica universale corrisponde, in linea di attuazione, la effettiva universalità della redenzione.

“Dobbiamo confessare che grande è il mistero dell’amore: Egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria”.

La Chiesa non è custode di una qualunque “verità” filosofica, ma di un mistero di fede, da Dio stesso rivelato ai “suoi santi”: “mistero di fede” che diventa a sua volta “mistero di pietà”, cioè della stessa vita religiosa che ad esso si alimenta e nel cui clima si muove e respira. Tale “mistero” si concentra e si esaurisce nella persona di Cristo che, dopo le vicende della vita mortale, fu “assunto nella gloria del Padre” e, diventato “spirito vivificante”, dall’interno nutre, cementa, aggrega la Chiesa.

Che il “mistero della pietà” sia lo stesso Cristo, risulta dal pronome con cui inizia lo stupendo “inno cristologico” del versetto. Di questo grande mistero della pietà sono descritti i punti più salienti: l’incarnazione (fu manifestato nella carne), l’ascensione al cielo (fu assunto nella gloria) che corona l’opera della redenzione, la rapida diffusione in tutto il mondo mediante la predicazione degli Apostoli e la fede dei credenti (fu predicato…fu creduto…). E neppure oscuri, come può sembrare a prima vista, i due riferimenti: “fu giustificato nello spirito”, e “apparve agli angeli”; perché si riferiscono alla morte e resurrezione di Cristo.

“Al tempo stabilito egli sarà a noi rivelato dal beato e unico sovrano, il Re dei regnanti e Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile; che nessuno fra gli uomini ha mai visto, né può vedere.

A lui gloria e potenza nei secoli. Amen.

Paolo, rammentando la “manifestazione di Cristo”, precisa, nei versetti 15-16 del capitolo 6, che essa avverrà nel momento e secondo le modalità “stabilite dal Padre”, sconosciute quindi a ogni uomo, compreso egli stesso. Tuttavia, davanti al pensiero della gloriosa “manifestazione” di Cristo, dal cuore di Paolo fiorisce spontanea una commossa elencazione, in cui vengono accumulati i titoli più espressivi ed efficaci, atti a descrivere la superiore potenza e la trascendente grandezza di Dio, avvolto in una “luce” accecante e impenetrabile ogni occhio mortale. L’insistenza dell’Apostolo nel declamare al Padre i più smaglianti titoli regali ( “beato e unico sovrano, Re dei regnanti” ecc.) pare una intenzionale nota polemica contro i monarchi orientali e contro gli imperatori romani che si attribuivano titoli di “signore, re, immortale, sole splendente e quant’altro”.

E’ interessante anche notare che Paolo per designare la seconda venuta di Gesù Cristo, invece del più comune termine “parusia” o “rivelazione”, nelle lettere pastorali preferisce “manifestazione”. Definizione che viene anche usata per esprimere l’opera redentrice di Cristo.

Contemplatio.

“Io sono il Signore, tuo Dio,…:non avrai altro altri dèi di fronte a me…Non pronunzierai invano il nome del Signore, tuo Dio…”

Tu solo sei Dio: tu sei il nostro Signore e ci hai dato questa vita perché con essa ci meritiamo la vita che non muore; ci hai dato capacità di amare e creature da amare “con santità” e non con lussuria; ci hai dato il potere, l’autorità perché ne facciamo mezzo di santità e non di dannazione. Noi possiamo divenire simile a te, perché Tu hai detto: “Voi siete dei”, ma solo se viviamo la tua vita, cioè secondo la tua Legge, solo se viviamo la tua vita, ossia il tuo Amore. Tu solo sei Dio, l’unico Dio, “l’Io Sono“.

Noi siamo tuoi figli e tuoi sudditi, eredi del tuo Regno. Tuttavia se disertiamo e tradiamo, se creiamo un regno nostro (regno dell’uomo) in cui vogliamo umanamente essere re e dio, allora perdiamo il Regno vero e la nostra sorte di figli di Dio decade e ci degradiamo a quella di figli del Demonio, poiché non possiamo contemporaneamente servire l’egoismo e l’Amore, dal momento che chi serve il primo serve il tuo nemico e perde l’Amore.

Nel tuo infinito amore, secondo i tempi stabiliti prima della creazione, hai inviato il tuo Verbo a prendere forma umana nel seno della Vergine Maria che ha cooperato con te alla salvezza di tutti: Gesù Cristo, tuo Figlio diletto.

Gesù noi crediamo che tu sei vero Dio e vero uomo, che tu sei la via mediatrice divina di efficacia infinita, per farci oltrepassare l’abisso che ci separa dal Padre. Crediamo che la tua santa umanità è così perfetta e potente che, malgrado le nostre miserie, lacune e debolezze, essa può attirarci là dove sei tu, nel seno del Padre Nostro. Fa che noi ascoltiamo le tue parole, che seguiamo i tuoi esempi, che non ci separiamo mai da te.

In questa Lectio divina abbiamo intravisto il ritratto del pastore ideale, di colui che se anche ci trovassimo in una valle oscura, non avremmo nulla da temere perché tu ci sei accanto. Da parte nostra dobbiamo conservare intatta e senza compromessi la dottrina delle fede, e il tuo Spirito Gesù fino al giorno della tua manifestazione.La grande esigenza della nostra vita è quella di conservare pura e integra la fede in te

Gesù, anche di fronte alle ammalianti filosofie moderne o agli attacchi eretici, per noi cristiani il primo e più importante compito è la custodia della fede, amando te nel tuo corpo mistico che è la Chiesa.

Mai Chiesa senza di te, Gesù!

Lode e gloria a te Signore della mia salvezza, redenzione, e remissione dei peccati.

Conclusio.

I versetti sui quali ho riflettuto sono un inno sapienziale sulla sorte di chi non accetta l’unicità di Dio Padre e il suo piano di redenzione operato in Cristo Gesù.

Il momento della preghiera (come oggi) è la meditazione delle tue opere Signore, l’azione di grazie per il soccorso ricevuto. Si tratta di due temi che coinvolgono rispettivamente la memoria, l’intelligenza e il cuore. Ciò che risale dalla memoria alla coscienza fa riflettere, invita alle lacrime o al canto.

L’errore di molti è di non aprire gli occhi sulle tua opera creatrice. Vi leggerebbe il tuo pensiero Dio. La fede non è soltanto questione di sentimento, d’istinto cieco. Per credere, bisogna vedere, si diceva. La fede, è vero, non ha l’evidenza del suo oggetto, ma ne percepisce i segni. Perciò bisogna credere per vedere. La fede ha necessità della virtù del cuore quanto e più che del cervello.

Quando Paolo parla dell’immagine del giusto piantato nella casa del Signore, trova un’eco ammirevole nella concezione del battesimo. Ogni fedele, mediante il battesimo, è divenuto un solo essere con Cristo. Da qui la necessità di portare frutto: “…ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna. Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore”.

Signore, ti lodo ed elevo canti in tuo onore, nel tuo nome, o Altissimo. Dolce è annunciare ogni giorno il tuo amore, la tua fedeltà lungo la notte. Tu, Signore, mi rallegri, con le tue meraviglie ed esulto per l’opera delle tue mani. Poiché sono grandi le tue opere , profondi i tuoi pensieri, Signore.

Sia lode e gloria al nostro Dio, in Cristo Gesù, sempre!.

Amen.