Gesù e i rappresentanti del sistema politico-religioso del suo tempo

La struttura politico-sociale al tempo di Gesù si presentava in una forma teocratica, perché legittimata da Dio quale Signore supremo. Al vertice di tale struttura troviamo tre categorie di persone confluenti nel Sinedrio:

I sommi sacerdoti, che detenevano il potere religioso. Il sommo sacerdote in carica era, ai tempi di Gesù, una figura molto potente, il massimo rappresentante del popolo d’Israele, anche se soggetto all’autorità romana occupante. Era anche i presidente del tribunale supremo degli Ebrei;

Gli anziani, che rappresentavano i ceti dominanti: erano soggetti all’autorità del sommo sacerdote, ma avevano responsabilità amministrative e giudiziarie;

Gli scribi, che da alcuni decenni avevano allargato la loro influenza nel mondo ebraico: erano teologi-giuristi, di orientamento per lo più farisaico; erano i “dottori della Legge”, aventi l’incarico di interpretare autorevolmente le Scritture Sacre;

Gesù non ebbe nulla a che fare con questi gruppi, anzi ben presto se ne attirò le ostilità.
Gesù non era un sacerdote, in altre parole non apparteneva alla classe sacerdotale. L’interpretazione posteriore della lettera agli Ebrei corre in un’altra direzione e quindi non deve trarre in inganno. Gesù, sotto questo aspetto, fu un “laico”, che si mise alla testa di un movimento malvisto dalla classe sacerdotale proprio perché composto di gente semplice, che non aveva alcun titolo per essere indicativa.

Gesù non era un dottore della Legge, anzi fu accusato di essere un illetterato (Mc.6,2). Egli non aveva studiato al Tempio di Gerusalemme, non era stato ordinato “rabbi”, anche se molti lo chiamavano così, non fece troppo ricorso alla tradizione del passato, pur rispettandola. Piuttosto proponeva con molta libertà e autorità un messaggio proprio: “Avete inteso che fu detto…ma io vi dico…”(Mt.5).
Il suo modo di insegnare non assomigliava a quello degli scribi, ma si presentava molto più vicino alla mentalità popolare (ad esempio le parabole). Non sviluppò una dotta casistica o una profonda speculazione sulla Legge: piuttosto Gesù parla con un linguaggio quotidiano, desunto non dall’ambiente giuridico-religioso, ma dall’esperienza viva di tutti i giorni.

Gesù non era neppure un rappresentante della classe dominante. Non apparteneva al gruppo dei sadducei, quello più forte e socialmente privilegiato, di tendenza conservatrice. Egli non era dunque un militante del “partito di governo”: piuttosto con il suo messaggio criticò e fece vacillare l’ordinamento vigente.
Gesù, fin dal suo apparire in pubblico, si inserì in quel movimento di risveglio religioso che era legato a Giovanni il Battista.
Il Battista annunciava l’avvicinarsi imminente del regno di Dio come un giudizio, ma non come un giudizio sugli altri popoli pagani (come era costume dell’apocalittica giudaica e nella mentalità farisaica), bensì come un giudizio su Israele, secondo la più genuina tradizione profetica: non basta essere figli di Abramo per avere garantita la salvezza. Per questo motivo Giovanni invita ad un battesimo penitenziale: e non invita un gruppo ristretto di persone, ma tutto il popolo.
Gesù, sottoponendosi al battesimo di Giovanni, ne avalla l’azione profetica, confermando che tutto Israele è convocato da Dio per la conversione (=cambiare stile di vita).

Gesù e il movimento rivoluzionario.

