Apocalisse: Le Tre Visioni

Capitolo 19-22

Il popolo di Dio ha rischiato la vita per la verità e la giustizia e gioisce nel vedere le ostinate forze del male eliminate per sempre. Non si tratta del piacere della vendetta, di gioia per il male altrui. Si tratta di un inno di gioia e di lode. La struttura dell’inno è tipica del canto liturgico: l’invito dell’a solo (v.5) e la risposta corale dell’assemblea. L’Alleluia – espressione ebraica che significa “lodate Jahvè” – ritorna quattro volte in questo brano e mai altrove nel Nuovo Testamento: è un grido di entusiasmo, di gioia e di trionfo. L’Amen – altra espressione ebraica “è vero, è proprio così” – riassume tutto il complesso atteggiamento del credente nei quadri delle decisioni di Dio. Ricorre una sola volta nel brano, ma si trova in posizione chiave, sulla bocca dei ventiquattro anziani e dei quattro viventi. Esprime l’accoglienza senza condizioni del disegno di Dio, fiducia e abbandono, approvazione. Dicendo “Amen” il credente non soltanto afferma di ritenere il disegno di Dio “vero e degno di fiducia”, ma afferma anche di rendersi disponibile ad accettarlo. Ecco perché Gesù è definito “l’Amen” per eccellenza. L’assemblea dell’Apocalisse è ripetutamente invitata a dire “Amen” (dunque, ad assumere un atteggiamento di approvazione e disponibilità, come Gesù): in apertura di libro, quale reazione di fronte alla memoria della Croce di Gesù (1,6) e all’annuncio del suo ritorno vittorioso (1,7), e, a conclusione del libro, quale espressione di certezza (e anche di attesa impaziente) di fronte a tutto ciò che le visione hanno rivelato (22, 20-21).

All’inizio dello scritto e alla fine, dunque, c’è un Amen, un assenso alla Croce e alla sua vittoria: un assenso non soltanto fiducioso e disponibile, ma anche gioioso, grato e trionfante: per questo all’Amen si aggiunge – nel nostro brano – l’Alleluia (v.4). Oltre che all’inizio e alla fine ritorna l’Amen anche all’interno della narrazione: come risposta alla consolante rivelazione che l’Agnello “ritto e immolato” è in gradi di aprire il libro (5,124), come reazione alla sorpresa che i salvati sono “una gran folla che nessuno può contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua” (7,12) e infine – nei capitoli che stiamo esaminando – come approvazione del castigo di Dio sulla città idolatra. La collocazione dell’Amen nei tre passi non sembra casuale. Si tratta infatti dei tre punti nodali sui quali si regge tutta la meditazione dell’Apocalisse: il Cristo morto e risorto chiave di lettura della storia, la certezza del trionfo dei martiri, il crollo dell’idolatria. Se all’inizio e alla fine l’amen è direttamente pronunciato dall’assemblea che ascolta la lettura del libro, in questi tre passi intermedi è invece sulla bocca dei quattro viventi e dei ventiquattro anziani. Con questo non si vuole sottrarre i tre Amen all’assemblea ( come se si affermasse che sono riservati agli esseri celesti); al contrario, si intende sottolineare con particolare autorevolezza. Per Giovanni è chiaro che la liturgia che si svolge in cielo è come il riflesso purificato della liturgia terrestre: è la liturgia terrestre “come dovrebbe essere”.

Il capitolo 20 è fra i più discussi. Ha fatto versare fiumi di inchiostro e ha offerto il pretesto, lungo i secoli, per le più sfrenate fantasie.

