Beati i miti

Stiamo attenti a non confondere la povertà con la mitezza. Osserviamo invece che la beatitudine della povertà mostra il giusto rapporto dell’uomo con le cose, perché la povertà è legata al possesso o al non possesso. La beatitudine della mitezza, al contrario, esprime piuttosto il rapporto dell’uomo con l’uomo. Come possiamo notare, anche se in un esercizio esegetico si tende ad interpretare la beatitudine della mitezza come una ripetizione della beatitudine della povertà, la differenza è grande. Perché le cose di fronte all’uomo sono fondamentalmente passive, poiché subiscono l’azione dell’uomo, ne sono governate, dominate. Nel rapporto con l’uomo, invece, noi ci troviamo di fronte a creature attive come noi, che sono su un piano di uguaglianza con noi e hanno un’attività personale con noi. In questo tipo di rapporto bilaterale, l’interpersonalità è dimensione fondamentale.

Per comprendere bene la mitezza di cui parla Gesù, dobbiamo contemplare per un momento Colui che si è definito mite:”Imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Mt.11,29). Così Gesù motiva il suo diritto ad essere Maestro con la sua mitezza, poiché egli è un Maestro che non aggredisce, che non è violento, che non è presuntuoso, non è superbo, non è impaziente, non è intransigente. E’ un Maestro comprensivo, è un Maestro misericordioso, è un Maestro buono. Per questo egli si definisce mite.

Così appare chiaro che la mitezza, che ci farà ereditare la terra, è un atteggiamento umano e cristiano non facilmente definibile con una nozione. Potremmo dire piuttosto che la mitezza è la risultante di tante dimensioni dello spirito, prima ancora che di tanti atteggiamenti esteriori. Per questo Gesù si è detto mite ed umile di cuore.

L’accostamento della mitezza con l’umiltà è molto significativo. Anche perché la mitezza di Gesù sta nel fatto che egli si rifiuta sempre di sopraffare chicchessia. Accetta gli uomini, li accoglie, li capisce. Questo spiega perché il suo magistero, l’annuncio del Vangelo, è caratterizzato da un atteggiamento che potremmo chiamare di discrezione, per cui egli non impone niente a nessuno, ma soltanto porta il suo annuncio come un’offerta, come un dono.

Chi lo vuole accogliere lo accoglie, chi non lo vuole accogliere, non lo accoglie. Gesù si rende conto che c’è una differenza di atteggiamento fra coloro che lo ascoltano; egli stesso sottolinea che ci sono quelli che non gli credono e non lo accettano, ci sono quelli che dicono sì e poi fanno di no, ci sono quelli che capiscono fino ad un certo punto e più in là non capiscono.

Però di fronte a queste costatazioni, egli rimane il Maestro mite. Così dando al suo apostolato questa dimensione di annuncio sereno e pacificante, egli instaura con gli uomini un rapporto nuovo, purificato dalla violenza verbale e fisica, dalla oppressione farisaica, dalla costrizione materiale.

E’ importante renderci conto di queste qualità della presenza di Cristo in mezzo agli uomini. Gesù è venuto nel mondo come rivelazione dell’amore di Dio. E’ venuto come realtà d’amore, come sacramento d’amore. Il suo rapporto con l’uomo è un rapporto di amore e rispetta le dimensioni nuove dell’amore. Da ciò si evince che essenzialmente è un rapporto di libertà. Sebbene egli sia Figlio di Dio e riveli il mistero di Dio, pure il suo annunzio avviene nella mitezza. Amore e libertà sono l’ispirazione e anche, potremmo dire, la dimensione di tutto. La mitezza di Gesù non è soltanto quel po’ di pazienza che si riesce ad avere in superficie, ma è proprio una scelta interiore, radicale, che qualifica il tipo del suo rapporto con gli altri.

Dobbiamo renderci conto che l’uomo non riuscirà mai a spegnere completamente in sé tutti gli impulsi e le reazioni della violenza senza l’intervento dello Spirito Santo la cui azione, nei cuori che l’assecondano, produce il frutto squisito della mitezza.

Il mite, forgiato dallo Spirito Santo a imitazione di Cristo, è l’uomo che ha imparato a dominare tutte le manifestazioni scomposte del suo io: irritazione, sdegno, collera, gelosia, maldicenza, vendetta; ed è pure l’uomo che ha rinunciato alla tentazione di imporsi, di farsi valere, di dominare gli altri con la prepotenza. Impresa ardua per una natura ferita dal peccato, in cui l’egoismo e l’orgoglio tentano sempre di affermarsi, di accampare diritti. Finché c’è vita, la vittoria non sarà mai completa; tuttavia noi cristiani non dobbiamo cedere le armi, ma dobbiamo ogni giorno riprendere di buon volere i nostri sforzi invocando umilmente lo Spirito Santo perché distrugga in noi tutti i residui delle violenza, del risentimento e sciolga ogni traccia di durezza.

Vieni santo Spirito…

lava ciò che sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina,
piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.