Gesù Cristo: la legge e il duplice comandamento dell’Amore

Il duplice comandamento dell’amore.

Gesù unifica le esigenze religiose e morali nel precetto dell’amore a Dio e nel prossimo. L’interiorizzazione della legge significa ad un tempo anche unificazione. In luogo dei molti precetti e divieti della legge, Gesù pone l’unico comandamento dell’amore a Dio e del prossimo, che comprende in sé tutti gli altri e costituisce quindi anche la norma fondamentale per la comprensione e la pratica osservanza degli altri comandamenti.

Tutti e tre i vangeli sinottici riferiscono questo grande atto di Gesù:

  • Mc. 12, 28-34;
  • Mt. 22, 34-40;
  • Lc. 10, 25-37.

Nei tre brani sono presenti delle divergenze: in Marco si tratta del colloquio con uno scriba ben intenzionato che cerca Dio, accoglie le parole di Gesù, esalta l’amore al di sopra del culto esteriore e ne riceve perciò la lode da Gesù. Secondo Matteo un dottore della legge fariseo vuole mettere Gesù alla prova e il brano quindi presenta lo schema di una disputa. In Luca l’enunciazione del duplice precetto dell’amore forma soltanto l’introduzione al racconto del samaritano misericordioso e viene fatta, in ,maniera sorprendente, da colui stesso che pone il quesito. Le divergenze sono quindi soprattutto tra la versione di Matteo e di Marco (riconducibili ad un unico episodio) e quella di Luca. Un duplice episodio di carattere analogo non è improbabile: Gesù può essere stato più volte interrogato su quale fosse il comandamento più grande. Ma motivi di storia della tradizione e di critica letteraria suggeriscono di ritenere che alla base dei casi, narrati in modo diverso, ci sia il medesimo episodio. La pericope di Luca tradisce tanto dal punto di vista stilistico che da quello narrativo la mano creatrice dell’evangelista cui premeva soprattutto la parabola; a tali fini ha pensato di utilizzare il comandamento principale come introduzione e ha costruito l’intero brano in corrispondenza. In ogni modo la versione di Luca non ci costringe a supporre che l’associazione dei due comandamenti non risalga a Gesù stesso.

In che cosa consiste la novità del precetto dell’amore di Dio e del prossimo affermato da Gesù Cristo?

Le formulazioni in sé non hanno nulla d’originale: Cristo accosta due passi dell’A.T.: “Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le tue forze” (Deut.6,5); “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lev.19,18).

Ma la novità e l’originalità del precetto dell’amore affermato da Cristo è innegabile e potremo sintetizzarla in quattro punti.

Associazione intima e inseparabile dei due precetti: unione e convergenza tra amore di Dio e amore del prossimo.

“Gli rispose: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt.22,37-39).

I due comandamenti sono messi sullo stesso piano: Gesù non parla esplicitamente del loro rapporto reciproco, ma la loro equivalenza è implicita nell’identità delle due enunciazioni. Non c’è un vero e completo amore di Dio, un amore che impegni tutto il cuore, senza l’amore al prossimo. E non esiste neppure una morale pura e semplice, un semplice umanitarismo: l’amore del prossimo resta legato all’amore di Dio.

Osserviamo come l’intenzione di Gesù nell’enunciazione del duplice precetto dell’amore consista nell’associazione dell’uomo e dell’altro. Secondo le parole di Gesù, l’amore di Dio deve esprimersi e confermarsi nell’amore del prossimo che è d’uguale importanza e a sua volta l’amore del prossimo ha come sostegno fondamentale l’amore di Dio.

“…l’amore del prossimo non è soltanto condizione preliminare, conseguenza, frutto e pietra di paragone dell’amore di Dio, quindi perlomeno un atto all’interno di quell’abbandono totale, in fede e speranza, dell’uomo a Dio, che noi chiamiamo amore di Dio e che è il solo che giustifica l’uomo, cioè lo unisce a Dio, perché, essendo frutto dell’amorevole autopartecipazione di Dio nella grazia incerata dello Spirito Santo, unisce veramente l’uomo a lui, non com’è conosciuto da noi, ma com’è in se stesso nella sua divinità assoluta”.

Riduzione di tutta la legge a questo duplice comandamento fondamentale.

Il comandamento dell’amore è presentato come la sintesi di tutta la legge: “Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt.22,40).

La novità cristiana sta nella rigorosa sintesi tra legge e amore: questo non sta accanto alla legge, ma è il nucleo della legge stessa. Il duplice comandamento dell’amore costituisce il fondamento di tutte le altre prescrizioni morali. Gli altri precetti non si trovano accanto a questo, ma ricevono da lui il loro significato e devono a lui fare costante riferimento. L’amore è il compendio di tutta la legge.

