Gesù e il movimento farisaico

Di fronte al radicalismo dei rivoluzionari politico-sociali o di fronte al radicalismo dei monaci, in altre parole di fronte a queste due soluzioni così nette quali la rivoluzione del mondo o l’evasione dal mondo, pare non esistere altra soluzione che il compromesso, la mezza misura, il barcamenarsi fra opposte tendenze: è la via dell’equilibrio diplomatico e del compromesso morale.

E’ la via del fariseismo. I farisei erano un movimento laico, sorto nella prima metà del II secolo per combattere contro l’ellenizzazione della religione giudaica. Ai tempi di Gesù erano politicamente dei moderati: non volevano affatto trasformare violentemente il loro paese. Religiosamente volevano salvare la Legge da ogni interpretazione lassista. Gli impegni particolarmente richiesti erano due: l’obbligo della decima da versare al Tempio (un dovere molto trascurato dal popolo) e la coscienziosa osservanza delle norme di purità, una delle quali era il lavarsi le mani prima dei pasti (Mc.7,1-5). Tali norme erano in origine destinate solo ai sacerdoti ogni qual volta mangiavano le primizie: il fatto che queste prescrizioni fossero fatte proprie dai farisei, quantunque laici, stanno ad indicare come anch’essi volessero rappresentare il popolo sacerdotale dei tempi escatologici.

Quest’idea è espressa anche nel nome che essi si davano: i pii, i giusti, i timorati di Dio, i separati (=i farisei). Di là di questi due impegni i farisei svolgevano altre buone opere, supplementari, come le opere di penitenza, il digiuno volontario, l’elemosina. Gesù non nega l’impegno che i farisei ponevano nell’obbedienza alla volontà di Dio, tiene in considerazione la loro generosità, i loro digiuni, le loro offerte di denaro. Eppure Gesù non si trovò a suo agio neppure con loro. Per quale motivo? Gesù ritiene che proprio i pii siano in una grave situazione di pericolo e in un’estrema lontananza da Dio, proprio perché non prendono sul serio il peccato, a causa di due motivi, che sono la casistica e al considerazione del merito.

La Legge di Dio era presa sul serio. Addirittura era tale il timore di infrangere la Legge, che si era creato attorno ad essa tutto un minuzioso supporto di altre leggi e prescrizioni, al fine di mettersi al riparo dal pericolo di peccare. Da qui il diffondersi di una casistica sempre più minuziosa, perciò tutta la vita quotidiana cadeva sotto a qualche norma. Se lo zelo per la Legge era qualcosa di positivo, il motivo di tale obbedienza costituiva un elemento negativo: il fariseo viveva nel continuo timore di peccare, che era in agguato sempre e dovunque.

La casistica però, nel suo eccessivo zelo di non lasciare scoperto nessun ambito della vita, tendeva anche a scaricare le coscienze, poiché si era arricchita di varie dispense, che permettevano di obbedire alla legge disobbedendo. Con la nascita della casistica nasce anche il compromesso morale: niente di meno, ma anche niente di più. Soprattutto con la casistica si fa di tutto per rendere la Legge praticabile, proprio mediante una più minuziosa regolamentazione, un più chiaro ambito in cui è lecito o bisogna muoversi.

Gesù pur sembrando vicino al movimento farisaico, ne prese subito le distanze. Anche Gesù prese sul serio le Legge, anzi in un certo senso la inasprì: le antitesi del discorso della montagna (l’ira è già omicidio, il desiderio di adulterio è già adulterio…: Mt.5,17-48). Ma Gesù non intendeva fare una casistica. Lo dimostra il fatto che Gesù poté sorprendere per una certa sua libertà ed elasticità: il figliol prodigo Lc.15,11-32; il fariseo e il pubblicano Lc.18,10-14; la pecora smarrita Lc.15,4-6. Queste indicazioni di Gesù non potevano non scuotere l’edificio morale di ogni buon ebreo.

