La Parrocchia: Luogo della Parola

“Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li preservi dal male. Essi non sono del mondo come io non sono del mondo. Santificali nella verità: la tua parola è verità” (Gv.17,15-17).

La chiesa e l’oratorio non stanno in piedi a parole, ma sono radicati sulla Parola della Bibbia. Le nostre parole di poveri parrocchiani possiamo offrirle come fondamento per le sabbia malsicure del dire senza fare. La chiesa e l’oratorio non si costruiscono sulle tante parole del parroco o dei parrocchiani, anche se pronunciate con amore smisurato, ma si edificano su Cristo e sul Vangelo. Egli disse: “Voi siete di quaggiù, io sono di lassù. Voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo” (Gv.8,23).

C’è sempre il volto di Cristo, il primo parrocchiano. Non dobbiamo fermarci soltanto ai nostri volti. A volte parliamo del volto di Cristo come se fosse il nostro, ed affermiamo che la chiesa e l’oratorio sono in sfacelo mentre in rovina è soltanto la nostra testimonianza. Cristo è sempre al di là della nostra carità. Per questo la sua carità non si esaurisce mai, soprattutto quando la nostra svanisce per qualunque causa.

Avvertiamo tutti il logorio delle parole. Nessuna ormai ci sembra solida, capace di edificare nella verità obiettiva, ma ognuna porta inganno, convenienza, utilità, imbroglio, dominio, potere, sfruttamento. Tutte parole, purtroppo, dirette ad irretire la persona, come fa il ragno con gli insetti, nella ragnatela dell’egoismo altrui. Gradualmente ne siamo divorati e distrutti. Larva diventa la nostra esistenza, non persone, larve umane, maschere, non realtà.

Il fatto è che quando ci si raduna (per la liturgia, per pregare, per la catechesi, per lo svago, per qualsiasi opera evangelica) “in nome di Dio” tutti i luoghi diventano “luoghi della Parola di Dio”. Ecco che allora le relazioni interpersonali sono assai diverse. Dio non inganna, Dio non illude, Dio non è un ciarlatano, Dio non è un clown; Dio è vero nella parola annunciata da Cristo allo stesso modo che Cristo Gesù è vero Dio pur incominciando ad essere, nel tempo, anche vero uomo.

Lo strumento di cui si serve oggi non ostacola, non impedisce alla “Parola di Dio” di essere se stessa. Poiché Dio sa quel che fa. Conosce i limiti e i pregi degli apostoli e dei laici. Non posso pensare che Egli non sappia scegliere e guidare con lo Spirito Santo coloro che ha incaricato “come messaggeri del suo amore”.

Bisogna, dunque, tenere fede a Dio, qualunque cosa possa accadere, che passa nella voce e nella persona di fratelli che forse suscitano antipatia, o addirittura non meritano la nostra fiducia, come uomini simili a noi, in quanto peccatori come noi, e forse più di noi, e che attraverso il “Magistero della Chiesa”, attraverso uomini appositamente scelti per vie a lui note, parla alle coscienze, alle menti e ai cuori come Padre.

“Fate dunque tutte le cose che vi dicono, ma non imitate le loro opere” (Mt.23,3). Così Gesù consigliò agli apostoli che gli avevano domandato se conveniva ancora seguire i dettami della classe dirigente ebraica.

E questo consiglio è ancora valido oggi, forse più di ieri. E’ valido per gli apostoli incaricati di rivolgere la Parola di Dio ad uomini buoni e cattivi, rapaci, odiosi, malvagi, lupi in veste d’agnello, a uomini intriganti, a uomini travolti dalla concupiscenza della carne, degli occhi e della superbia, a uomini la cui risposta sarà la persecuzione, l’indifferenza, la morte, la crocifissione, la derisione, il disprezzo; è valido anche per il popolo di Dio quando si raduna nella chiesa e nell’oratorio e può essere assalito dal dubbio se convenga o meno prestar fede a ciò che viene annunciato da persone discutibili.

Coloro che si radunano “in nome di Dio” devono sapere che in mezzo a loro c’è Dio. La garanzia sia per chi annuncia sia per chi ascolta, è la Parola di Cristo. “Chi riceve voi, ascolta me; e chi riceve me, riceve colui che mi ha mandato” (Mt.10,40). “Chi ascolta voi ascolta me; e chi respinge voi respinge me; e chi respinge me respinge colui che mi ha mandato” (Lc.10,16).

E’ ovvia allora la conclusione a livello di risposta personale e comunitaria, affinché la fede non muoia o inselvatichisca in una sorta di misticismo inconcludente: “Chi dunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile ad un uomo saggio il quale edificò la sua casa sopra la roccia. Cadde la pioggia, e vennero i fiumi, e soffiarono i venti e irruppero su quella casa, ma essa non crollò perché era fondata sulla roccia. Ma chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica è simile ad un uomo stolto il quale edificò la sua casa sopra la sabbia. Cadde la pioggia e vennero i fiumi e soffiarono i venti e irruppero su quella casa, e crollò, e la sua rovina fu grande” (Mt.7,24-27).

Saldati a questa obbedienza di fede alla Parola vi è l’adesione obbedienzale al magistero apostolico il cui compito è quello di “riconfermare nella fede” il popolo di Dio dinanzi alle moderne problematiche religiose, ideologiche, morali e dottrinali. Occorre che in questo confronto ogni cristiano sappia superare i problemi del proprio io, in modo che credere voglia dire fare la volontà di Dio e non la propria che è totalmente diversa.

Il dramma dell’orgoglio si rovescia, in questo delicato momento della crescita della fede mediante la conoscenza della Parola, negli incubi della alienazione o della supina sottomissione religiosa. C’è chi teme di cancellare la propria autonomia di credente (a qualsiasi livello o a qualsiasi incarico) seguendo docilmente in libertà, in carità, in fraternità intelligente e critica, informata dall’amore, gli indirizzi pastorali della Chiesa.

“Nessuno può avere Dio come Padre, se non ha la Chiesa come Madre”.

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