Apocalisse: La Grande Prostituta

Capitolo 17 – La grande prostituta

Il capitolo 17 è strettamente unito alla visione precedente, come è provato dal fatto che l’angelo protagonista è uno dei sette angeli con le coppe. La narrazione sviluppa e spiega il giudizio già brevemente anticipato in 16, 17-21 (la settima coppa): “La grande città si squarciò in tre parti…Dio si ricordò di Babilonia, la grande prostituta, per darle da bere la coppa del vino del suo furore”. E apre una serie di giudizi divini ( “Vieni, ti farò vedere il giudizio”) che si estende a tutto il c. 20. La condanna delle forze ostili segue l’ordine inverso rispetto alla loro comparsa sulla scena. L’ordine di comparsa: il dragone (c.12), la bestia e il suo profeta (c.13), Babilonia (c.14). L’ordine della condanna: Babilonia (cc.17-18), la bestia e il suo profeta (c.19), il dragone (c.20).

La struttura base della narrazione risulta di due momenti essenziali: la visione simbolica /17,1-6) e la spiegazione/interpretazione dei singoli elementi che la compongono (17,7-18). Tuttavia tra la visione e la spiegazione si avverte come uno strappo: la visione pone al centro la donna, mentre la bestia sulla quale siede, le sue sette teste e le dieci corna paiono elementi di contorno; la spiegazione invece si dilunga sul significato della bestia, delle sue teste e delle sue corna, e solo alla fine – in una brevissima annotazione – parla della donna (“la donna che hai visto simboleggia la grande città”).

La donna è Babilonia (17,5), “la grande città che regna su tutti i re della terra” (17,18), cioè la città di Roma, “che si adagia su sette colli” (17,9).

Inoltre l’Apocalisse descrive tre donne: la donna vestita di sole del c.12, la sposa dell’agnello del c.21 e la prostituta del c.17, il nostro brano: quest’ultima è l’antitesi delle prime due, la donna di segno negativo.

Il termine prostituta (ed alcune altre espressioni connesse) è la designazione più frequente (17,1.2.4.515.16) ed è una prima immagine a partire dalla quale si sviluppa un fascio di risonanze. Le prostitute romane venivano obbligate a portare sulla fronte una fascia con scritto il loro nome, e allo stesso modo la donna porta il suo nome scritto sulla fronte. La città di Roma – e, ovviamente, la forza politica che essa rappresentava – era esaltata e venerata nell’impero con il titolo di “dea madre”: Giovanni la chiama “la madre di tutte le prostituzioni”. Il giudizio non poteva essere più duro e non è facile immaginare un’ironia più demolitrice: il mito di Roma è visto nella sua vera natura, che è il contrario dell’apparenza e della propaganda. Emerge il netto contrasto fra l’apparenza (la preziosità delle vesti e dei gioielli: un’apparenza di facciata) e la meschinità della realtà (prostituzione e oscenità). L’apparenza è della “signora”, ma l’animo è della “prostituta”. All’esterno il lusso e l’opulenza, all’interno il vuoto e la violenza.

La spiegazione dell’idolatria di Roma non è finita. Dobbiamo spiegare un particolare che ha molta importanza, e cioè che la prostituta “siede sulla bestia” (17,3). Si tratta della stessa bestia che abbiamo incontrato al c. 13. Roma è alle sue dipendenze, un suo strumento. Per questa ragione riteniamo che la bestia è, genericamente, il sistema imperiale, la struttura politica e sociale idolatra, lo Stato che si fa adorare, mentre la prostituta è – più precisamente – la città di Roma, che di quella struttura è l’espressione più significativa. I successi della bestia, la sua sorprendente capacità di riprendersi e di rinascere, fanno impressione. Ma è una parodia che impressiona soltanto coloro il cui nome non è scritto nel libro della vita (17,8). L’incredulo e il credente fanno della vitalità della bestia due letture differenti,. Ambedue indicate con chiarezza nelle due parti del v.8. Lo sguardo del credente – che legge con gli occhi dell’angelo interprete (“ti farò vedere…”) – abbraccia tutta la storia della bestia: era, non è più, riapparirà, andrà in perdizione. L’incredulo invece ha lo sguardo più corto e vede solo un tratto della storia: era, non è più, riapparirà . Non scorge l’ultima parte (andrà in perdizione), e per questo si stupisce e ne resta soggiogato.

Le maggiori oscurità del testo le incontriamo a proposito del simbolo delle sette teste e delle dieci corna. Pare che Giovanni formuli dei veri e propri indovinelli. Le sette teste sono sette re, dei quali cinque sono passati, uno regna e l’altro non è ancora venuto (1710): chi sono? La bestia simboleggia l’impero, come abbiamo detto, ma qui (17,11) è designata come l’ottavo re, anzi uno dei sette: che significa? Le dieci corna (17,12) sono dieci re che ancora non hanno ricevuto il regno: chi sono?

I sette re sono senz’altro degli imperatori che si sono succeduti sul trono di Roma. I dieci re (17,12) – simboleggiati dalle dieci corna – sono senza dubbio re satelliti, che alleandosi alla bestia ottengono un effimero successo (“per un’ora sola”). Dipendono in tutto e per tutto dalla bestia (17,13.17), e insieme ad essa – e da essa manovrati – muovono guerra all’Agnello, che li sconfiggerà (17,16). Prima però hanno un’importante funzione storica da compiere nel piano di Dio: rivoltarsi contro Roma e distruggerla (17,16).

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