Il Libro della Genesi: Capitolo 11 e 22

Abramo e la sua vocazione

Le vicende di Abramo e dei patriarchi sono collocate abbastanza facilmente tra la fine della III^ dinastia di Ur (1960 a.C.), un’antichissima città della bassa Mesopotamia, e l’inizio della XVIII^ dinastia in Egitto sotto Ahmosis I° (1580).

Abramo può essere considerato contemporaneo del grande re della Dinastia I^ di Babilonia, Hammurabi (1728-1686 a.C.), cui si deve la più famosa delle raccolte di leggi dell’antichità orientale che, incisa su una stele di diorite, si può ammirare al Museo del Louvre.

Vi è una sostanziale coincidenza tra gli spostamenti della famiglia di Abramo da Ur a Harran, città della Mesopotamia settentrionale che ancora oggi porta questo nome, e di qui in Palestina e in Egitto, coi grandi movimenti migratori di quel periodo.

Nomi dei patriarchi e dei luoghi da loro toccati, tenore di vita, norme giuridiche e consuetudini matrimoniali, corrispondono esattamente a quanto archeologia e etnografia ci fanno sapere di quel periodo in quella regione.

Nella città di Harran, a questo seminomade allevatore di ovini, politeista come tutto il suo clan, vecchio e con la moglie sterile, si rivela improvvisamente Dio e gli comunica una promessa grande e misteriosa. Abramo con la sua moglie sterile, col nipote Lot, col suo gregge di montoni, rompe ogni legame precedente, obbedisce e va nella terra di Canaan, la Palestina.

L’esistenza del patriarca, come l’esistenza e l’avvenire del popolo d’Israele, dipendono da questo atto assoluto di fede e di partenza. Fede e partenza caratterizzano tutta la storia biblica.

E’ un fatto essenzialmente mistico, tanto misterioso nella sua natura, quanto tangibile nei suoi risultati. Che un piccolo clan beduino, nomade come tanti altri, attraverso steppe e pianure, sia all’origine di un destino così carico di significato, i lontani discendenti del patriarca comprenderanno che ciò che sfugge alle leggi logiche della storia, la volontà stessa di Dio vi è coinvolta.

Mai, durante due millenni, questo fatto mistico sarà messo in dubbio. Nei peggiori momenti di angustia, come nelle ore di traviamento, i lontani discendenti dell’ispirato faranno memoria del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e della sua promessa.

Questo episodio minimo, di nessuna rilevanza internazionale, è uno dei grandi momenti della storia. Sull’atto di fede del patriarca tre grandi religioni storiche stabiliscono le loro basi: il giudaismo, il cristianesimo, l’islamismo.

Nella storia di Abramo (cap.12-13) si trova una struttura che percorre tutta la storia dei patriarchi: una parola-promessa da Dio, un atto di fede del patriarca, un atto di disinteresse (cap.13,9; Abramo lascia al nipote Lot la scelta della regione per i pascoli), seguita da una seconda promessa divina, e così via.

Abramo è l’uomo che crede e si fida di Dio, in antitesi a Adamo che è l’uomo che non ha creduto. Con Abramo Dio può costituire la sua storia della salvezza per tutti. La promessa divina comprende tre elementi: la discendenza, la terra, la benedizione. Questa benedizione non sarà limitata alla pura discendenza carnale da Abramo, ma riguarderà in qualche modo, attraverso la sua discendenza, “tutte le genti”.

Ci troviamo nell’economia della benedizione; quella della maledizione è stata lentamente cancellata. Con estrema raffinatezza l’autore biblico ha condotto la descrizione della storia della umanità da un destino di dolore e di morte ad un destino di speranza.

Ecco perché si comprendono benissimo le letture in chiave messianica che saranno fatte di questo testo nel N.T., soprattutto da San Paolo, nella lettera ai Galati (3) il “seme” è Cristo, e nella lettera ai Romani (4) la benedizione riguarda tutti coloro che la fede renderà veri figli di Abramo, “padre di tutti coloro che credono” (cap-12-13)

Abramo guerriero e il re prete Melchisedec

Questa parte si stacca da tutte le altre per lo stile, che ricorda il genere letterario degli annali; e non appartiene a nessuno dei tre grandi strati della Genesi. Suppone, forse, una fonte più antica, non israelitica, perché Abramo ha qui un soprannome: “L’Ebreo” (v.13).

