Inno all’Amore

Lectio Divina – 7

Corinzi 13,1-13

Introductio:
Meditiamo un istante sulla presenza di Gesù in mezzo a noi, lodandolo e ringraziandolo.

Preghiamo la Madonna, con l’Ave Maria, perché
ci assista nell’accogliere Lo Spirito Santo.

“Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In esso il fuoco del tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
E donaci per intercessione di Maria che ha saputo
Contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra via.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande; quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo”. Amen.

Lectio: Leggiamo il testo dell’inno con attenzione.

Corinto segna l’ultima tappa del secondo viaggio missionario di Paolo. Giunge in città sotto l’impressione agghiacciante del clamoroso fallimento di Atene (discorso dell’Aeropago), solo, senza la compagnia di Timoteo e Sila, totalmente sprovvisto di sussistenza.

Lo sforzo e l’azione evangelizzatrice di Paolo dapprima si rivolse alla popolazione giudaica, insegnando nella sinagoga, ottenendo un modesto successo.

Egli viveva e lavorava con Aquila e Priscilla (espulsi con tanti altri da Roma) e i suoi amici giudeo-cristiani che facevano parte del suo gruppo missionario nella città. Tuttavia, a seguito di attacchi continui dagli ebrei, Paolo mutò atteggiamento. Cessò perciò di annunciare la “buona novella” soltanto ai giudei e si rivolse prevalentemente ai pagani, confermato in questo da una visione avuta dal Signore (At. 18,7-10). Qui Paolo conobbe Apollo, che era stato istruito da Aquila e Priscilla.

L’antica città di Corinto si trovava in una posizione strategica, che le permetteva di controllare il commercio che transitava attraverso la stretta lingua di terra posta tra l’Egeo e l’Adriatico, inoltre era essa stessa un grande centro commerciale e una città cosmopolita, ove Greci, Latini, Siriani, Asiatici, Egiziani…lavoravano a spalla a spalla, per cui rappresentava un obiettivo importante per Paolo. Infatti, stabilire una Chiesa a Corinto significava porre il messaggio cristiano in grado di diffondersi rapidamente in tutte le direzioni.

Eppure è difficile immaginare un luogo meno adatto per impiantarvi il cristianesimo.La città era dominata dal denaro, con tutti gli annessi e connessi che questo comportava, e dal tempio di Afrodite ( la dea dell’amore) eretto sull’acropoli. Migliaia di prostitute sacre, una vasta popolazione multirazziale avevano contribuito a crearle una cattiva fama e a rendere il nome della città sinonimo di immoralità e di licenza sessuale.

Anche la Chiesa cristiana divenne un calderone razziale e sociale, come la città. Contava pochi ebrei e molti gentili, persone ricche, potenti e influenti, ma soprattutto gente umile. Molti erano i convertiti da un paganesimo permissivo, che avevano poco di cui gloriarsi; eppure si ostinavano, alla maniera greca, di credersi degli intellettuali di valore e discutevano di temi impegnativi come quello della “libertà” e della “conoscenza”.

Ciò nonostante, in meno di due anni riuscì a creare una comunità, se non perfetta, certo ben animata e volenterosa, da cui inoltre sciamarono altri raggruppamenti nei dintorni.

Di questo nucleo cristiano Paolo fu geloso (forse perché erano stati incalliti peccatori dediti alle pratiche pagane), e anche da lontano ne seguiva minutamente la vita spirituale per mezzo di lettere inviate e ricevute e di informazioni orali.

