La vita nuova nello Spirito

“In principio era il Verbo,e il Verbo era vicino a Dio, e il Verbo era Dio” (Gv.1,1).

Cioè negli abissi dell’eternità il Padre aveva manifestato il decreto dell’incarnazione, il Verbo aveva detto:”Eccomi o Padre, manda me”, lo Spirito Santo si era offerto per rendere attuabile il divino disegno.

E questo avvenne dopo millenni di implorazioni e di lacrime “perché i cieli piovessero il Giusto”, lo Spirito Santo, giunta la pienezza dei tempi, prende il Verbo dal seno del Padre e lo porta nel seno verginale d’una timida fanciulla di Nazareth.

Maria si chiamava, e viveva sulla terra, non nelle nuvole. I suoi pensieri non erano campati in aria. I suoi gesti avevano come soggiorno obbligato i perimetri delle cose concrete; anche se l’estasi era l’esperienza a cui Dio spesso la chiamava, non si sentiva dispensata dalla fatica di stare coi piedi per terra. Lontana dalle astrattezze dei visionari, come dalle evasioni degli scontenti o dalle fughe delle illusioni, conservava caparbiamente il domicilio nel terribile quotidiano. Non solo, viveva una vita comune a tutti. Simile,cioè, alla vicina di casa. Bevevo l’acqua dello stesso pozzo. Pestava il grano nello stesso mortaio. Si sedeva al fresco dello stesso cortile. Anche lei tornava stanca alla sera, dopo avere spigolato nei campi. Anche a lei, un giorno dissero: Maria, ti stai facendo i capelli bianchi. E probabilmente, allora, si specchiò alla fontana e provò la struggente nostalgia di tutte le donne, quando si accorgono che la giovinezza sfiorisce.

Maria fu piena di sollecitudini familiari e di lavoro come la nostra, e ci fa capire che la nostra ferialità non è poi così banale come pensiamo.

Certo, anche lei ha avuto i suoi problemi di salute, di economia, di rapporti, di adattamento. Chi sa quante volte è tornata dal lavatoio col mal di schiena, o preoccupata perché da giorni Giuseppe vedeva diradarsi i clienti della bottega. Chi sa quanti pomeriggi ha malinconicamente consumato a rivoltare il pastrano già logoro di Giuseppe, e ricavarne un mantello perché suo figlio non sfigurasse tra i compagni di Nazareth. Come tutte le mogli, avrà avuto anche lei dei momenti di crisi, e di Giuseppe, taciturno com’era, non sempre avrà capito i silenzi. Come tutte le madri, ha spiato pure lei, tra i timori e speranze, nelle pieghe tumultuose dell’adolescenza di suo figlio. Come tutte le donne, ha provato pure lei la sofferenza di non sentirsi compresa, neppure dai due amori più grandi che avesse sulla terra. O avrà temuto di deluderli. O di non essere all’altezza del ruolo. E dopo avere stemperato nelle lacrime il travaglio di una solitudine immensa, ha ritrovato finalmente nella preghiera, fatta insieme, il gaudio di una comunione sovrumana.

Fratelli e sorelle, non consideratemi un folle perché per un attimo ho voluto ricondurre Maria entro i confini dell’esistenza terra terra; se per un istante ho osato togliere l’aureola. Ma il fatto è che per comprendere il capitolo più fecondo della teologia non è quello che la pone all’interno della Bibbia o della Patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi o dell’arte. Ma è quello che la colloca all’interno della casa di Nazareth, dove tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, ha sperimentato, in tutto e per tutto lo spessore della sua antieroica femminilità, gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni. Maria ci ha insegnato a liberarci dalle nostalgie dell’epopea, a considerare la vita quotidiana come il cantiere dove si costruisce la storia della salvezza. Ci ha insegnato a scacciare le nostre paure, perché possiamo sperimentare come lei l’abbandono alla volontà di Dio.

Il Padre celeste la scelse nella sua umiltà: “Lo Spirito Santo scenderà sopra di te, e la potenza dell’Altissimo ti coprirà della sua ombra”(Lc.2,35).

E scese in modo particolare, unico, irripetibile. Discese nei grandi condottieri d’Israele per rendere il loro braccio invincibile; discese nel cuore dei patriarchi e dei profeti per svelare loro le meraviglie che il Messia avrebbe operate. Discese come pacificatore degli elementi all’aurora del mondo nel caos del creato; sulle acque del diluvio, annunciatore di pace fra cielo terra, con Mosè sul Sinai latore dell’Alleanza di Dio col suo popolo.

Ma su questa fanciulla, è sceso non più per annunciare la pace del cielo, ma a portare il cielo stesso sulla terra; non per parlare del Verbo, ma per portare il Verbo sulla terra. E’ sceso in lei per creare in lei e con lei una natura umana al Verbo. Egli che in seno alla SS.Trinità è l’unica persona infeconda, nel seno di Maria diventerà divinamente fecondo, dando al Figlio una natura umana, e al Padre un Figlio fatto carne.

Egli che in seno alla SS.Trinità è il vincolo dell’amore eterno tra il Padre e il Figlio, nell’incarnazione diventa vincolo d’unione eterna tra il Verbo e l’umanità.

“Il Verbo si fece carne e abitò tra noi”  (Gv.1,15).

Zaccaria profetizza che quel bambino sarà chiamato profeta dell’Altissimo.

Giuseppe, la persona che aveva più diritto a sapere viene informato che “quel che è nato in lei è opera dello Spirito santo”(Mt.1,20).