L’episodio tende a mettere in risalto Abramo e Lot, esaltare il valore e ancora il disinteresse del patriarca, rilevano il suo contatto con Gerusalemme, futuro centro del culto di Dio, anche se l’identificazione, di “Salem” con Gerusalemme, che ha il suo punto di partenza nel Salmo 76,3, non è del tutto certo.

Non bisogna esagerare indebitamente l’importanza di questa spedizione militare quasi che tutto l’Oriente si fosse mobilitato contro i piccoli re della Palestina. In realtà si tratta di una spedizione destinata ad assicurarsi il controllo della strada commerciale del Mar Rosso ( la “strada regale” del Libro dei Numeri, 20,17).

L’intervento di Abramo è una razzia su una retroguardia della colonna, appesantita dal bottino: in questi limiti l’episodio è del tutto verosimile.

L’improvvisa comparsa di Melchisedec che offre pane e vino, come re e prete, e al quale Abramo paga le decime, ha permesso un grande sviluppo di temi teologici su questa figura misteriosa.

Il suo nome, che significa “il re giusto, è legittimo”, è certamente un nome cananeo, e altri re hanno portato nomi simili. Ma la sua figura, dalla tradizione giudaico-cristiana, fondata la prima soprattutto sul Salmo 110 e sviluppata la seconda dalla lettera agli Ebrei (7), è considerata come il prototipo di Davide e della dinastia davidica e quindi, poi, del Messia.

Alcuni Padri della Chiesa naturalmente sviluppando il tema biblico, hanno voluto vedere una tipologia anche tra il pane e io vino offerto da Melchisedec e l’Eucaristia.

Alleanza e il suo segno: la circoncisione

Sono due racconti di alleanza, il primo di tradizione jahwista e il secondo di tradizione sacerdotale, inframmezzati dalla nascita di Ismaele. Le promesse tardano a realizzarsi; Abramo prende le sue iniziative, e, in conformità al costume babilonese come risulta dal codice di Hammurabi, se la moglie era sterile il marito era autorizzato a prendere una seconda moglie senza ripudiare la prima (art.144, 145, 146).

Ma il patriarca rimane sempre disposto a fidarsi di Dio e a adattare le sue speranze ai disegni di Dio. Così è offerto alla promessa-parola di Dio quell’appiglio solido su cui essa prende piede e avvia un processo salvifico di portata incalcolabile sigillato dall’Alleanza.

L’autore finale commenta: “Abramo credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia” (15,6).

Si passa dalla fede alla giustizia, infatti, la giustizia è l’ordine delle cose regolato secondo il progetto di Dio. Abramo ponendosi con Dio nel giusto rapporto, diventa il paradigma dell’umanità che entra in rapporto col suo Dio.

Giustamente San Paolo userà questo testo per mostrare che la giustificazione dipende dalla fede e non dalle opere della legge mosaica, e giustamente San Giacomo userà questo medesimo testo per dimostrare che senza le sue opere la fede è morta.

Da vari documenti risulta che l’atto più solenne dell’Alleanza consisteva in un giuramento imprecatorio, accompagnato da un rito esterno che ne esprimeva simbolicamente il senso.

Uno di questi riti consisteva nel dividere la vittima di un sacrificio in due parti, in mezzo alle quali passavano successivamente i due contraenti intendendo imprecare su di sé la stessa sorte di morte violenta se avessero tradito il patto. Qui passa solo Dio, sotto il simbolo del fuoco, perché questa alleanza è una sua sovrana iniziativa.

Nel capitolo 17, insieme con il cambiamento del nome dei protagonisti, che secondo la mentalità orientale indica il cambiamento del destino, l’entrata in un nuovo tipo di rapporti e di storia, l’Alleanza richiede all’uomo obblighi religiosi-morali (v.1,7,19) e una prescrizione positiva: la circoncisione.

