Apocalisse: La Donna e il Drago

Capitolo 12,1

Cap. 12: la donna e il drago

Giovanni scrive per una Chiesa perseguitata, e in questi capitoli l’esorta a farsi coraggio. I personaggi della scena sono molti: la donna, il bimbo, i discendenti della donna, il dragone, l’arcangelo Michele. Ma i personaggi principali – presenti in scena dall’inizio alla fine – sono due: la donna e il dragone. Giovanni li chiama “segni”. Nel linguaggio giovanneo segno è una realtà presente nella storia, visibile, potremmo dire addirittura una realtà sotto gli occhi di tutti, ma che tuttavia per essere compresa e letta in profondità deve essere “decifrata”; ci si può imbattere in essa senza accorgersene, o dandole una lettura superficiale scorretta.

Il primo segno è una donna che sta per partorire – soffrendo – un bimbo maschio. Fiumi di inchiostro sono stati versati per identificare questa donna: Israele? La Chiesa? Maria?

Anche qui Giovanni sovrappone le immagini e le include l’una nell’altra. La donna è anzitutto Israele (quello ideale dei profeti) che genera il messia, “destinato governare le genti con una verga di ferro”. Ma la donna è anche chiesa, in balia della persecuzione e tuttavia protetta. E infine è Maria, conclusione dell’A.T. e punto di passaggio dall’antico al nuovo Israele, madre del Messia e immagine della Chiesa . E, come cristiani, non possiamo non pensare pure alla scena del Calvario (Gv.19,25-27).

Il secondo segno è il dragone, identificato con il serpente antico, con il demonio, diavolo o satana, il seduttore del mondo intero. Non è il caso qui di entrare nel problema della precisa identità di satana. Ci basta rammentare che è il personaggio a cui l’Apocalisse e l’intero N.T. ricorrono per esprimere in tutta la sua forza la condizione dell’uomo senza Cristo e la sua permanente condizione di uomo esposto alla tentazione.

La donna e il dragone rappresentano da una parte, la Chiesa nella sua dimensione trascendente e terrena, che storicamente, dà alla luce il suo Cristo; dall’altra, una forza antagonista di origine demoniaca e di carattere dissacratore che, incarnandosi in fatti e personaggi storici perseguita la Chiesa. Il messaggio principale è chiaro. Tutto l’episodio è difatti percorso da due movimenti intrecciati: un movimento orizzontale, in avanti, e un movimento verticale, dall’alto al basso. Il secondo è chiuso (satana è definitivamente vinto e precipitato in basso), il primo invece rimane aperto (“il dragone si sedette sulla riva del mare”). La lettura attenta e semplice del movimento orizzontale (in altre parole della lotta fra il bene e il male che continua tuttora sulla terra) mostra due aspetti. Il primo è l’ostinato furore del dragone, che non intende rassegnarsi: gli sfugge il bambino e attacca la donna, gli sfugge la donna e attacca la sua discendenza. Il secondo è l’impotenza del dragone: il suo furore è completamente inutile, già sconfitto. E’ questo secondo l’aspetto più interessante.

L’intera narrazione sottolinea l’impotenza – ed è ironia – di colui che appare forte e temibile, rileva la più completa inutilità dei suoi sforzi. Il mostro è davanti alla donna che sta partorendo, pronto a divorarle il figlio appena nato. Nessuno potrà impedirglielo! E invece no: il bambino gli sfugge e sale verso il cielo, la donna fugge nel deserto,e il fiume d’acqua che lui scaglia – in un estremo tentativo – contro la donna viene inghiottito dalla terra.

La storia del dragone che tenta di divorare, ma inutilmente, il bambino, la donna e i suoi discendenti, s’interrompe a un certo punto per far posto a una scena celeste (movimento verticale): la visione di una battaglia nella quale satana è sconfitto e un canto liturgico che celebra la vittoria di Dio. L’inno liturgico celebra un fatto e insieme dà un avvertimento e indica una strada da percorrere.

Il fatto: satana è vinto e la grande svolta è avvenuta. L’avvenimento: come possiamo facilmente vedere, satana è menzionato in un inno che è insieme un canto di lode e di gioia per la vittoria di Cristo e un’esortazione alla comunità (“guai alla terra e al mare…”). La strada: non tutti gli uomini possono vincere satana, ma soltanto coloro che ripercorrono la via della Croce e del martirio (questo è il significato di rendere testimonianza), cioè la via della piena disponibilità al dono di sé (“hanno saputo disprezzare la loro vita sino alla morte”).

Nella narrazione emerge una conclusione: il primato di Gesù Cristo e la sua vittoria su satana. Il punto essenziale non è la natura di satana, né una precisa verità su satana. Bensì l’affermazione della vittoria di Cristo e della conseguente libertà dei cristiani: una libertà che ancora non è completamente sottratta agli attacchi del maligno, ma che tuttavia porta in sé una reale possibilità di vittoria.

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