Prologo Vangelo Secondo Giovanni

Lectio Divina – 4

Cap. 1, 1-16

Introductio: Invocazione dello Spirito Santo

“Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
in essi il fuoco del Tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
e donaci per intercessione di Maria che ha saputo
contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande: quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo”. Amen.

Lectio: Leggiamo l’inno del prologo di Giovanni

Il Vangelo di Giovanni è molto diverso dagli altri tre. Fu scritto per ultimo – forse verso il 90 d.C. – e sembra che presuma che i suoi lettori conoscano già i fatti della vita di Gesù. Giovanni completa gli altri tre racconti e cerca soprattutto di interpretare e spiegare il senso di quanto è successo. Tra i molti miracoli operati da Gesù sceglie alcuni “segni”,che mostrano più chiaramente chi egli fosse.

Tutto quel che scrive mira allo scopo di condurre il lettore alla fede (20,30-31). Ricorda soprattutto quel che Gesù disse riguardo a se stesso. Il Vangelo non contiene parabole, e molti degli episodi che narra si sono verificati in Gerusalemme e nei suoi dintorni in occasione di varie festività religiose. Forse Gesù usava un tono diverso quando si trovava nel centro politico e teologico della nazione. Tema centrale del Vangelo sono la sua messianità e la sua filiazione divina.

Giovanni indica se stesso semplicemente come “il discepolo che Gesù amava” (21,20.24). E’ uno dei dodici, uno dei più vicini a Gesù ed anche a Pietro.

L’anziano apostolo ha scritto o dettato il vangelo spirituale ad Efeso (nell’odierna Turchia). Egli era forse cugino di Gesù (sua madre Salome era, forse, sorella di Maria: Mt.27,56; Mc.15,40; Gv.19,25).

L’impresa per la pesca costituita a Cafarnao era certamente fiorente, visto che la famiglia di Giovanni aveva della manodopera e possedeva una casa a Gerusalemme. Fu forse grazie agli affari che egli conosceva personalmente il sommo sacerdote.

Giovanni e Giacomo (soprannominati da Gesù “figli del tuono”) erano con Pietro gli intimi di Gesù e divennero in seguito i capi della Chiesa. A loro tre fu concesso di vedere Gesù trasfigurato, di assistere alla risurrezione della figlia di Giairo e di vegliare col Maestro nel giardino del Getsemani. Gesù affidò alle cure di Giovanni la madre, quando la vide ai piedi della croce. Ben pochi ebbero quindi l’opportunità di conoscere il Signore da vicino come lui.

Passando dai vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) al vangelo di Giovanni rimaniamo subito colpiti dalla diversità della persona di Gesù che ci viene incontro: una persona descritta non solo nei suoi gesti e nelle sue parole, ma nel profondo mistero umano e divino che essa racchiude. Un vangelo, dunque, meditato, approfondito, e insieme scarno, continuamente ricondotto all’essenziale. Certo frutto di una lunga contemplazione. Il Gesù Cristo di Giovanni è molto coinvolto nella storia, vivo, polemico: la sua parola penetra nel profondo e fa sanguinare.

Meditatio:

L’inno è posto come prologo e guida tutta la comprensione del vangelo ed è perciò in questa prospettiva che è necessario leggerlo. I concetti del prologo sono ripresi e sviluppati nel corso del vangelo. La teologia del prologo prepara la storia del vangelo stesso e ne indica il significato profondo, diciamo che ci offre la chiave per coglierne il vero significato. Nel prologo, in altre parole, si asserisce che il Verbo è la luce che brilla nelle tenebre, che divenne carne, che fu rifiutato, che manifestò la sua gloria.

L’inno si divide in tre parti:

Prima parte, vv.1-5, il Verbo e la sua storia di rivelazione e salvezza, una storia combattuta: questo contiene già, in breve, tutta la storia di Gesù ma espressa ancora in termini molto personali;

Seconda parte, vv.9-13, è ripresa la medesima narrazione di rivelazione e salvezza, storia combattuta: si precisa però il dono che il Verbo offre e le condizioni per riceverlo;

Terza parte, vv.14-18, ancora la storia del Verbo, precisandone però l’Incarnazione, il dono salvifico.

La terza parte è senz’altro la migliore, dal momento che ci aiuta nella lettura del prologo senza però trascurare aspetti importanti messi in luce nelle altre parti.

Il soggetto della scena è il Verbo (=Gesù), mentre i personaggi sono tre, Gesù, il Battista, e Giovanni, colui che scrive.

Il Vangelo di san Giovanni si apre con una visione di verità, uno splendore inesprimibile, una bellezza infinita che ci comunica una profonda felicità e gioia.

“In principio era il Verbo,…”. La prima frase, come un lampo, apre d’un colpo la cortina che protegge il mistero di Dio. Il velo del Tempio, che nasconde la presenza di Jahvè, è squarciato in due. L’ammirabile e impressionante, ma ancora imperfetta rivelazione di Dio nell’A.T. raggiunge la sua perfezione nel Nuovo.

