Libro dei Proverbi: Capitolo 31, 10-31

Questi versetti sulla donna di forza ci permettono di tirare un po’ le fila del discorso alla fine delle nostre meditazioni sui Proverbi: troviamo in essi, infatti, temi incontrati via via lungo l’arco di tutto lo scritto pubblicato.

Li troviamo “incarnati” in un personaggio di gran fortuna nella vita e tradizione ebraica, più che in quella cristiana che poco legge questi versetti nella sua liturgia (ricorrono appena nella festa d’alcune sante).

Tale personaggio è un autentico modello di vita per le donne ebree lungo i secoli. Per questo, a differenza del solito, non leggeremo poi un commento antico al nostro testo, ma un commento moderno, che attesta appunto la fortuna di questi versetti e come essi diano l’immagine della vita della coppia ebraica tradizionale.

Il tutto confermerà quello a cui altre volte abbiamo accennato, in altre parole come l’A.T. non sia del tutto maschilista, sempre che non proiettiamo su di esso idee, concezioni ed esigenze assolutamente nostre, compiendo un’operazione antistorica.

E cominciamo da un problema di traduzione. Si può serenamente contestare la versione “brava massaia” che alcuni adottano, con l’interrogativo iniziale al v.10: che il contesto faccia pensare ad una massaia è vero, perché la sua vita si svolge principalmente nell’ambito della casa e della famiglia e in ordine ad esse, ma ‘esèt hayil è formula che vuole evocare capacità produttiva, potenza economica, e persino forza militare.

Abbiamo di fronte una donna oculata, pronta ad ogni evenienza, capace di destreggiarsi in qualunque circostanza. In poche parole, l’incarnazione di quella Signora Sapienza che sa passare dalla morale laica quotidiana, al senso degli affari, a più alti insegnamenti etici. La donna che chiude il libro dei Proverbi è un po’ la summa del comportamento sapiente e il versante femminile dello scriba e dell’uomo versato nella conoscenza, secondo un criterio di integrazione reciproca e divisione del lavoro tipico dell’antropologia ebraica fin dal racconto della creazione.

L’interrogativo iniziale è di alto effetto retorico. Con una punta di malizia viene da pensare che sia fatto apposta e ci si aspetti una risposta negativa; che quindi questa donna non esista per niente, perché si tratta di un testo idealizzante. E’ diventato invece una sorta di manifesto programmatico per la vita della coppia ebraica, come ha dimostrato un recente studio sul matriarcato “occulto ma non troppo” nell’ebraismo.

Il che può aiutare a capire come mai quest’elogio della donna chiuda un libro in cui sono comparse diverse figure femminili, realisticamente non tutte positive.

Giunto alla fine del suo curriculum di formazione, lo scriba di corte si prepara al matrimonio e sa di dover scegliere una donna sapiente e forte, non una donna insidiosa e inaffidabile. Il suo ultimo esercizio di scrittura perciò riguarda il problema chiave del suo futuro.

Deve egli stesso trovarsi la donna giusta, e si chiede se ne sarà capace con l’interrogativo che dicevo.

Non parla mai di sentimenti né di bellezza, tanto effimera quanto opinabile: non vuole una donna ideale secondo i criteri di certi concorsi oggi in gran voga, che ci torturano per settimane sui giornali e che riducono la donna, con la sua complicità, ad una specie di elegante accessorio; lo scriba enuncia bensì un progetto di vita destinato a durare e nel quale la donna ha un ruolo economico consapevole.

Essa compare come garante e custode del presente e del futuro, attraverso la vita della famiglia e l’educazione. In questo senso la nostra “donna di forza” va considerata nel contesto di tutte le donne forti dell’A.T., da Tamar, alla sorella di Mosè, a Ruth, ad Abigail, a Ester, fino alla vergine Maria compresa, che, nella sua vita quotidiana, ha vissuto secondo i criteri che qui si danno, benché moglie di un artigiano di un oscuro villaggio, e non di uno scriba di corte.

Nel testo ebraico l’elogio della donna di forza è un acrostico alfabetico (abbiamo visto precedentemente salmi così fatti, in cui si faceva l’elogio del giusto e quello della Legge divina). Se ricordiamo l’alfabeto rispecchia la struttura ben scompaginata dell’universo creato dalla parola divina, allora questo è il quadro di una femminilità realizzata e compiuta.

Dal nostro punto di vista mancherebbero parecchi aspetti, ma saranno da cogliere indirettamente e per allusione.

Balza agli occhi che è una donna economicamente di valore, tanto che il marito può starsene tranquillo, affidandole i suoi progetti (-il proprio cuore, v.11): la donna è forte anche secondo una sfumatura militare, tanto che il marito non deve preoccuparsi di portare a casa bottino di guerra o di rapina. Ma, soprattutto, ha discernimento del bene e del male, sapendo scegliere con continuità (v.12).

Il testo si diffonde ora a descrivere le attività, insiste su verbi di azione. Attraverso l’azione s’indovina però una donna creativa e capace di far fruttare ogni risorsa:

  • v.13 sa comprare e lavorare secondo un piano;
  • v.14 sa persino “importare” beni;
  • v.15 si alza presto e provvede alla servitù;
  • v.16 cerca terreni, compra e pianta, e così avanti.

L’esame delle diverse attività della donna la individuano come un tipo mentalmente organizzato, sobrio e deciso. Se lo scriba deve sapere che moglie cercare e volere, la moglie deve sapere a sua volta come impostare la vita.

