Il Libro dell’Esodo: Meditazione 14

Capitolo 19,1-25.

Molti studiosi commentano con un “finalmente!” l’arrivo al monte dell’alleanza, che considerano come il picco di tutta la storia. Onestamente è una posizione un po’ semplicistica. Tutto quello che è accaduto lungo la strada fin qui, non è stata solo una preparazione. Il testo ci ha posto di fronte alla duplice realtà della sempre nuova salvezza divina e dell’atteggiamento così frequente in tutti noi di andare per alti e bassi, passando immemori dall’euforia alla disobbedienza.

I capitoli precedenti sono una visione realistica di come sarà vissuta l’alleanza che finora è stata presentata in maniera indiretta attraverso i fatti (si sarebbe mosso l’Eterno se, da parte sua, non fosse sempre stato in clima d’alleanza?), ma che ora viene stipulata esplicitamente.

In Esodo 19 va inserito nell’ambito dei capitoli che arrivano sino al 24 compreso, vi compaiono fonti diverse variamente intersecate.

Dal capitolo 25 invece, comincia un’altra serie omogenea, che arriva sino al capitolo 31 compreso.

Come sempre, ci fermeremo su alcuni tratti più indicativi.

Dove ci troviamo, geograficamente?

Il testo (19,1-2), confermato dalla tradizione, colloca gli avvenimenti nella penisola del Sinai, nel luogo che ancora adesso in arabo si chiama gebel Musa, “monte di Mosè”.

Ultimamente uno studioso italo-israeliano ha polemizzato con questa localizzazione, insistendo che il luogo sia invece nel deserto del Negeb (cioè più a nord, fuori della penisola del Sinai) a har Karkom “monte delle Spezie”. Ne hanno parlato anche rotocalchi estranei ai problemi biblici per evidente amore di scoop, ma la teoria è del tutto improbabile.

Gebel Musa ci riporta, infatti, alla situazione ambientale dell’apparizione del Roveto che abbiamo già visto in precedenza, al passaggio arroventato e solenne che ben si addice alla grandezza di quanto sta per accadere.

Individuiamo nel nostro capitolo tre momenti fondamentali:

  1. vv. 1-2 indicazione del tempo e del luogo in cui accadono i fatti;
  2. vv. 3-8 incontro tra Dio e Mosè: annuncio dell’alleanza;
  3. vv. 9-25 grande teofania.

Giunti dunque al Sinai gli israeliti ricevono la promessa di una speciale relazione con Dio (19,3-8) che in ebraico si individua col termine b’rit. Lo traduciamo in genere con la parola “patto” o, più spesso “alleanza”. L’importante è ricordare che questo patto o alleanza non è un contratto, come il termine italiano potrebbe far pensare, ma una relazione d’amicizia leale e fedele.

Tale relazione è indubbiamente descritta nell’A.T. usando un modello politico-sociale tipico delle società del Vicino Oriente Antico e che gli studiosi chiamano “patto di vassallaggio”; esso però è usato nelle Scritture in chiave teologica, per rilevare soprattutto che si tratta di una relazione offerta da Dio del tutto gratuita per l’uomo, il quale deve, al massimo, dare un consenso accogliendo questa offerta e mantenersi poi fedele ad essa.

Il popolo è, infatti, chiamato ad “ascoltare la voce” del Signore e ad “essere vigile” sul patto (v.5), tenendo verso di esso l’atteggiamento sollecito di una sentinella.

Così, infatti, è da intendersi il verbo “osservare”, “custodire” che viene usato per l’uomo nei confronti dell’alleanza e delle sue clausole.

Il Signore fa questa proposta attraverso Mosè in chiave dubitativa (se ascolterete davvero la mia voce e sarete vigili sulla mia alleanza, v.5); il popolo risponde con grande sicurezza: Tutto quanto YHWH ha detto noi faremo, v.8.

Una risposta analoga si ritroverà più avanti in Esodo 24,7, allorché il popolo antepone ancora il “fare” all’”ascoltare”. Pare anzi una risposta irriflessiva, emessa da gente che si impegna alla svelta senza riflettere sulle condizioni che vengono proposte.

In realtà il testo vuol metterci di fronte ad un problema serio: perché la grande tentazione è sempre quella di andare alla ricerca di ricette, facendo quel che si sente dire, mentre “ascoltare” significa impegnarsi con intelligenza creativa ad interpretare quanto si è semplicemente udito, cercando soluzioni sempre nuove e adeguate per mantenersi fedeli all’amicizia del Signore. “Ascoltare” è dunque il primo momento del “vigilare sull’alleanza”.