Il Vangelo rivela agli uomini il mistero della vita intima di Dio; getta un prodigioso raggio di sole sul santuario interiore. Dio confida il suo segreto ai suoi figli, ai suoi amici, ai suoi prediletti; lo confida a tutti noi. Il Libro della Genesi ci mostra Dio in relazione col creato: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn.1,1). Più tardi, lungo la Scrittura, Dio si manifesta come il Santo, Colui che è, l’Immutabile, il Fedele, Colui che ama il suo popolo. Il Vangelo di Giovanni ci parla di Dio in se stesso: “In principio…il Verbo era presso Dio”. L’impenetrabile, l’eterno e primordiale mistero del segreto di Dio è rivelato a semplici creature. Con un atto d’amore che manifesta l’intera fiducia che egli accorda agli uomini, Dio parla e rivela di essere il Padre che genera suo Figlio da tutta l’eternità. La sua Parola dimora nel suo Figlio. Dio ci fa conoscere la ricchezza della sua natura, l’essenza del suo amore, il dono che fa di sé, il modo con cui comunica al Figlio le sue perfezioni.

“E il Verbo era presso Dio”. Fin dall’inizio, il Vangelo ci rivela il mistero di Cristo e la sua identità. Il Cristo è una cosa sola con Jahvè – Io Sono: il Signore nostro Dio, il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, il Dio dei veri credenti, il Dio che crea e che salva. La Sapienza di Dio ora si è fatta conoscere: è una persona, è la Parola vivente del Padre e abita in lui, Gesù Cristo. La rivelazione della vita intima di Dio ci riempie d’ammirazione e ci guida alle più alte vette della contemplazione. Dio c’introduce gratuitamente nella visione beatifica, che consiste nel conoscere Dio così com’è, nel vederlo e possederlo nello splendore della sua santità e della sua gloria. Il Figlio vive col Padre, partecipa della sua vita e della sua perfezione e trova la sua delizia nel rimanere nel suo amore.

“E il Verbo era Dio”. L’affermazione ci fa sussultare come un colpo di tuono. Il Cristo del quale il Vangelo ci racconta le azioni e ci trasmette il messaggio, è la Parola, il Figlio eterno del Padre: Dio come il Padre. Nessuno mai ha visto Dio, ma il suo Figlio unigenito è venuto dal cielo e lo ha rivelato. Nessuno, si diceva sotto l’antica Legge, può vedere Dio e vivere. Ma la nuova Legge proclama: conoscere Dio è vivere.

“Ci fu un uomo mandato da Dio”. Con questa espressione entriamo nella storia contemporanea. L’evangelista parla del Battista, che di poco precedette la missione di Colui che è la Parola. Del Battista, di cui abbiamo parlato nel Benedictus, c’interessa solo puntualizzare il compito che Dio gli ha affidato: preparare la via al Messia.

“Egli era nel mondo, cioè in quel mondo che fu fatto per mezzo di lui”. Cristo, come Vita e Luce, fu sempre presente agli uomini, ma essi non lo riconobbero: “il mondo non lo riconobbe”. L’idolatria imperante ai tempi dell’evangelista e quella precedente, come pure l’ateismo moderno, nelle sue diverse forme, lo dimostrano.

“Venne tra la sua gente”. Colui che è La Parola era già presente in tutta la storia del popolo eletto. Più avanti si parlerà di lui Luce e Acqua che disseta per ricordare due fatti espressivi dell’Esodo: la nube luminosa che guida Israele e l’acqua che zampilla dalla roccia.

“I suoi non l’accolsero”. Giovanni nel dire questo pensa soprattutto agli Ebrei dei suoi tempi che non ubbidiscono a Mosè e non accolgono la Parola di Dio che risuona nelle Scritture. Per questo non sono capaci di accogliere Colui che è la Parola. Poi, pensando a se stesso e agli altri discepoli di origine ebraica, aggiunge: “A quanti però l’accolsero”. Non tutto Israele ha rifiutato Gesù, alcuni lo hanno accolto, “hanno creduto nel suo nome” e furono trasformati”: ricevettero “il potere di diventare figli di Dio”, non per adozione, ma mediante una vera nascita. Essi, infatti, sono figli di Dio “non per il sangue, né per desiderio carnale o per volontà di uomo”, ma perché “da Dio sono nati”. Giovanni spiegherà più tardi questo evento, ma fin d’ora è chiaro che il fatto della figliolanza divina è legato alla totalità del mistero di Cristo.

“Colui che è la Parola si fece uomo”. E’ l’evento dell’Incarnazione. Colui che è la Parola, Colui che ci rivela Dio, assume la realtà del nostro essere umano. Anch’egli è fatto di carne e sangue, e fa l’esperienza della nostra debolezza, immergendosi come uomo nella nostra storia, divenendo il nostro compagno di strada “e mise la sua tenda tra di noi”.

“E noi abbiamo visto la sua gloria”. Con l’espressione abbiamo visto che altrove si completa dicendo: “abbiamo udito e toccato con le nostre mani”, egli vuol dire che la Parola, fattasi uomo, è la manifestazione, la rivelazione, potente di Dio, che si rende in modo concreto presente agli uomini.