La corrispondenza divenne intensa durante il terzo viaggio missionario, allorché egli si fermò a Efeso. In quel periodo (anno 55 d.C.) le condizioni della cristianità di Corinto si erano contaminate. Il problema era che la comunità, invece di mantenersi compatta e unanime, si scindeva in tante fazioni col pericolo di frantumare tutto. La causa di tutto, era che dopo la sua partenza, altri predicatori erano sopraggiunti da varie parti a Corinto e, involontariamente o a bella posta, avevano provocato il formarsi di vari raggruppamenti in lite tra loro. Tra l’altro uno di questi predicatori era stato Apollo, il giudeo dal parlare fiorito e dai concetti allegorizzanti, che aveva suscitato molte simpatie. In verità egli non aveva mirato a diventare capo di una sua comunità, né a contrapporsi a Paolo, il fondatore: anzi, preoccupato della disgregazione che si stava consumando, tornò a Efeso presso Paolo, informandolo di ciò che avveniva. Paolo inviò a Corinto il fedele Timoteo e, per meglio rafforzare la sua opera che avrebbe svolto, scrisse ai cristiani di Corinto la lettera di cui mediteremo e contempleremo “l’Inno all’amore”.

Aggiungiamo che questa lettera tratta di argomenti svariati e senza un rigoroso filo logico (al contrario di quella ai Romani): vi entrano in discussione, insieme ai casi individuali, l’onestà dei costumi, il matrimonio e il celibato, gli idolatri, l’Eucaristia, i carismi, la resurrezione di morte.

Oltre al suo valore dottrinale, la lettera è un documento di valore storico impareggiabile per conoscere la vita intima del cristianesimo primitivo in una situazione sociale e ambientale drammatica.

Meditatio:

Siamo di fronte a una delle più belle pagine della letteratura cristiana. Potremmo definirla un’ispirazione dall’alto che, per arrivare fino a noi, si serve per un istante della lingua degli angeli. Mai una voce umana ha trovato simili accenti per celebrare ciò che vi è di più divino in terra. Mai soffio poetico si è sollevato a simili altezze. Tutto questo tratto scorre davanti allo spirito come una luminosa visione di forme pure e ideali, di cui invano si cercherebbe la traccia nel nostro mondo reale.

I versetti ci presentano la carità intesa soprattutto come amore del prossimo; essa però non solo prescinde dall’amore verso Dio, ma lo presuppone necessariamente. Si tratta di virtù essenzialmente “teologica”, e perciò viene posta a lato della fede e della speranza. Solo questo può avere quell’ampiezza, quella grandezza eroica, quella resistenza a ogni prova e quella profondità con cui ce l’ha presentata Paolo: non è il gioco delle simpatie o degli interessi che può produrla ma solo l’amore sincero verso Dio, di cui vediamo i luminosi riflessi in ogni creatura ragionevole, anche se fosse abbruttita nel male. Anzi, questo è l’unico modo per noi cristiani di accertarci che il nostro amore verso Dio sia genuino: “Infatti chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”.

Dell’amore così nobilmente inteso Paolo descrive prima la superiorità su tutti i carismi (vv.1-3), quindi le caratteristiche (vv.4-7), infine la durata (vv.8-13).

Versetti 1-3 (superiorità su tutti i carismi). Nessun carisma vale quanto l’amore: esso costituisce l’essenza della vita cristiana. Senza l’amore, tutto il resto non rende accetti a Dio: “Qualora parlassi le lingue degli uomini e degli angeli ma non avessi l’amore, sarei come un bronzo rimbombante…” Per lingua degli angeli si intende la lingua più nobile che si possa pensare e il bronzo rimbombante sta a significare che senza l’amore tutto è chiasso, come uno strumento senza alcun costrutto musicale.

Poi ricordiamo la “profezia” che abbraccia anche la conoscenza dei “misteri”; il discorso di “Scienza” e la “fede” nella onnipotenza divina, capace di operare i più grandi miracoli, come quello di “trasportare le montagne” (Mt. 21,21). Paolo spinge l’ipotesi fin quasi all’irreale, al di là della stessa “distribuzione “ di tutte le proprie “sostanze” ai poveri, e cioè fino al sacrificio estremo affrontato per salvare la vita a qualcuno. Ora, se un motivo qualsiasi di vana gloria guastasse una sì alta finalità, anche la morte non avrebbe alcun valore: oppure fossimo spinti a questo da ragioni in sé buone ma puramente umane, senza che l’amore di Dio ci muova interiormente , il sacrificio a “niente mi gioverebbe”.