La presenza di un triplice “Vidi” (20, 1.4.11) rivela una struttura compositiva. Tre visioni: l’angelo che incatenò il dragone, i martiri che insieme a Cristo regnano per mille anni, il grande trono di Dio e il giudizio finale. Le tre visioni sono disposte in modo da formare una storia: una storia iniziata (il dragone incarcerato), interrotta (la visione dei giusti), e poi ripresa e conclusa (il dragone di nuovo libero per poco tempo e poi definitivamente precipitato nello stagno di fuoco. L’interpretazione del capitolo – il solo della Bibbia che menziona il “millennio” – è molto controversa. Vediamo anzitutto ciò che è chiaro. Giovanni vede satana posto sotto il saldo controllo di Dio (1-3) e le anime dei martiri – ma non di tutti i cristiani, cosa importante per la perseguitata Chiesa primitiva – risuscitate e regnanti con Cristo per 1000 anni (4-6). Al termine di questo periodo, le forze del male lanciano un attacco contro il popolo di Dio, ma vengono distrutte assieme a satana e ai suoi accoliti (7-10). Segue una risurrezione universale, ogni uomo compare davanti a Dio e viene giudicato in base ai suoi meriti. Il verdetto è di vita o di morte, e quanti allora vivranno ancora non conosceranno più la morte (11-15).

Chiedersi dove sarà collocato il regno e stabilire una cronologia degli eventi significa fraintendere lo spirito dell’Apocalisse. L’idea di un millennio terreno appartiene all’A.T., non al Nuovo Testamento. Pietro parla semplicemente di “nuovi cieli e di una nuova terra” e Giovanni non precisa alcun luogo ( parte i troni che sono in cielo), né dà indicazioni cronologiche o pone tutto ciò in rapporto al ritorno di Cristo. I “mille anni” (2) sono un numero simbolico, come tanti altri nell’Apocalisse. Mille anni bastano per dimostrare la piena autorità di Dio su satana e per compensare abbondantemente le sofferenze terrene dei martiri. “Gog e Magog (8) è un richiamo tratto da Ezechiele 38. “La città diletta” è la comunità del popolo di Dio, contrapposta alla “grande città” di Babilonia.

Con la scomparsa del male e la distruzione della morte (c.21-22), come sarà il nuovo tempo? Giovanni lo descrive come un paradiso terrestre. La nuova vita sarà un interminabile giorno di nozze per il popolo di Dio, il tempo più felice e gioioso che si possa immaginare. Niente lo offuscherà più: né dolore, né pianto, né separazioni, neppure la notte, perché Dio sarà sempre presente, “vicino”. Non conosceremo più il peccato al di fuori o al di dentro di noi, esso non ci trascinerà più in basso, non rovinerà più il nostro rapporto perfetto con Dio, staccandoci da lui e riempiendoci di vergogna. Le città del mondo sono ricche e belle, Ma sono niente di fronte alla gloria e allo splendore della città del popolo di Dio, porto di pace, di libertà e di sicurezza infinitamente prezioso e senza prezzo.

Le ultime affermazioni non sono forse molto coerenti, ma non mancano di vigore. Giovanni conferma la verità di quanto ha scritto e ammonisce gravemente quanti saranno tentati di falsificarla. Le sue ultime parole sono molto pressanti: le cose descritte accadranno presto; il ritorno di Cristo è imminente; gli uomini rimarranno fissi nell’atteggiamento che hanno assunto e non potranno più cambiare. Alla fine i non salvati saranno perduti, chi non entrerà nella vita eterna e alla presenza di Dio sarà cacciato fuori per sempre. Perciò “chi ha sete” venga ad “abbeverarsi” gratuitamente alla fonte dell’acqua della vita.

L’apocalisse è una parola che viene da Dio, una parola che scende dall’alto, e si conclude con una risposta della comunità, una risposta che sale dal basso. Si conclude con un’invocazione: “Vieni, Signore Gesù”. E con un atto di fede: “Amen”. L’assemblea, che ha ascoltato e compreso, non chiede questo o quello, ma semplicemente che il Signore venga. Non c’è cosa più importante di questa. E non chiede che Dio modifichi il suo disegno, ma semplicemente che realizzi quanto Lui stesso promette: “Vengo presto”, “Vieni, Signore Gesù”.

L’Apocalisse e la Bibbia intera si chiudono con una parola di completa sottomissione: “Amen!”

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