Abbiamo già affermato che l’alleanza non è un contratto.

Grazie ad essa Israele sarà la segulla di Dio (v.5): il suo tesoro, quello che, per un pastore, è il capo di bestiame scelto e prediletto; sarà ancora un regno di sacerdoti e una nazione santa.

Questa espressione solleva qualche problema. Essa indica che Israele sarà un popolo messo a parte per servire Dio ( e del resto non era per questo che Mosè aveva tanto insistito col Faraone perché li lasciasse partire?), e tutti gli Israeliti avranno questa funzione a nome di tutti i popoli della terra. Il testo dà, infatti, una motivazione universalistica a questa funzione sacerdotale: perché mia è tutta la terra.

Tale servizio riguarda la dimensione del culto ma non solo. Quando vedremo gli articoli su cui si stabilisce il patto noteremo che Israele ha anche una funzione di testimonianza di fronte ai popoli: quella di essere messo a parte dal peccato.

Le implicazioni dell’alleanza riguardano dunque la relazione di amicizia, lealtà e fedeltà con Dio e con il mondo che si esplica nel culto e nelle relazioni sociali secondo giustizia.

Fino a questo momento Dio è stato per il popolo un interlocutore inavvertibile: ha sempre parlato attraverso Mosè, oppure si è manifestato con segni di provvidenza, mai direttamente. Egli continuerà a mantenersi invisibile, ma per la prima volta, assistiamo adesso ad una teofania (vv.16ss), cioè ad una “manifestazione diretta”.

A essere onesti, anch’essa va letta come un fenomeno naturale, poiché siamo di fronte ad una rivelazione paradossalmente velata.

Per riprendere quanto abbiamo già detto più volte, l’importante è che il popolo ascolti quello che vede e lo interpreti.

Il fenomeno che accompagna la teofania ha tutte le caratteristiche dell’uragano. Qualche studioso ha pensato anche all’eruzione vulcanica, ma è francamente eccessivo. Temporale/uragano sono invece relativamente frequenti in quella area, giungono all’improvviso e la repentinità pare accentuarne fragore e potenza. Esiste inoltre un gioco di parole frequente nell’A.T.: il termine ebraico qol serve per indicare indifferentemente la voce umana, la voce divina e il tuono.

Nei testi in cui si parla di apparizione di Dio i due significati di “voce del Signore” e “tuono” si incrociano e si accavallano, come in questo caso, e come, per esempio nel salmo 29, in cui compaiono sette “tuoni” che sono intesi però come il risuonare sette volte della “voce del Signore”.

Nello stesso tempo questo Dio che sul Sinai si rivela, mantiene una distanza col popolo, che fa sostare alle falde del monte (v.17), quasi non volesse farsi catturare.

L’ambiguità della teofania del Sinai è coerente con tutto il resto del cammino di Israele che ha preceduto e che seguirà questo momento.

Essa vuol assicurare che il Signore si lascia incontrare non solo come e quando vuole, ma anche perché egli decide liberamente di incontrarsi con il suo popolo.

Decide l’incontro nella sua libertà, senza che lo si possa poi limitare a un luogo, ad un’immagine, ad un modo di manifestarsi.

Nello stesso tempo l’uomo è sempre ugualmente libero di vedere queste manifestazioni per quelle che sono o di minimizzarle, riducendole ad un fatto normale.

Per la mentalità dell’uomo antico questo processo di riduzione era impossibile, semmai era di gran lunga più probabile il suo contrario. Per noi oggi sono possibili tre atteggiamenti: o quello assolutamente razionalista che non vede e non legge alcuna presenza soprannaturale nei fatti, o quello opposto di un magismo, che vede in tutto forze ed energie superiori, ma non riconosce poi la realtà di persona del Dio della Bibbia.

Ambedue questi atteggiamenti pur molto diversi tra loro, sono ugualmente lontani dalla fede che la Scrittura ci presenta e ci chiede.

L’alleanza, che abbiamo già descritto come una relazione di amicizia leale e fedele, è dunque l’incontro di due libertà. Ossia l’incontro di due persone: Dio e la persona collettiva di Israele, attraverso il quale il Dio dell’alleanza incontra tutti i popoli e tutti gli uomini.

La tradizione rabbinica commenta in lungo e in largo questo incontro scoprendone infinite sfaccettature. Avremo modo di vederne qualcuna nei capitoli successivi.

Quello che certamente deve fermare la nostra attenzione è la volontà di dialogo che il Signore manifesta.

Egli vuole avere davanti a sé un popolo e comunque una realtà personale capace di relazione come lui. Capace in pratica di amicizia, di lealtà, di fedeltà, di giustizia.