L’apparato politico e religioso di Israele si sentì ben presto minacciato dalla predicazione di Gesù, che previde la distruzione del Tempio ed entrò spesse volte in conflitto con la Legge. Gesù era forse un predicatore rivoluzionario? Il suo messaggio era ed è rivoluzionario, se per rivoluzione si intende la trasformazione radicale di una data situazione. Ma volle Gesù un sovvertimento violento dell’ordine sociale esistente, dei suoi valori, dei suoi rappresentanti, delle sue istituzioni? La risposta è qui negativa.
Certamente Israele si prestava ad appelli rivoluzionari. La dominazione romana non aveva mai incontrato una resistenza così ostinata come presso il popolo ebraico. In Israele, infatti, era in forte crescita la protesta contro l’invasore romano: ci si rifiutava di pagare i tributi a Cesare, ci si rifiutava di collaborare con i romani. La patria di Gesù, la Galilea, era nota come la culla del movimento zelota, da cui proveniva Simone lo zelota. Non va dimenticato che era viva in quel paese l’attesa messianica del Liberatore, del Messia, attesa che affondava le sue radici nella parte più genuina dell’A.T., cioè della predicazione profetica. Bastava una scintilla qualsiasi perché il popolo si entusiasmasse e desse corpo a questa speranza ancestrale. Di fronte a qualunque persona che si imponesse per prestigio o per comando, ci si domandava subito se era colui che doveva venire o meno.

E’ in questa situazione che Gesù predica e opera. Il suo messaggio non rappresentava forse la prassi rivoluzionaria?
La vita e l’insegnamento di Gesù presentano delle caratteristiche zelote incontestabili.La stessa condanna giuridica di Gesù fu emessa dall’autorità romana per motivi politici: del resto Gesù morì con una pena destinata agli schiavi e ai ribelli. La crocifissione. La stessa iscrizione sulla croce presentava come motivo di condanna la pretesa alla regalità su Israele: si trattava dunque di un motivo politico che interessava, come tale, solo l’autorità romana, ossessionata dall’agitazione e dalla organizzazione sempre più massiccia degli zeloti.

Ci sono anche dei tratti che avvicinano Gesù agli zeloti. Sulla scia dei radicali politici, anche Gesù desiderava una totale trasformazione della situazione: il mondo non va bene! Deve quindi radicalmente cambiare. Inoltre: la sua predicazione sul regno imminente; il suo atteggiamento di critica delle cerchie dominanti; l’ironia con cui parla dei sovrani i quali, dominando i popoli, si fregiano del titolo di benefattori (Lc.22; 25); il Dio predicato dal Vangelo, che non è un Dio dei superbi e dei ricchi, ma è un Dio che abbatte i potenti dai troni e innalza gli umili (Lc.1,52); la stesa attività di Gesù, che esercita un forte ascendente sulle folle che, secondo Giovanni 6,15, volevano acclamarlo re; infine l’attrazione che Gesù esercita sul movimento rivoluzionario degli zeloti…Non può dunque stupire che Gesù abbia influito su molti rivoluzionari, e non solo del suo tempo.

I Vangeli non propongono certo un Gesù languido, di stampo neoromantico. Niente fa pensare ad un astuto diplomatico, né ad un uomo dell’ equilibrio e della prudenza. Gesù è piuttosto un uomo risoluto, a volte anche battagliero e polemico, pronto certo a commuoversi, ma anche a prendere in mano la frusta. Egli stesso si definisce come uno che è venuto nel mondo a portare fuoco e divisione.

Tuttavia bisognerebbe stravolgere i Vangeli se si volesse fare di Gesù un guerrigliero, una specie di golpista, di rivoluzionario politico, e se si volesse trasformare il suo messaggio sul regno di Dio in un programma di azione politica. Anche se è stato di moda parlare di un Gesù rivoluzionario, va ripetuto con chiarezza che Gesù, come non fu un uomo legato ai centri di potere, così non fu neppure un rivoluzionario politico-sociale. Gesù non annuncia, come il movimento rivoluzionario del suo tempo, una teocrazia o una democrazia politico-religiosa da istituire violentemente con un’azione militare. Gesù non intende rovesciare il governo costituito, né da destra, né da sinistra. Egli invece predica un sovvertimento da parte di Dio e annuncia una diretta sovranità di Dio sul mondo, cioè annuncia la venuta del regno di Dio cui bisogna prepararsi nella conversione della vita. Dunque non annuncia un ribaltamento perseguibile dal basso, ma un rovesciamento decretato e donato dall’alto.