Gesù è il Figlio mandato dal Padre non per condannare il mondo, ma per salvarlo, questo è quanto emerge dall’inno del prologo del Vangelo di Giovanni.

Contemplatio:

Sii lodato, nostro Signore, per il mondo ammirabile che hai creato. Il tuo nome sia cantato, onorato e glorificato. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti rendiamo grazie per l’amore filiale che ci prodighi e per tutto quello che fai. Signore, tre volte Santo, a te l’adorazione, l’onore, la gloria, la lode eterna:

L’immensità dell’universo esprime la tua potenza infinita;
I suoi miliardi d’anni parlano della tua eternità;
La sua evoluzione contrasta con te che sei l’immutabile;
Le nostre burrasche, i nostri uragani, i nostri terremoti ci ricordano che la tua pace è perfetta.

Signore, noi ti adoriamo. Ci prostriamo davanti a te che hai fatto tutte le cose, noi compresi. Il sole parla del tuo potere vivificante e richiama alla nostra mente il tuo splendore. I suoi raggi mattutini che dissipano l’oscurità della notte, sono l’immagine dell’azione del Verbo divino nel mondo, per dissipare l’ignoranza e il peccato.

Noi ti ringraziamo, Verbo Divino, per quello che siamo, poiché possiamo conoscerti, amarti, servirti, desiderare la tua presenza e rallegrarci di vederti un giorno, perché da te siamo amati, perché siamo amati dal Padre con te, perché siamo il tempio dello Spirito d’amore.

Ti ringraziamo, o nostro Signore, per le nostre facoltà, con le quali possiamo collaborare con te, affinché gli uomini, nostri fratelli, conoscano il Padre e gli diano gloria; per la tua grazia che c’introduce nell’intimità della Trinità Santissima.

Ti ringraziamo, Signore nostro, per averci formati a tua immagine e somiglianza, per averci dato uno spirito capace di conoscerti e un cuore disposto ad amarti.

Gesù, autore della nostra vita, abbiamo bisogno di te, perché sia tu a guidare le nostre preghiere, a metterci in contatto personale con la tua divina Maestà. Mostraci la via che conduce a te. Abbiamo bisogno di te, del tuo aiuto; abbiamo bisogno di essere costantemente presso di te, di ascoltarti con attenzione profonda al centro dei nostri cuori.

Le nostre anime rasserenate, docili e riconoscenti, devono imparare ad abbandonarsi a te, a ricevere le tue impressioni, ad essere passive fra le tue mani. Concedici di attenderti con devozione, perseveranza, umiltà e amore.

Ma anche il mondo ha bisogno di te e preghiamo con la Scrittura: “Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere il Giusto” (Is.45,8). In unione con i fratelli, noi ripetiamo questa stessa preghiera. La terra delle nostre anime, inaridite e screpolate per i nostri anni in gran parte sciupati, attende il Giusto, il Signore del mondo che verrà dal cielo come una pioggia vivificante. Signore, vieni e trasforma questo deserto che siamo noi in una verde a fertile oasi.

Nostro amatissimo Signore, facci conoscere il Padre. Donaci l’intelligenza delle cose divine e la sapienza. Donaci la vita, la vita abbondante, la vita divina che è in te; concedici di essere ridondanti di questa vita di grazia, affinché, restando in perfetta unione con te, possiamo prendere parte alla tua gioia, alla tua gioia perfetta, o nostro Signore adorabile.

Conclusio:

La Sapienza di Dio l’abbiamo conosciuta pregando con l’inno del prologo del vangelo di san Giovanni. Adesso sappiamo che la Sapienza è una persona, è la Parola vivente del Padre e abita in lui. Gesù che ci rivela la vita intima di Dio ci riempie d’ammirazione e ci ha guidato alle più alte vette della contemplazione.

Gesù ci ha introdotto gratuitamente nella visione beatifica, che consiste nel conoscere il Padre così com’è, nel vederlo e possederlo nello splendore della sua santità e della sua gloria.

Il Figlio vive con il Padre, partecipa della sua vita e della sua perfezione e trova la sua delizia nel rimanere nel suo amore. Nostro Dio e nostro Padre! Potremo partecipare alla felicità di essere, col tuo Verbo, vicinissimi a te e amati da te? Potremo anche noi trovare la nostra delizia assieme al tuo Figlio Gesù nell’abbraccio del Padre?

Nella contemplatio abbiamo lodato Dio per l’amore filiale che ci prodiga, ora lo preghiamo come figli (in prima persona):

Signore Gesù, io ti accolgo
Con tutte le potenze del mio essere.
Io credo in te e mi dono a te.
Signore, la mia fede in te è già un dono di te,
infusa in me dallo Spirito Santo nel battesimo,
fortificata dalla confermazione e dall’Eucaristia.
Io credo in te con tutte le mie forze.
Tu hai fatto di me un figlio di Dio.
Dio non poteva accordare alla sua creatura
un favore, una benedizione, un dono più grande.
Figlio col Figlio unigenito.
Imparentato col Padre con lui e in lui.
Amato dal Padre come un’estensione del suo Figlio diletto.
Partecipe della vita stessa di Dio.