Per comprendere questo rito distinguiamo i cinque punti in cui si articola il precetto. Il soggetto è ogni maschio, l’oggetto è la recisione (non semplice incisione) e asportazione del prepuzio, cioè di quell’anello di pelle che circonda l’estremità del membro virile; il tempo, all’ottavo giorno; l’effetto, segno dell’Alleanza; la sanzione, una specie di scomunica dalla comunità per l’incirconciso.

La circoncisione è sorta originariamente nel ciclo culturale del totemismo, e oggi ancora è diffusa sia in certi gruppi di primitivi dell’Africa, Australia, America, sia fra i popoli civili come persistenza di un antico costume, come fra i Musulmani, gli Ebrei, i Copti dell’Egitto, e i Cristiani dell’Etiopia.

Essa non ha tanto significato igienico, ma è un rito di iniziazione, col quale il maschio all’età della pubertà entra a far parte del clan o degli adulti con una consacrazione cruenta della divinità.

Presso il popolo di Israele, invece della istituzione di un nuovo rito, è assunto un rito già esistente, che anticipato alla più tenera età, perde il carattere di iniziazione sessuale e indica che tutta la vita è consacrata a Dio. Esso basterà a far distinguere gli Israeliti, dagli Assiri, Babilonesi, Filistei, Cananei, in mezzo ai quali dovranno vivere.

Naturalmente, la circoncisione non valeva per se stessa ma perché era segno dell’Alleanza e collegata con la fede di Abramo. Questo spiega perché i profeti insisteranno molto sulla circoncisione del cuore, cioè la docilità di fede a Dio e alla sua giustizia (15-17).

La grande apparizione di Mamre

Gli elementi di questa particolare apparizione di Dio sono notevolmente complessi; la loro origine è difficile a da determinarsi.

Sembra che ci si riferisca a un’antica tradizione popolare sulla distruzione di Sodomia.

Quanto all’angelo del Signore, accompagnata da due uomini detti angeli, è preferibile pensare che la sua funzione sia di manifestare agli uomini per mezzo della propria apparizione visibile la presenza di Dio, che in se stesso resta misteriosamente invisibile. In tal caso non importa se l’apparizione esterna è di un solo personaggio o di più, e se in quest’ultimo caso la parola di Dio si presenti come proveniente da una o più voci.

Lo scopo principale dell’apparizione è di annunciare una volta ancora la prossima nascita di Isacco, in modo che anche Sara ne abbia notizia. Con la nascita di Isacco si comincerà a vedere qualcosa di concreto delle promesse di Dio; il suo nome significa “egli s9orride”, finalmente un sorriso di bimbo per la gioia dei credenti Abramo e Sara! Il querceto di Mamre. Quattro chilometri a nord di Hebron, diventerà uno dei luoghi sacri alla pietà ebraica.

La preghiera di Abramo

Alla predizione dell’imminente castigo delle città della Pentacoli (Sodomia e Gomorra), Abramo reagisce con una commovente preghiera d’intercessione. Il problema drammatico e perenne della fine dei buoni insieme coi cattivi e a causa loro va collocato qui nel contesto della responsabilità collettiva. L’idea della responsabilità individuale si farà chiara solo più tardi, in particolare nel Deuteronomio e in Ezechiele. In ogni caso innocenza dei giusti e colpevolezza dei peccatori interferiscono reciprocamente. Di fatto, la famiglia di Lot è salvata; e Abramo, nel suo così orientale e così confidente mercanteggiare, crede che l’intercessione di pochi giusti possa salvare un popolo. Egli non osa discendere al di sotto del numero dieci; i profeti assicureranno che Dio perdonerebbe a Gerusalemme se vi trovasse un solo giusto; alla fine sarà annunciato che basterà per tutti il Servo di Jahwè (Is.53). Di fatto, Gesù morirà in favore di tutta la moltitudine.

La fine delle città peccatrici

La disponibilità di Lot a prostituire le figlie va spiegata tenendo conto del diritto sacro delle ospitalità in Oriente e del livello del senso morale in quelle culture. Così, però, è tragicamente accentuata la perversione contro natura dei sodomiti.