Di fronte a questa novità di situazione, liberamente posta da Dio, tutti i fenomeni di questo mondo devono essere relativizzati e messi a confronto con essa. L’atteggiamento di Gesù si pone al di là dell’alternativa: ordine stabilito o rivoluzione, giacché il regno che annuncia non è di questo mondo. In concreto tre furono i grandi ambiti in cui Gesù fu costretto a misurare il suo atteggiamento: l’ambito del culto, l’ordine sociale, l’istituzione statale.

In realtà questi tre ambiti ne costituiscono uno solo, poiché il problema cultuale e quello sociale sfociano inevitabilmente in quello politico. L’atteggiamento di Gesù di fronte al Tempio, come pure la sua predicazione sociale, dovevano prima o poi porlo in contrasto con l’autorità politica, preoccupata di assicurare l’ordine e timorosa di ogni sommossa popolare.

Circa la questione cultuale, Gesù ha purificato il Tempio (Gv.2,13-22). Si trattava forse di un atto di zelotismo? Certo, gli zeloti avevano un programma di riforma del culto e del Tempio. Gli zeloti però volevano distruggere il sistema esistente per mezzo della violenza ed instaurarne un altro nella prospettiva puramente terrena. In Gesù questi due aspetti sono assenti. E’ vero che egli, come i profeti, ha annunciato la distruzione del Tempio: non sarà lasciata pietra su pietra! (Mc.13,2). La sua intenzione non era però di edificarne un latro simile, ma di costruirne uno non più edificato da mano d’uomo (Mc.14,58).

La caratteristica dell’atteggiamento di Gesù di fronte a tutte le istituzioni esistenti è fondamentalmente critica: esse fanno parte di questo mondo che passa, dunque non hanno alcun valore eterno. Ecco il motivo per cui da una parte Gesù ne annuncia il carattere di fugacità, di precarietà, e dall’altra tende a purificare ciò che già esiste, senza abbattere. Gesù non prepara con la sua predicazione il fine perseguito dagli zeloti, cioè una nuova organizzazione sacerdotale, ma annuncia un nuovo modo di adorare Dio, in spirito e verità (Gv.4,23). Non ci troviamo di fronte ad un atteggiamento di compromesso, ma ad un atteggiamento dettato dal radicalismo escatologico. In questa prospettiva il cambiamento di Gesù è molto più radicale di quello inteso dagli zeloti. Non si tratta dell’alternativa o tutto o niente, o conservare o demolire, ma di rendere nuovo.

Circa la questione sociale, la condanna da parte di Cristo delle ricchezze e delle ingiustizie si accorda con una delle preoccupazioni essenziali degli zeloti. Gesù annuncia cha alla luce del regno la differenza tra ricchi e poveri è contraria alla volontà di Dio. Tale annuncio, riferito all’ordinamento sociale esistente, è rivoluzionario. Ma Gesù non intende rovesciare questo ordinamento in quanto ordinamento. Gesù non persegue un programma rivoluzionario di riforma delle istituzioni, ma annuncia il cambiamento del cuore ad opera di Dio. Gesù vuol togliere in ogni persona l’egoismo, l’odio, la menzogna, l’ingiustizia.

Egli vuol cambiare certo i rapporto dell’uomo con l’altro uomo, ma questo diventa possibile se l’uomo accetta di cambiare il suo rapporto con Dio. Se da un parte il discepolo deve fin d’ora applicare le norme del regno futuro, dall’altra parte esistono dei casi in cui Gesù, nonostante la condanna di ogni ingiustizia e l’insistenza sulla necessità della conversione, relega tale questione in secondo piano, ogni qualvolta l’interesse primordiale per il regno di Dio lo esige: “I poveri li avete sempre con voi” (Mc.14,7) dice Gesù a Betania, rivolto a coloro che avevano rimproverato la donna per avere sprecato un vaso di profumo nei confronti di Cristo.

Circa la questione politica, Gesù è stato condannato da Pilato come ribelle politico, come capo di una rivolta zelota. Da qui ha origine l’ostilità delle autorità, cui il successo di Gesù doveva apparire altrettanto sospetto quanto lo era stata l’attività del Battista. Giovanni 6,15 riferisce che la folla ad un certo momento voleva impossessarsi di Gesù per acclamarlo re. Non deve quindi sorprendere che Pilato abbia avvicinato il caso di Gesù a quello di molti zeloti che egli era costretto a giudicare.