Introduzione dell’amore per il nemico o estensione universale dell’amore per il prossimo.

Già nell’A.T. si parla dell’amore per i nemici:

  • “Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete, dagli da acqua da bere” (Proverbi 25,21);
  • “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore” (Levitico 19,18);
  • “Quando il forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio” (Levitico 19,33-34).

Nel giudaismo si tendeva però a restringere l’amore al proprio connazionale, agli appartenenti al popolo d’Israele.

Anche nello stoicismo si parla d’amore per i nemici. Cicerone ne parla ad esempio nel II° capitolo del “De officiis”. Ma si tratta di un amore basato sulla regola della reciprocità, del “do ut des”.

L’amore per i nemici è una regola prudenziale che lascia trasparire un nascosto egoismo di fondo e quindi rappresenta una maniera sublime di autodifesa. L’amore per il nemico non è incondizionato e sconfinato.

Il programmatico “Amate i vostri nemici” appartiene a Gesù e caratterizza il suo amore del prossimo che non conosce più limiti e la singolarità e originalità del messaggio di Cristo e in specie del comandamento dell’amore sta nell’estensione di questo amore a tutti, anche ai nemici. E la regola di questo amore, che supera le barriere della famiglia e del popolo, è quella contenuta nello stesso discorso della montagna: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti” (Mt.7,12).

Si dà per scontato che l’uomo ami se stesso. Ed è questo atteggiamento naturale dell’uomo verso se stesso che deve costituire il criterio (praticamente definitivo) dell’amore del prossimo. So fin troppo bene che cosa devo a me stesso; so anche, altrettanto bene, che cosa mi devono gli altri. E’ perfettamente naturale che noi tendiamo, in tutto ciò che pensiamo, diciamo e sentiamo, facciamo e soffriamo, a conservarci, a difenderci, a favorirci, a custodire e coltivare il nostro io. Identica applicazione e sollecitudine ci viene ora richiesta nei confronti del prossimo. Cade ogni barriera. Si prospetta per noi, egoisti per natura, una svolta radicale: assumere il punto di vista dell’altro; dare all’altro esattamente ciò che riteniamo di dovere a noi stessi; trattare il prossimo come desideriamo essere trattati da lui”.

Il duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo si basa sull’iniziativa salvifica divina, sulla misericordia divina.

E’ questa la motivazione ultima dell’amore dell’uomo per Dio e dell’amore per il prossimo esteso a tutti, nemici compresi: è una risposta all’amore di Dio per noi, che ci ha preceduti e che si è rivelato e fatto persona in Gesù Cristo.

L’universalismo dell’amore predicato da Gesù si accende all’amore universale e infinitamente misericordioso di Dio: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt.5,43-45). L’origine e il modello di questo amore è Dio stesso. Esso non si aspetta reciprocità e compensi, ma è creativo e libero come Dio stesso; esso è risposta all’amore che Dio ha avuto per l’uomo: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Lc.6,36).

Importanza del precetto della carità per la religione e la morale.

L’associazione intima dell’amore di Dio e del prossimo e la riduzione di questo duplice precetto a elemento centrale e fondamentale di tutta la morale reca molti vantaggi sia alla morale che alla religione.

La religione, rapporto dell’uomo a Dio, con tutta la sua ricchezza di precetti, dogmi, sentimenti, aspirazioni e atti, non si esaurirà in una mera pietà cultuale. Non la comunione estatica porta alla comunione con Dio, bensì l’amore manifestato nelle opere. In tal modo viene additato al vero e autentico amore di Dio un campo di azione nell’amore del prossimo. L’amore di Dio non si riduce all’amore del prossimo, ma non può sussistere e non può non esprimersi in amore del prossimo, esteso anche ai nemici, pena la autenticità.

Per la morale, il precetto fondamentale dell’amore è ancora più significativo. La morale cristiana è una morale religiosa, l’impegno morale del cristiano ha un fondamento religioso. L’amore del prossimo, compendio di tutta la legge, si radica nell’amore misericordioso di Dio e il cristiano attinge da questo amore, da cui nulla e nessuno è escluso, la capacità e la forza di amare tutti. In tal modo viene prefissa all’agire morale del cristiano una meta che va oltre il semplice orizzonte di qualsiasi etica filosofica e di qualsiasi ideale umanitario, una meta cui è possibile aspirare e che è possibile raggiungere solo se si è radicati nell’amore di Dio che ci precede e se l’amore del prossimo viene vissuto come una risposta che si dà a questo amore che Dio ha per l’uomo, per tutti gli uomini.

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