San Paolo: Lettera ai Galati

La terza omelia midrashica

Capitolo 4, 1-31

*Ecco, io faccio un altro esempio: per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, pure essendo padrone di tutto; *ma dipende da tutori e amministratori, fino al termine stabilito dal padre. *Così anche noi quando eravamo come schiavi degli elementi del mondo. *Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, *per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. *E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito di suo Figlio che grida: Abbà, Padre! *Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.

Nella terza omelia di spiegazione, Paolo affronta il chiarimento dei versetti del precedente capitolo 3. Afferma che se un orfano minorenne ha ricevuto un’eredità, in teoria è padrone di tutto, ma in pratica la sua condizione è come quella di uno schiavo. Vale a dire che fino al tempo stabilito nel testamento di suo padre, l’orfano deve dipendere da tutori e amministratori. Anche noi, dice Paolo, che oggi aderiamo a Gesù, prescindendo se proveniamo dal paganesimo o dal giudaismo, siamo nella stessa situazione; infatti, sia che apparteniamo al primo o al secondo gruppo, abbiamo tutti attraversato un periodo in cui eravamo asserviti agli elementi del mondo. I pagani perché, sebbene avessero conosciuto razionalmente Dio risalendo dalla creatura al Creatore, avevano finito per adorare idoli materiali; i Giudei perché erano schiavi delle prescrizioni materiali della Legge che imperava su loro simile ad un tutore sull’erede ancora minorenne.

Tuttavia Dio, quando fu giunto il tempo stabilito, inviò suo Figlio. Egli nacque da una donna e si fece uomo sotto la legge affinché riscattasse quelli che erano sotto la legge, e ciò vale per i Giudei; poi anche i pagani indistintamente. Ecco il fine dell’incarnazione del Verbo: incorporare in lui tutti gli uomini e farli diventare anch’essi figli di Dio. Lo Spirito Santo attesta e realizza nello stesso tempo la nostra filiazione adottiva e la riporta nel circolo della vita trinitaria, per questo possiamo con tutta verità esclamare e pregare: “Abbà!”, vale a dire “Padre”. Il primo termine è l’equivalente aramaico del secondo: già Gesù l’aveva adoperato nella straziante preghiera nell’orto del Getsemani.Con questa formula, ripresa dalle labbra stesse di Gesù, i cristiani intendono affermare non soltanto la paternità divina ma anche l’assimilazione vitale in Cristo. Assimilazione che già opera in noi con lo Spirito Santo. Ed è proprio in forza della presenza dello Spirito Santo di Cristo in noi, che non siamo più schiavi degli elementi del mondo ma figli ed eredi per opera di Dio, cioè per dono gratuito dell’amore del Padre e non per opera della legge.

Argomentazione in tono personale

Capitolo 4,8-20

*Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, eravate sottomessi a divinità, che in realtà non lo sono; *ora invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire? *Voi infatti osservate giorni, mesi, stagioni e anni! *Temo per voi che io mi sia affaticato invano a vostro riguardo. *Siate come me, ve ne prego, poiché anch’io sono stato come voi, fratelli. Non mi avete offeso in nulla. *Sapete che fu a causa di una malattia del corpo che vi annunziai la prima volta il vangelo; *e quella che nella mia carne era per voi una prova non l’avete disprezzata né respinta, ma al contrario mi avete accolto come un angelo di Dio, come Cristo Gesù. *Dove sono dunque le vostre felicitazioni? Vi rendo testimonianza che, se fosse possibile, vi sareste cavati anche gli occhi per darmeli. *Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità? *Costoro si danno premura per voi, ma non onestamente; vogliono mettervi fuori, perché mostriate zelo per loro. *E’ bello invece essere circondati di premure nel bene sempre e non solo quando io mi trovo presso di voi, figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia tornato Cristo in voi. *Vorrei essere vicino a voi in questo momento e poter cambiare il tono della mia voce, perché non so cosa fare a vostro riguardo.