Lo stesso barabba, stando a Marco 15,7, era certo uno zelota, perché arrestato durante un’insurrezione popolare. Secondo Giovanni 11,48, il Sinedrio prese la decisione di denunciare Gesù come ribelle politico presso i romani, per timore che i romani considerassero responsabili le autorità ebraiche dell’eventuale allargarsi della rivolta popolare agitata da Gesù. Possiamo da questi fatti trarre la conclusione che Gesù fu davvero uno zelota?

In realtà la sua condanna fu un enorme errore giudiziario. Tale condanna è dovuta al fatto che la natura del suo messianismo non è stata compresa, e probabilmente non poteva essere compresa dai romani.
Al tempo di Gesù esistevano due concezioni molto diverse intorno alla figura messianica nell’ambiente giudaico. Secondo la concezione maggioritaria, il Messia era un guerriero vittorioso che avrebbe restaurato sulla terra un potente regno di Israele grazie al quale Dio avrebbe regnato sul mondo.

Secondo una concezione minoritaria, il regno di Dio sarebbe stato realizzato fuori dagli schemi terreni.
Gesù di fatto ha sempre considerato come una tentazione satanica la concezione politica del Messia. Questo è il motivo per cui Matteo e Luca pongono all’inizio stesso del ministero di Gesù il racconto delle tentazioni: e alla tentazione di un messiasmo politico Gesù resistette con coerenza durante l’intera attività pubblica. La stessa presenza satanica Gesù riconosce in Pietro (Mc.8,27ss), allorché Pietro vuole impedirgli di portare a termine il suo ruolo di servo sofferente.

Si tratta della stessa tentazione che Luca 22,49 situa nel Getsemani: usare le armi per difendere Gesù. Ma Gesù resiste anche a questa tentazione. Nel processo prima della morte, alla domanda “politica” che pone Pilato: “Sei tu il re dei Giudei?, Gesù dà la risposta decisiva: Il mio regno non è di questo mondo” (Gv.18,33-36). Infine l’esito della vicenda di Gesù conferma la rinuncia totale da parte di Cristo di ogni potenza mondana. La croce rappresenta anche la conseguenza suprema della fedeltà di Gesù al messaggio da lui proclamato. Egli certo avrebbe potuto salvarsi mediante un prodigio, ma allora avrebbe accettato di lottare sullo stesso terreno dell’uomo, attirando e convincendo la folla con le armi del miracolistico.

Gesù invece permette che il potere segua il suo corso. La morte in croce manifesta dunque la conseguenza della sua totale rinuncia ad un messianismo di potenza e di dominio che lo avrebbe reso re per l’uomo, ma che sarebbe stato in stridente contrasto con tutta la sua predicazione.
Dunque non si trova mai nei Vangelo traccia di tentativi di scalata al potere e alla gloria. Al contrario: nessuna ambizione politica, nessuna strategia rivoluzionaria , nessun sfruttamento politicamente vantaggioso della propria popolarità, nessuna coalizione tattica con i gruppi rivoluzionari. Dai Vangeli esce piuttosto la figura di un predicatore itinerante, di un medico carismatico, la cui critica sociale non si muove nell’ambito di un capovolgimento politico, ma in quello di una nuova comprensione di

Dio e dell’uomo. In quanto il suo messaggio mise radicalmente in discussione il sistema religioso-sociale del tempo, ebbe anche conseguenze politiche. Ma per Gesù l’alternativa al sistema vigente non consisteva per niente nella rivoluzione politico-sociale. Gesù non si mescolò mai al radicalismo rivoluzionario degli zeloti, che mirava alla ricostruzione nazionalistica dell’impero davidico. Anche sul versante rivoluzionario Gesù esercitò una forma di provocazione.

Le Strutture Fondamentali della Rivelazione Biblica – indice:

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Momenti fondamentali della rivelazione