E’ una donna di carattere, per dirla in poche parole.

La descrizione dei suoi abiti non indulge a civetteria: sono infatti abiti da lavoro (v.17) e pare che l’arte della seduzione le sia estranea o, piuttosto, che l’attento scriba debba lasciarsi sedurre dal suo saper vivere nella realtà concreta, contrassegnato dal non lasciar nulla al caso, fino a provvedere abiti pesanti a tutti in un paese in cui la neve è un avvenimento vero e proprio.

Il fatto che lo scriba, in tal modo, non avrà motivo di “perdere la faccia” di fronte ad altri: ha sì avuto una buona scuola, ma ne è egli stesso la dimostrazione vivente, perché vi ha appreso non solo l’arte dello scrivere, ma anche quella del conoscere le persone, del trattare con loro e, in senso più ampio, del vivere.

Se un problema c’è, è piuttosto quello di sapere dove e come la donna abbia invece appreso la sua comprensione della realtà e la capacità di gestirla con autorevolezza e autonomia ( si veda il v.24 che parla delle attività commerciali della donna che, con ogni evidenza, le sbriga direttamente).

Il testo tace a questo proposito, ma ci presenta comunque una coppia integrata, che merita ancora adesso tutta la nostra attenzione.

Al v.25 si continua ad insistere sul vestito della donna, e ancora una volta ci troviamo di fronte ad una sorpresa. L’abito è descritto da un’endiadi (“forza di splendore”, in altre parole “forza e splendore”) usata in altro caso riferita a Dio (Sal.104,1).

Ciò fa pensare a questa donna come alla nobile incarnazione della signora Sapienza e colloca la sua attività all’interno del piano del compimento della creazione.

E’ tipico della donna dunque saper valutare “ciò che manca” al mondo-non-finito, in dimensione quotidiana, per far sì che invece non manchi nulla, prima di tutto alle persone che ella si trova a d avere accanto. Sapiente e provvidente, rispecchia nell’ambito della sua casa ciò che Dio fa entro la creazione tutta intera come dice il salmo citato.

Di fatti è una donna armonica e completa, non una semplice trafficona o un’affarista o una donna in carriera che “deve realizzarsi” secondo l’infelice espressione moderna.

Né la sua operosità è pura efficienza, ma un risvolto della sua fecondità e un sano progetto sulla vita che la donna stessa sa manifestare con parole di saggezza (v.26).

Anzi: l’educazione è il suo compito primario: istruzioni alla servitù, ma soprattutto iniziazione dei figli alla vita, con un metodo, in fondo, modernissimo, perché basato sulla persuasione.

Al v.29 appare di nuovo il termine nayil che compariva all’inizio del poema: questo procedimento di inclusione incastona cioè il testo tra le due ricorrenze della parola “forza”, che diventa il termine chiave per capire il testo. La donna descritta fa parte di una folta schiera di donne della tradizione biblica che si sono mostrate forti a diverso titolo. Ma qui risalta la dimensione quotidiana di questa forza, a affermare che nel giudeo-cristianesimo la dimensione della grandezza della persona non va cercata nel grande gesto eroico solitario, bensì nella fedeltà ad un progetto che si dipana nel tempo e, magari, non ha proprio nulla di grande all’apparenza, ma corrisponde semplicemente alla vita.

Nota conclusiva ai vv.30-31.

Se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, si torna sul tema della bellezza di scarsa durata. Al contrario “la donna che venera il Signore” (chiamato qui col suo nome proprio) è oggetto di autentica ammirazione.

E’ abbastanza chiaro che non si tratta di una devota bigotta, ma di una donna d’azione che ha sempre presente il progetto di Dio e l’acquisizione della sapienza che nasce dalla venerazione di Lui, come avevamo visto all’inizio del libro. Un ignoto interlocutore, una specie di voce fuori campo, si rivolge a noi direttamente al v.31 esortandoci a lodarla, come già facevano i suoi figli nei versetti precedenti. Una ragione di più per pensare alla “donna di forza” come alla signora Sapienza che è madre di tutti noi.

Da: Rachel Monika Herweg, “La yidishe mame“.

La proverbiale dedizione delle donne ebree nei confronti del marito e l’orgoglio che provano per le loro dispute erudite non sono qualcosa di unilaterale, ma sono correlati con la profonda venerazione che essi manifestano tradizionalmente per le mogli e con la considerazione che tributano alle loro doti: secondo un’usanza diffusa, all’ingresso del Sabato, il venerdì sera, il marito ebreo canta a sua moglie lo Eshet Hail, „donna di forza“, l’elogio della donna alla fine del libro dei Proverbi (cap.31,10-31), e la loda quindi come energica protettrice del suo cuore e come essere timorato di Dio, come benefattrice e solerte sovrintendente della casa, come produttrice e abile donna d’affari…Ai dubbi se in questo cantico di Salomone sia veramente cantata la donna o se tale figura non simboleggi la Torah, il Talmud risponde con queste parole:

Guarda che splendore la brava

Moglie! Se la Scrittura canta

Veramente la moglie, che splendore

È la moglie! Se Salomone

Vuole qui cantare la Torah attraverso

L’ideale della perfezione

Femminile, che splendore

Deve essere allora la moglie!

Col suo realismo e il suo attivismo affettuoso, la donna ebrea si contrappone al marito, che mira alla perfezione spirituale e religiosa. Essi sono inseriti in ambiti funzionali e mondi esperienziali differenti e s’incontrano nella comune volontà di “santificare la famiglia”.

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