In questi versi, l’appello personale ed emotivo di Paolo ai suoi lettori Galati si fa più intenso. Giocando sulla comprensione intima tra persone, lui chiede come mai abbiano potuto distogliersi da una tale relazione con Dio per volgersi verso qualcosa di minor valore. Perché mai voi che siete convertiti volete abbracciare osservanze rituali di “giorni, mesi, stagioni e anni”? Il significato della frase indica i giorni come il sabato, stagioni come la pasqua, mesi come il novilunio, e anni come l’anno sabbatico (Lv.25,5). Queste pratiche giudaiche non sono della stessa categoria del culto pagano delle stelle, ma l’asserzione di Paolo è quasi nascosta nel versetto: “ora invece avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti..” In altre parole, poiché è l’iniziativa di Dio che vale, perché tornate ad appoggiarvi su osservanze umane, su calcoli umani? Quest’ultimo atteggiamento equivale all’adorazione degli “elementi deboli e miserabili”, è la conclusione di Paolo.

Poi Paolo, passa all’implorazione, sfondando ogni barriera emotiva, “Siate come me, ve ne prego, poiché anch’io sono stato come voi, fratelli”. Con questo lui vuol dire: “Adottate il mio atteggiamento verso la Torah: in quanto legge, è stata abrogata; noi siamo liberi!” Figlioli non mi avete fatto alcun torto. Vi rammentate la prima volta, quando vi annunziai la parola di Gesù Cristo? Ero malato. La mia malattia fu per voi una vera prova. Ma non mi avete disprezzato né cacciato via. Anzi! Mi accoglieste come un angelo di Dio, come Gesù Cristo addirittura! E Paolo continua. Dov’è ora la vostra gioia? Posso affermare che allora, se fosse stato possibile, vi sareste cavati gli occhi per donarmeli. Ora invece sono diventato vostro nemico, perché vi ho detto la verità? Questi altri, i giudaizzanti, sono pieni di premure per voi, ma le loro intenzioni non sono buone né sincere. La realtà è che vogliono, a tutti i costi, staccarvi da me perché vi interessiate di loro.

Infine, Paolo fa ricorso all’immagine femminile del parto nel dolore per descrivere il suo amoroso interessamento per i Galati. In tal modo pone l’accento che lui, e non i giudaizzanti, ha teneramente cura e si preoccupa veramente del loro benessere spirituale, finché non sarà chiaro che Gesù Cristo è in mezzo a voi. In questo momento desidererei essere tra voi e potervi parlare con un tono di voce diverso. Paolo, termina, dicendo: “..non so cosa fare a vostro riguardo”.

Quarta omelia midrashica

Capitolo 4,21-31

*Ditemi, voi che volete essere sotto la legge: non sentite forse cosa dice la legge? *Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. *Ma quello dalla schiava è nato secondo la carne; quello della donna libera, in virtù della promessa. *Ora, tali cose sono dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano le due Alleanze; una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar -*il Sinai è un monte dell’Arabia -; essa corrisponde alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli. *Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra madre. *Sta scritto infatti: Rallegrati, sterile, che non partorisci grida nell’allegria tu che non conosci i dolori del parto, perché molti sono i figli dell’abbandonata, più di quelli della donna che ha marito. *Ora voi, fratelli, siete figli della promessa, alla maniera di Isacco. *E come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo spirito, così accade anche ora. *Però, che cosa dice la Scrittura? Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non avrà eredità col figlio della donna libera. *Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera.