Versetti 4-7 (caratteristiche). L’amore è “paziente” , sopporta le ingiurie e i torti; è “benevole”, disposto perciò a fare del bene a tutti; “non ha invidia” del bene del prossimo; “non si millanta”, “non si gonfia” dei propri pregi o meriti; “non agisce scompostamente” , ma anzi è delicato; “non cerca le cose sue”, è disinteressato; “non si irrita”, non si arrabbia e non perde la serenità; “non tiene conto del male subito”, “non si rallegra della ingiustizia, si rallegra invece della verità”, anche se dovesse costare.

L’amore “tutto ricopre” col manto della bontà, pronto a scusare tutto; “tutto crede”, salvo l’incredibile, dando così fiducia al prossimo; “tutto spera”, non arrendendosi mai di fronte alle situazioni anche più disperate; “tutto sopporta”, anche le disillusioni, i fallimenti, le ingratitudini.

Versetti 8-13 (la durata). Mentre tutto ciò che è creato passa, perfino i più alti carismi (lingue e profezie) e le virtù più eminenti (fede e speranza), l’amore non tramonta mai; esso infatti si identifica con Dio amore, l’Intramontabile, l’Eterno per definizione. La ragione di tutto ciò è evidente: tutte queste “conoscenze”, essendo “imperfette” e “parziali”, saranno sostituite dalla “visione” chiara di Dio, suprema verità, così come l’uomo che, a un certo punto della sua vita, smette la maniera di pensare e di ragionare del “bambino”, perché ha raggiunto una più alta maturità. D’altra parte, tale “imperfezione” di conoscenza qui sulla terra è più che normale. Dio infatti noi non lo conosciamo e sperimentiamo direttamente, ma solo per mezzo della creazione e attraverso i veli oscuri della fede: una conoscenza dunque indiretta, analogica, enigmatica, che ci presenta la realtà come fa uno “specchio” imperfetto, deformando le cose in una fatua apparenza. “Allora conoscerò anch’io come sono conosciuto”. come Dio vede tutto in se stesso, così noi lo vedremo in se stesso, nella sua intima essenza.

Come conclusione, Paolo esalta la superiorità dell’amore sopra le stesse altre virtù “teologali”, che pur sono essenziali alla vita cristiana: “…la più grande di tutte è l’amore”. Infatti alla fede succederà la visione, alla speranza il raggiungimento del fine; l’amore invece non tramonterà mai, perché Dio stesso è “amore”.

Contemplatio:

Nel descrivere l’amore, Paolo ha tracciato consciamente il ritratto di una persona, di Gesù Cristo, l’Incarnazione viva di questo amore effettivo, paziente, disinteressato e dimentico di sé, senza del quale non vi sarebbe Chiesa. Contemplandoti, Signore Gesù, ti esprimiamo esultanti sentimenti di ammirazione, di gratitudine, di fiducia e di gioia.

Ammirazione. Gesù sei meraviglioso: tu dai a noi poveri, umili, peccatori, quello che hai di meglio, quello che ami maggiormente, il solo oggetto degno del tuo amore, il Padre Celeste.

Gesù, non siamo stati noi ad amare il Padre, ma è lui che ha amato noi e ti ha mandato come vittima di espiazione per i nostri peccati. Il Padre è amore e noi riconosciamo e crediamo all’amore che il Padre ha per noi, come tu ce l’hai insegnato. Gesù noi siamo sommersi nella tua generosità infinita, illimitata e insondabile. In silenzio, ci lasciamo invadere dall’ammirazione per la tua sapienza, per il tuo piani di redenzione del mondo, per la tua magnanimità. Gesù, sono stupefacenti i tuoi pensieri, i tuoi disegni e le tue opere, e immenso è il tesoro del tuo amore, come l’ha descritto l’Apostolo Paolo.