Allora Gesù contestava la Legge? No, anche se si comportava in modo molto libero nei confronti di essa. La libertà di Gesù non era paragonabile però a quella dell’empio e del peccatore: la libertà del peccatore non turbava perché poteva essere chiaramente classificata e la Legge aveva ragione su di essa. Ma la libertà di Gesù è di ordine diverso. I farisei hanno timore in quanto non riescono a decifrare l’origine e la natura della sua libertà.

L’idea del merito vanifica il peccato in quanto induce a credere che esso abbia un contrappeso, quello appunto dei meriti che compensano i peccati. Il fariseo compie le opere al fine di compensare le proprie colpe sulla bilancia della giustizia divina e far così inclinare questa bilancia in senso favorevole e positivo nel giorno del giudizio. Ciò che importa è depositare un capitale di meriti tale da superare le trasgressioni nel giorno finale. Ed è proprio contro la presunzione di poter ottenere la salvezza con i propri sforzi che si scaglia Gesù.

Con questo egli non intende annunciare una morale di comodo, anzi dimostra che quella dei farisei è una morale di comodo, nonostante l’apparente rigorismo. Infatti la casistica eccessiva e l’idea di merito tendevano a minimizzare il peccato, con la conseguenza che il fariseo diventa contento di sé, presuntuoso, sicuro nel giudicare gli altri come “peccatori”. Infatti il paragone è fatto con i peccatori per uscirne superiori e così distanziarsi da loro.

Da qui l’accusa che Gesù rivolge loro di ipocrisia: essi pagano le decima al Tempio, ma ignorano i grandi appelli di Dio per la giustizia, la misericordia e la fedeltà; sono minuziosi nel seguire le norme relative alla purezza, ma il loro cuore è immondo; fanno elemosine e digiuni, ma unicamente per soddisfare la loro ambizione ed essere visti dagli altri; cercano onori, titoli e manifestazioni di ossequio, arrogandosi addirittura il posto di Dio; erigono sepolcri ai profeti del passato, ma uccidono quelli del presente (Mt. 23).

Al di là dei singoli rimproveri, Gesù vuole smascherare ciò che si frappone fra Dio e l’uomo, e cioè la sofisticata devozione dell’uomo, la raffinata morale del compromesso che tratta Dio con misura umana. Infatti quelli che trovano maggiori difficoltà a convertirsi non sono i pubblicani disonesti, i ladri, i peccatori. Sono invece gli uomini pii, che , proprio per il fatto di essere certi di aver adempiuto i minimi dettagli della Legge, finiscono per non avvertire più alcun bisogno di conversione. E costoro divennero i più fieri nemici di Gesù, fino al punto da mandarlo a morte, convinti di rendere un buon servizio a Dio. Nulla separa tanto da Dio quanto una falsa religiosità, una pietà autosufficiente.

Gesù va inquadrato in questo contesto religioso-sociale del suo tempo per essere rettamente compreso, o comunque per comprendere il tipo di reazioni che suscitò. Egli non è paragonabile con nessuna categoria di persone: non ha trovato posto né tra i profeti, né tra i rivoluzionari, non tra gli asceti né fra i moralisti farisei. Fu veramente un grande provocatore, in ogni direzione. Di che natura è questa sua diversità? Come intendere il suo non essere del tutto afferrabile? Infatti egli si dimostrò più vicino a Dio dei sacerdoti del suo tempo, più libero di fronte alle lusinghe del mondo che non gli asceti, più morale dei farisei, più rivoluzionario dei rivoluzionari. Il Gesù della storia è veramente difficile da comprendere appieno, inconfondibile in questa sua diversità. Questa sua “originalità” è già un segno storico che invita a porre l’interrogativo su di lui. E’ già un segno della rivelazione di Dio.

Le Strutture Fondamentali della Rivelazione Biblica – indice:

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