Dopo la parentesi affettuosa dei versetti precedenti, Paolo riprende il tema della schiavitù della Legge mosaica, da cui Gesù è venuto a liberarci. Infatti, la legge stessa, che i giudaizzanti dovrebbero conoscere dall’incessante lettura che ne fanno, afferma e presignifica di essere strumento di schiavitù. Per spiegare la tesi, Paolo porta a dimostrazione l’esempio dei due figli di Abramo: Ismaele e Isacco, avuti rispettivamente dalla schiava Agar in modo del tutto naturale, in altre parole il frutto del volere umano, e dalla moglie Sara già sterile, in virtù di una promessa celeste, vale a dire di una parola di Dio accettata per fede, poiché donna libera. Per Paolo tutto questo, oltre il significato strettamente storico-letterale, ha una presignificazione allegorica. Le due donne, infatti, rappresentano i due “testamenti” (nel senso d’alleanza, patto): Agar, l’Antico e Sara il Nuovo Testamento.

I tratti di rassomiglianza sono percepibili nel fatto che il monte Sinai, dove fu promulgata l’antica Alleanza, si trova precisamente nell’Arabia, il paese cioè dei discendenti d’Ismaele, il figlio della schiava, chiamati anche figli di Agar o Amareni: la Gerusalemme presente, perché simbolo dell’ebraismo e di fedeltà alla Legge mosaica, è legittima erede di quello spirito di schiavitù, e difatti è ancora spiritualmente “schiava con i suoi figli”. Sara è invece simbolo della “libertà” e presignifica la Chiesa, la “Gerusalemme” che viene “di lassù”, in altre parole dal cielo, e al cielo ritorna, di cui i cristiani fin dal presente possiedono la “cittadinanza”. Anch’essa, come Sara, è stata a lungo “sterile” infeconda: durante tutto il periodo della lunga attesa messianica. Ora però è “madre” di una prole numerosissima, molto più abbondante che non quella della sinagoga. Dal parallelismo (Agar, Ismaele e gli Ebrei – Sara, Isacco e i cristiani) Paolo trae due conseguenze, che hanno la loro piena validità anche nel presente. La prima: come Ismaele perseguitava Isacco (Gn.21,9), similmente fanno così gli Ebrei contro i cristiani.

La seconda: come Sara chiese ad Abramo l’espulsione della rivale schiava e del suo figlio perché questi non avesse parte all’eredità del padre (Gn.21, 10.12), così anche gli ebrei, finché rimarranno tali, non potranno aver parte alla “eredità”! Dei beni messianici e saranno estromessi dal regno di Dio. L’esempio di Agar e di Sara rappresenta dunque non soltanto i due Testamenti, ma anche la tensione e lo spirito polemico che artificiosamente gli uomini hanno voluto creare tra i due: Agar continua a vivere in tutti gli Ebrei ostili al cristianesimo, così come Sara vive in tutti i “figli della promessa”. Questo è il significato del versetto finale che termina e sintetizza il detto: “Perciò, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma della donna libera”, e per lei siamo “discendenti di Abramo”.

Al penultimo versetto, il 30, si attribuiscono direttamente alla Scrittura le parole che sono invece dette da Sara, volendo con ciò significare che esse sono approvate da Dio stesso. Di lei si dice: “Rallegrati, sterile, che non partorisci grida nell’allegria tu che non conosci i dolori del parto, perché molti sono i figli dell’abbandonata, più di quelli della donna che ha marito”.

La conclusione è che, essendo stati inseriti nell’alleanza nuova, che è alleanza di libertà e assicurava il possesso dell’eredità, i cristiani non hanno motivo di assoggettarsi alla schiavitù di una legge ormai superata. Il nostro tempo, insofferente di qualsiasi legame, si nutre di molti surrogati di libertà. Sono molte le droghe che danno l’illusione della libertà. ” Non esiste nessuna legge umana che può porre così bene al sicuro la libertà dell’uomo quanto il Vangelo di Cristo. Il Vangelo, infatti, proclama la libertà dei figli di Dio, respinge ogni schiavitù che deriva, in ultima analisi, dal peccato”. Tuttavia non basta proclamare i principi. Tocca a noi cristiani d’oggi rispondere con creatività alla sfida incessante dei tempi. La nostra vita, mossa dallo Spirito, è chiamata ad essere fermento d’autentica libertà, superando i vecchi legalismi tutt’altro che morti.