“O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!” (Salmo 8,1).

Gratitudine. Gesù, ci hai elargito il migliore fra i tuoi doni, il dono del tuo Spirito d’amore, che è sempre e resta in permanenza in mezzo a noi. Come mostrarti la nostra riconoscenza per il tuo amore? Accogliendolo, onorandolo, e ricambiandolo; riponendo in lui la nostra fiducia e la nostra speranza, mettendo al centro della nostra vita e della nostra attività, indirizzando a lui i nostri pensieri, i nostri atti e i nostri affetti a tua imitazione, proclamandolo al mondo, perché gli uomini lo conoscano e lo amino.

Fiducia. Gesù, noi crediamo al tuo amore per noi. Ci hai detto, per bocca del profeta: “Anche se ci fosse una donna che dimentica i suoi figli, io non ti dimenticherò mai”. Un marito può ripudiare la sua sposa e una donna può essere infedele al marito, ma tu Gesù non abbandonerai mai il gregge che il Padre ti ha affidato. Anche quando noi lasciamo la tua Chiesa per andare a gustare i piaceri del mondo, tu lasci la porta aperta attendendo il nostro ritorno (proprio come il figliol prodigo della parabola). Tu sei sempre pronto ad accogliere i figli tuoi fratelli che tornano a casa, di giorno e di notte, quale che sia l’ora in cui rientrano.

Gesù tu sei buono e misericordioso: il tuo amore per noi non conosce limiti né restrizioni né ha tempi fissi. Gesù, grazie per la facilità con cui perdoni i nostri numerosi peccati.

Gioia. Quale onore sapere che il Padre ci ama tramite te, o Gesù. Quale gioia sentirsi immersi nel suo amore e riposare in esso! Poiché siamo certi di essere amati da te e dal Padre, possiamo non curarci più delle angosce, delle preoccupazioni, delle delusioni, degli insuccessi. Siamo confortati dal pensiero della Provvidenza divina. Gioiosi di essere stati favoriti dal dono del Padre, per avere te Gesù. Gioiosi di poter gustare fin d’ora “la felicità eterna” : vedere il Padre come tu ce lo hai fatto vedere, proprio come hai detto all’apostolo: “Ancora non hai capito? Chi vede me, vede il Padre”. E noi lo vediamo così come è, nel suo splendore, per amarlo e amare te Gesù, nostro Signore.

Gesù che cosa ti renderemo per il grande amore che ci porti, per la cura che hai di noi in ogni istante, per la tua Provvidenza e per averci dato la qualifica adottiva di figli del Padre?

Conclusio.

“Dammi, o mio Dio, di che darti, perché soddisfi almeno in parte al molto che ti devo” (Sant’Agostino). Io non ho parole, né di altro sono capace. Fa, o mio Dio, che dinnanzi a te abbiano valore almeno i miei desideri, senza guardare alla pochezza dei miei meriti.

Signore, solo oggi ho compreso che solo l’amore dà valore alle opere, e l’unica cosa necessaria è che l’amore sia così forte che niente valga a soffocarlo. Ma in che modo il mio amore può essere degno di Gesù, se tu, Padre celeste, non lo rafforzi con quello che hai per me? Mi lamenterò?…Non ho alcun motivo di farlo, avendo sempre avuto da te tali testimonianze di amore superiori di molto a quanto ho saputo chiedere e desiderare. No, non ho alcun motivo di lamentarmi, a meno che non sia per l’eccesso della bontà con cui mi hai sopportato. Ma che cosa ha da domandarti una creature così debole e misera come me? Di amarti compiendo il tuo volere, senza preoccupazione personale o ricerca di me stesso.

Amen.