Lo spazio del male è sempre grande e anche qui, come nella storia di Noè, vi è chi crede e chi non crede (come i parenti di Lot), chi parte e chi non vuole distaccarsi dalle proprie certezze e sicurezze (come la moglie di Lot, che muore nelle esalazioni, e le cui fattezze la tradizione popolare pretenderà riconoscere in un blocco salino della zona, come capita a noi per certe configurazioni delle montagne).

La zona della Pentacoli va probabilmente situata nella parte meridionale del Mar Morto, il cui sprofondamento è in quel punto geologicamente recente. Il fenomeno pare doversi attribuire a un terremoto (il verbo ebraico significa “sovvertire”), con fuoriuscita di gas (al v.14 si parla di pozzi di bitume), che infiammato poteva offrire lo spettacolo terrificante di una pioggia di fuoco.

Questa descrizione, con la sua interpretazione di giudizio divino sarà spesso evocata, insieme col diluvio, sia nell’A.T. come nel N.T., come nell’ammonimento di Gesù ai suoi discepoli per esortarli alla vigilanza escatologica: “Ricordatevi della moglie di Lot” (lc.17,32): (cap.18-19).

Il sacrificio di Isacco e l’ultima promessa

Il racconto nella sua semplicità è pervaso da un pathos contenuto e profondo ed è di importanza capitale dal punto di vista teologico. La condotta di Dio col suo eletto e la fedeltà di questo povero essere umano, che sarà chiamato “l’amico di Dio”, (anche oggi Abramo è chiamato dagli Arabi “el Khalil = l’amico), raggiungono qui l’espressione più alta e paradossale.

Per non lasciarsi impressionare o scandalizzare da questa paradossalità occorre collocare l’episodio in un duplice contesto: la vicenda di Abramo e la vicenda di Israele.

Nella vicenda di Abramo. Presso i Cananei risulta fossero in uso sacrifici umani, e Abramo, che ora vive in mezzo a loro, può avere pensato che anche a lui fosse richiesto il sacrificio del primogenito. La sua vita è così quasi spezzata in due: il figlio, che è la garanzia della verità della promessa ricevuta e sul quale sono sospese le benedizioni future, deve essere ucciso. Gli avvenimenti successivi mostrano che il Dio di Abramo è diverso. Egli non vuole assolutamente sacrifici degli uomini, ma la loro fede. Questo è il sacrificio a Lui gradito. Questa fede deve saper resistere anche quando sembra crollare l’unica e ultima garanzia che si ha in mano. Tale è il significato del sacrificio di Isacco nel cammino di fede di Abramo.

Nella vicenda di Israele. La vera situazione vitale in cui è nato questo racconto va, però, cercata in un’epoca in cui Israele viveva esperienze che sembravano contraddire la promessa divina, come era l’epoca dell’esilio, che ha costituito la grande crisi della fede e della speranza del popolo. La meditazione delle antiche memorie fa rileggere i gesti di Dio delle origini del popolo ed è in questa rilettura teologica che si vede nel gesto di Abramo un valore teologico e perciò si attribuisce direttamente a Dio. In tal modo si fa notare come sembri che sia Dio stesso a farsi nemico della sua opera. Ecco, è precisamente in questi casi, in cui Dio pare contraddirsi fino a un limite insopportabile, che Israele deve sapere che si tratta di prove, grazie alle quali Jahwè tempra la fede. Anche l’esilio è, dunque, una prova, non la fine di ogni speranza. La pagina del sacrificio di Isacco diventa così un invito a Israele perché riconosca in questo episodio già la propria storia, e un invito poi a non eludere le esigenze di Dio per quanto sorprendenti possano apparire al giudizio umano.

Questo sacrificio, segno di un’adorazione già “in spirito e verità”, è stato letto dai Padri della Chiesa come prefigurazione del sacrificio di Gesù, che rivela pienamente il cuore di Dio: agli uomini chiede il sacrificio della fede; per la salvezza degli uomini offre il sacrificio di suo Figlio, l’Unigenito, l’Unico che ha (22).

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