Libro dei Proverbi: Capitolo 22,17-29 e 23, 1-11

Questa parte viene solitamente denominata “Raccolta dei saggi”.

Il titolo proviene da una glossa del v.17 che in ebraico suona così:

Porgi il tuo orecchio e ascolta – parole di sapienti
E il tuo cuore applica alla mia saggezza.

“parole di sapienti”, non pare, grammaticalmente, il complemento oggetto dell’ascolto; la loro menzione rompe anzi l’equilibrio del versetto: potrebbe quindi trattarsi di un titolo aggiunto, che comunque, per così dire, ci fa comodo per individuare una collezione molto interessante.

Se iniziamo a leggere il capitolo 22 dall’inizio invece, notiamo subito che esso continua la serie dei detti espressi in forma impersonale, che ben lo legano con quanto precede; poi, a partire dal nostro v.17 il testo invece passa all’uso della seconda persona, rivolgendosi ad un “tu”. In questo modo continua fino a 24,22, cui va aggiunta l’appendice che conclude lo stesso cap.24 (fino al v.34 quindi; anzi, al v.23 ritroviamo il titolo “Anche queste sono parole di saggi”).

Infine noteremo subito che queste parole sono rivolte ad un figlio che compare in 23,15 la prima volta, poi in 23,19; 24,13; 24,21.

Trasferiamoci allora mentalmente alla solita scuola di corte: il modello educativo è quello egiziano – questa volta lo possiamo dire con sicurezza, perché abbiamo un parallelo illustrare e vicinissimo: l’insegnamento di Amenemope, scriba e amministratore templare del secolo XIII-XII a.c., che indirizzò al figlio minore una serie d’istruzioni per fare di lui un uomo pio e un amministratore buono…come il padre.

Tracce di questa opera si trovano in altre parti dell’A.T., per esempio nel famoso paragone tra il giusto e l’albero verdeggiante che compare nel salmo 1 e in Ger.17,5ss. Si è discusso a lungo se sia stata la cultura biblica a influenzare lo scriba egiziano o viceversa, ma pare proprio che questa seconda ipotesi sia più probabile, perché la datazione di Amenemope non è più in dubbio.

Vediamo un solo esempio di detti parallei:

Pr.22,17-19°Porgi il tuo orecchio e ascolta-
Parole di sapienti-
E il tuo cuore applica alla mia Saggezza.
Perché è dolce se le custodisci
nel tuo ventre, se sono stabili
insieme a fior di labbra,
perché sia nel Signore
(YHWH) la tua fiducia
Amenemope IPorgi il tuo orecchio e ascolta ciò che viene
detto, poni il tuo cuore per interpretarle.
E’ bene che tu le ponga nel tuo cuore, ma guai a
A chi le trascura.
Fa che riposino nello scrigno del tuo ventre
e che siano una serratura nel tuo cuore;
e quando verrà una tempesta di parole,
saranno un piolo d’ormeggio sulla tua lingua.

Come si vede, in questa serie di versetti domina la stessa simbologia corporea (o la stessa antropologia), che parte dall’orecchio come cifra della docilità per arrivare all’elaborazione del pensiero e della volontà che si manifesta infine in atteggiamenti, scelte, opere e parole.

Ciò detto, fissiamo la nostra attenzione su alcuni detti in particolare.

Salta agli occhi una serie di detti che possiamo senz’altro legare tra loro e considerare in sequenza, ma ordinandoli in tre serie. Seguendo uno studio recente, potremmo chiamarli “le dieci istruzioni” e vanno da 22,22 a 23,11. Cerchiamo di individuarle:

prima serie22,22 non depredare

22,24 non ti associare

22,26 non essere

22,28 non spostare

seconda serie22,29 hai visto?

23,1 quando siedi

terza serie23,4 non affannarti

23,6 non mangiare

23,9 non parlare

23,10 non spostare

Come si vede, abbiamo quattro precetti negativi all’inizio, due introdotti da formule retoriche o dubitative in mezzo, e quattro precetti negativi da ultimo, quasi in parallelo coi primi.

E’ abbastanza facile pensare che una struttura così equilibrata servisse per imparare a memoria queste sentenze. Del resto, a ben guardare, sono in parallelo anche come contenuto e hanno lo scopo di “organizzare” una morale sociale: il saggio funzionario deve astenersi da certi comportamenti; le due istruzioni centrali, invece, dicono come lo stesso debba comportarsi per avanzare nella propria carriera.

Se rileggiamo con calma, non potremmo non notarne l’attualità, soprattutto in un’epoca come la nostra, in cui l’etica, in generale, pare non esistere più, e quella dei funzionari, purtroppo, è di continuo sottoposta al vaglio dell’autorità giudiziaria.

E’ abbastanza chiaro, invece, che per il maestro di corte dell’epoca di Salomone il problema è formare “servi dello stato” (come diremmo noi oggi) certamente dal punto di vista professionale, attraverso l’apprendimento dell’arte dello scrivere, del leggere e del memorizzare, insieme però ad una seria e severa formazione umana e religiosa.

Lo dimostra l’insieme di questi precetti, ma lo dice soprattutto la coppia centrale della nostra serie, che riguarda, come abbiamo detto, più direttamente la carriera del funzionario.

Leggiamo:

22,29 Hai osservato un uomo destro nel suo lavoro?

Davanti al re egli sta,

non sta davanti a gente oscura.

Qui si parla di un uomo rapido nel lavoro, e capace. Il maestro egiziano diceva qualcosa di simile riferità specificamente allo scriba: qui il senso è più vasto. Il testo gioca su una domanda retorica, che richiama l’attenzione su di un atteggiamento da imitare: bisogna sapere guardare chi sa lavorare e imparare direttamente dall’osservazione. La carriera politica e amministrativa è “stare davanti ai re”, cioè vivere a corte, il che esige contegno, arte di vivere, che viene ripresa in dettaglio dai versetti che seguono e che descrivono come si stia a tavola. Notiamo bene: non si tratta solo di galateo (=come si sta a tavola), ma di uno stile generale di vita: un pranzo con gente di riguardo può sempre essere una trappola per un giovane inesperto o che non sappia controllarsi.

Forse però la parte che ci interessa più direttamente, coi tempi che corrono, è il primo della seconda serie negativa di precetti:

23,4 non darti pena di arricchire

perché la ricchezza vola via come un’aquila (il testo biblico, in fondo nobilita la ricchezza, perché Amenemope dice invece “vola via come un’oca”, coerentemente con l’esperienza quotidiana dell’Egitto, dove le oche sono animali frequenti).

Essa dimostra che non la prosperità né il successo in sé sono obiettivo sufficiente per un uomo. Il testo è fin troppo pronto a coglierne i limiti, insidie e caducità. Prosperità e successo non sono pari alla dignità di un lavoro ben fatto, con senso etico e di responsabilità.

Tuttavia la morale che ci è presentata da questo libretto di formazione, se così vogliamo chiamarlo, è una morale espressa in termini negativi. Per questo potrebbe darci persino un certo disagio, se non tenessimo conto del fatto che non si tratta di proibizioni, ma di veri e propri consigli che sono offerti negativamente forse perché in tal modo è più facile restringere il campo che non coprire tutto il vasto ambito dell’etica con le indicazioni positive e concrete, alcune delle quali compaiono tuttavia nella parte finale del cap.23.

Resta da chiedersi se dalla morale del funzionario possa trarre indicazioni per sé anche il semplice suddito, oggi “cittadino”.

Sarebbe persino ingenuo pensare che quel che è rivolto ad altri non sia valido per noi solo perché…non siamo posti nelle stesse occasioni.

In realtà un buon ordinamento della cosa pubblica esige che tutti siano disposti a condividere una serie di valori e un insegnamento etico, indipendentemente dal fatto che si trovino nella condizione di trasgredirlo per ottenere vantaggi personali o, peggio, nell’illusione di compensare un torto subito con una trasgressione.

Ancora una volta il testo si rivela attuale dunque, e per niente moralistico.

Dal Trattato dei padri della Mishna:

VI.5.6 Grande è la Torah, più del sacerdozio e più del regno. Perché al regno si accede mediante trenta gradini, e al sacerdozio mediante ventiquattro, ma la Torah non si acquisisce a meno di quarantotto condizioni.

Con lo studio, con l’ascolto dell’orecchio, con la ripetizione delle labbra, con l’intelligenza del cuore, con la conoscenza del cuore, con timore e rispetto, con umiltà, con gioia, col servire i sapienti, con la critica dei compagni, con la discussione coi discepoli, con l’assiduità nello studio, con la padronanza della Scrittura, con la padronanza della Mishna, con poco sonno, con poche chiacchiere, con pochi piaceri, con poco riso, con poche preoccupazioni mondane, con pazienza, con generosità, con la fiducia nei sapienti e con la sopportazione delle sofferenze.

Inoltre se uno sa stare al proprio posto, si accontenta della sua parte, erige una siepe attorno alle sue parole, non si vanta, è amabile, ama Dio, ama le creature, ama i gesti di carità, ama le correzioni, ama la rettitudine, rifugge dagli onori, non diventa arrogante per avere studiato, non sentenzia a cuor leggero, porta il giogo del suo compagno, lo giudica dal lato più favorevole, lo stabilisce nella verità, lo stabilisce nella pace, si applica allo studio, sa fare domande e sa rispondere, è capace di aggiungere a quello che ha appreso, studia per poter insegnare, studia per praticare, fa sapiente il suo maestro, riferisce esattamente ciò che ha ascoltato, cita una parola in nome di chi l’ha detta, costui porta la redenzione nel mondo, come è scritto:

“Ed Ester riferì al re, in nome di Mardocheo” (Est.2,2).

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